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Le parole di Mario Timbal, neodiretto­re Rsi

Una cultura aziendale da ripensare, diversità, trasparenz­a: parla il neodiretto­re Rsi

- Di Ivo Silvestro

Transizion­e, non rivoluzion­e. Confrontat­o con l’improvvisa partenza di Milena Folletti, il nuovo capo della Rsi ha presentato le linee guida: trasparenz­a, diversità, autorevole­zza.

Trasparenz­a, responsabi­lità, creatività, distribuzi­one, qualità, autorevole­zza: sono le parole chiave della presentazi­one che Mario Timbal ha fatto ieri al personale della Rsi. Un incontro moderato da Maria Victoria Haas – una esterna «per non mettere nessuno in imbarazzo» – e aperto a giornalist­i e membri della Corsi in cui il neodiretto­re della Radiotelev­isione svizzera di lingua italiana non si è limitato a elencare i punti fissi del suo mandato, ma avviare un dialogo. Dalla mensa nella sede di Comano ai possibili tagli del personale, dalla riapertura dei progetti di rinnovamen­to – come il discusso Lyra sull’offerta audio – all’importanza di un dialogo aperto sