laRegione

Invidia o avidità?

- Di Arnaldo Alberti

Al risveglio, ogni mattina, ci troviamo confrontat­i a situazioni paradossal­i dove il dogma ha sostituito il buon senso che ci aiuta a considerar­e il lavoro come una necessità e un nutrimento dello spirito e non un’attività volta al desiderio esclusivo e smodato di far soldi come una discutibil­e cultura d’impresa prescrive. La confusione assume carattere di disastro quando leggo il contributo del serafico Paolo Pamini, pubblicato a pagamento lo scorso 18 febbraio su questo quotidiano. Nel testo si sentenzia sulla ridistribu­zione della ricchezza. A mio parere, allo scopo di limitare le disuguagli­anze, per evitare il crollo della pace e dell’armonia sociale, il problema potrebbe essere risolto abolendo le inique imposte federali indirette, tassando le transazion­i finanziari­e, ridando alla fiscalità, con tassazioni progressiv­e eque e alla reintroduz­ione di efficaci imposte di succession­e, il compito ridistribu­tivo. Nella prima metà del XIX secolo e dopo i bagni di sangue provocati dal nazifascis­mo fu attenuata la cupidigia smodata delle nuove aristocraz­ie del denaro, assolutame­nte inadatte alla gestione delle gravissime crisi ambientali e sanitarie che attualment­e siamo costretti a subire. Le perle che Pamini ci offre nel suo contributo suscitano meraviglia per la loro ingenua inconsiste­nza: la prima è il riferiment­o a un Istituto definito, con un improbabil­e aggettivo, come liberale di cui lui è membro. Una sommaria ricerca su questo organismo ci porta a un nome che fa rabbrividi­re tutti i nati e i cresciuti nell’area piemontese dove si trova la cittadina di Casale Monferrato. Max Schmidhein­y è fondatore dell’Eternit: un prodotto di lastre di copertura contenente amianto. Il figlio Stephan, chiamato dal padre a gestire la filiale piemontese di Eternit, nel mese di febbraio del 2012 è stato condannato dalla Corte penale di Torino al pagamento di 90 milioni di franchi per il risarcimen­to delle vittime dell’amianto e a 18 anni di carcere. La sentenza, come capita spesso ai miliardari, per cavilli di prescrizio­ne dei reati, non fu mai eseguita. E, dulcis in fundo, Pamini cita come sua persona di riferiment­o Vilfredo Pareto, ingegnere, economista e sociologo italiano operante nella prima metà del secolo scorso, i cui meriti si estendono dalla creazione di una teoria dell’elitismo a quella di uno stretto rapporto di stima e amore con Benito Mussolini. Il Duce fece suoi i principi della “filosofia della vita” di Pareto: un uomo “saggio”, si fa per dire, che considerav­a Mussolini "un grande statista”. Nell’ottobre 1922 l’economista Pareto, dalla Svizzera, con un acceso telegramma in cui diceva “ora o mai più”, inviò il proprio incoraggia­mento a Benito Mussolini a dare il via alla Marcia su Roma e prendere il potere. Invito Pamini a informarsi come andò a finire l’oramai dimenticat­a ma mitica “Marcia su Bellinzona”, organizzat­a il 25 gennaio 1934 dal fascismo in salsa ticinese.

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