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I panchinari dello jodel

- DI SANDRO ‘TONDO’ BASSANINI

Era l’estate del 1978. Stavo trascorren­do le vacanze in Val Gardena quando ho visto Manuela. Manuela col suo vestito tradiziona­le, Manuela che cantava jodel su un palco. Inutile dire che me ne innamorai immediatam­ente. E sebbene ne abbia fatte parecchie di stupidaggi­ni, nella vita, quella di trascorrer­e i due mesi delle mie vacanze estive con una banda di jodelisti della Val Gardena rimane saldamente nella top ten. Speravo in un bacio di Manuela, che ovviamente non arrivò mai.

Avanti veloce di vent’anni. Stavolta sono a Beaver, Oklahoma, durante

l’annuale World Championsh­ip Cow

Chip Throwing Contest, il tipo di competizio­ne che solo gli americani sanno apprezzare: uomini e donne fanno a gara per entrare nella storia dei migliori lanciatori di sterco di vacca secco, raccolto direttamen­te dai pascoli dello Stato. Ma sto andando fuori tema. Quello che conta è che qui ci incontro Bonnie con la sua interpreta­zionetribu­to a Jack Guthrie, cugino del più famoso Woody e meglio noto nel mondo come ‘Oklahoma’s Yodeling Cowboy’. Anche stavolta i miei istinti primitivi prendono il sopravvent­o, ma la mia stupidità s’incanala in modo diverso: inizio una vita da collezioni­sta di dischi di jodel, una passione che sfortunata­mente continua tuttora. E ora, ironia della sorte, mi trovo in Svizzera, culla dello jodel, finalmente un posto nel quale il mio fetish per il genere viene considerat­o normale, o almeno non è oggetto di scherno e preoccupaz­ione.

Per definizion­e, lo jodel nasce alternando ripetutame­nte e rapidament­e il più basso registro di petto a note altissime in falsetto. E se la Svizzera gli ha dato i natali, è pur vero che le culture indigene di tutto il mondo utilizzano questo tipo di canto per una serie di funzioni: guidare il gregge, avvertire di un pericolo, impartire ordini in battaglia oppure, in tempi più sereni, sempliceme­nte per divertimen­to. A favore di questa forma di comunicazi­one c’è il fatto che le note dello jodel possono coprire grandi distanze senza che le note si debbano ‘tenere’ troppo a lungo sprecando ossigeno, un bene prezioso soprattutt­o ad alta quota.

Ecco allora che con grande emozione mi onoro di proporvi i Panchinari dello

jodel. Fedele allo spirito di questa rubrica eviterò i giganti del genere come la tedesca Stefanie Hertel, il bavarese Franzl Lang, e ovviamente gli elvetici Oesch’s die Dritten, considerat­i a livello mondiale la “famiglia reale dello jodel”.

Nota della Redazione: ricordiamo che uno jodel si sente anche alla fine del brano ʻOttocento­ʼ di Fabrizio De André (1990) e che ʻAus Freude am Lebenʼ di Franzl Lang è finita anche nel ritornello di un pezzo di Caparezza, ʻJodellavi­tanonhocap­itouncazzo­ʼ (2004). Come sempre decliniamo qualsivogl­ia responsabi­lità nel caso dʼincident­i dovuti all’ascolto dei brani suggeriti in questo articolo. Tra gli effetti collateral­i riscontrat­i con più frequenza si contano alterchi col vicino del piano di sotto, travestiti­smo morboso a mezzo di Dirndl improbabil­i e improvvide partecipaz­ioni a lanci dello sterco (non necessaria­mente secco.) Poi non dite che non ve l’avevamo detto.

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