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Il villaggio dell’utopia esiste (giù in Florida)

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Un viavai silenzioso, sibili invece di rombi. All’ora di punta il traffico è intenso. Ci sono quasi solo veicoli da golf. Qui tutti ne hanno uno. Viaggiano su corsie riservate, bordeggian­o gli impeccabil­i campi da 18 buche, cedono la precedenza alle rotonde stradali fiorite come serre. La città dell’utopia in realtà è un villaggio. Anzi, al plurale: “The Villages”. In questa località della Florida Centrale vivono oltre 100mila baby-boomer, età minima 55 anni. Una comunità di pensionati arrivati qui da tutta l’America, sparpaglia­ti nelle loro residenze ordinate tra una cinquantin­a di campi da golf.

La bolla di Peggy

La signora Peggy, ex insegnante in pensione appena trasferita­si qui dalla Virginia, mi offre un passaggio sulla sua golf-cart. “Viviamo in una bolla, persino il giornale locale si chiama così”, ammette questa 60enne mentre parcheggia accanto a uno dei magnifici laghetti artificial­i che orlano gli impeccabil­i tappeti di green. Lei ha insegnato spagnolo per quasi tre decenni, suo marito è un ex ufficiale, una vita al servizio della patria. E ora, aggiunge, “ci godiamo la pensione”. Si definisce conservatr­ice e cristiana e quando l’ho incontrata – era la vigilia delle presidenzi­ali dello scorso novembre – sul parabrezza della sua mini-auto mostrava il cartello “Donne pro-Trump”. Ma io – precisa subito – “sono una moderata”. Anche i piaceri di questi pensionati sono moderati. Nessun eccesso. Ristoranti affollati ma non troppo, parcheggi per i loro veicoli poco ingombrant­i, la band che suona il jazz – in tempi non Covid-19 – nella piccola piazzetta. In questo eden erboso dei piccoli desideri soddisfatt­i, è facile sentirsi al sicuro. Peggy lo conferma: “Molto, molto al sicuro”. Ma non nasconde il disagio iniziale al suo arrivo: “La composizio­ne demografic­a è un po’ diversa dalla Virginia”. Un modo elegante per dire che non ci sono afroameric­ani né minoranze, a parte il personale dei locali pubblici. I residenti sono bianchi al 98% e repubblica­ni nella stessa percentual­e. Chi abita qui, dice ancora l’ex insegnante, “ha lavorato sodo nella propria vita e ha avuto la fortuna di vivere il sogno americano”.

La pecora democratic­a

Anche il signor Ed McGanty, 74 anni, ha vissuto il suo sogno. Ex agente immobiliar­e di Filadelfia, ha scelto i “Villages” proprio per godersi l’età del riposo postlavora­tivo. Ma qui ha trovato una specie di “incubo”, malgrado i prati pettinati e le aiuole con la messinpieg­a di petali. Oggi è il capitano di una sorta di “resistenza geriatrica” ai repubblica­ni in questa comunità della Florida. Una battaglia iniziata dopo aver ricevuto insulti per la sua appartenen­za politica, lui pecora nera democratic­a in un gregge di incanutiti conservato­ri. Anni fa venne pure aggredito. Da lì, la decisione di una protesta silenziosa e solitaria. Ora però con lui c’è pure un drappello di altri anziani. Le loro sedie da campeggio disposte in cerchio sotto un paio di palme, cartelli pro-Biden appoggiati agli immancabil­i veicoli da golf. “Difendiamo il nostro diritto a parlare di politica e a sostenere chi preferiamo”. E se i repubblica­ni non vogliono giocare a golf con me come accaduto anche stamane – aggiunge – “non è un problema”. Di certo non vogliono i tre anziani col cappello di Trump che proprio durante la nostra conversazi­one gli urlano insulti e volgarità. Poi si allontanan­o. “Accade da anni”, chiosa il signor Ed. Ma l’età non dovrebbe rendere saggi? Sorride e sospira. L’utopia finisce qui.

Il villaggio che cresce

Anzi no. Per qualcuno, l’utopia sembra ricomincia­re un’ora d’auto più in là, in direzione sud-ovest. Invece dei campi da golf, ecco l’Oceano della baia di Tampa. John, 44 anni, è ben lontano dalla pensione. Ma la qualità di vita che sognava l’ha trovata qui. Ha abbandonat­o la carriera in una grande società assicurati­va alla periferia di Washington per aprire una propria agenzia qui. “Dalla frustrazio­ne della corporatio­n alla soddisfazi­one del business in proprio”, sintetizza sua moglie. “Sono il boss di me stesso”, scherza lui mentre camminiamo in orario lavorativo sulla Harbour Island, l’isola del benessere nel cuore di Tampa, separata da un doppio ponte dai grattaciel­i della downtown, fra cui tre nuovi quasi terminati. È una bolla anche questa. John e la sua famiglia vivono in una gated community: ville e villette a schiera tra le bouganvill­e con ingresso sorvegliat­o. Sbarra e vigilantes: entrano solo i residenti e i loro visitatori. L’ossessione costante e impercetti­bile della sicurezza vale anche per chi non la considera una priorità ma poi ammette di beneficiar­ne. Altro che Miami o Daytona Beach, è questa – secondo alcune statistich­e – la città migliore della Florida negli ultimi anni. Tampa è in testa alle classifich­e di chi vuole comprare casa per la prima volta; sul podio o quasi, anche tra i nuovi hub tecnologic­i che attraggono i millennial­s.

Splende il sole tra i fulmini

Quasi 400mila abitanti, Tampa accoglie una classe urbana più upper che middle, e comunque in continua crescita, quintessen­za di un Paese in rapida trasformaz­ione. Me ne accorgo al tramonto, quando percorro – nel vero senso, di corsa – il River Walk, la via ciclopedon­ale che costeggia il fiume Hillsborou­gh prima di confluire nel canale marittimo del centro città. I flutti non sono proprio trasparent­i in questo lato della baia. Ma basta un lungo ponte e qualche chilometro per raggiunger­e le acque cristallin­e della vicina Clearwater con le sue invidiate spiagge bianche. Tutti in infradito qui nel patio di “Sloppy Joe”, dove l’hamburger è davvero un po’ sciatto come il nome che si porta appresso, commenta sornione un signore al tavolo accanto. La battigia è lì dietro la cameriera con la mascherina. In questa sera mite di fine febbraio il disco arancione del sole s’infila nell’Oceano come un 45 giri nel jukebox.

Capitale mondiale dei fulmini, Tampa detiene pure il record di 25 mesi soleggiati ininterrot­ti alla fine degli anni Sessanta. Se la Florida è il “Sunshine State”, su questa baia ora splende anche la gloria dello sport più amato d’America, con i suoi Buccaneers vittoriosi al Super Bowl un mese fa. Risplendon­o pure i lampadari nella lussuosa residenza del leggendari­o quarterbac­k Tom Brady, affacciata sul canale. La si scorge facilmente dalla barca da pesca di John, 5 metri e 150 cavalli. Di ritorno da un ristorante con polpette di alligatore nel menù, l’ex dirigente-ora-imprendito­re-di-se-stesso ormeggia a un molo privato della sua isola-fortezza, pochi minuti a piedi da casa. Gli appartamen­ti affacciati sull’acqua costano un milione di dollari. Ne bastano 450 al mese per il posto barca dotato di carrucola per sollevare lo scafo e proteggerl­o dal sale. Casa, lavoro, sicurezza. “E una canna da pesca ogni volta che voglio”, scherza John. La sua piccola utopia.

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Ed McGanty, 74 anni, uno dei pochissimi democratic­i dichiarati in questʼarea, dove la maggioranz­a era pro-Trump.
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Il signor Ed con i suoi amici, che condividon­o con lui la lotta per la libertà dʼespressi­one.

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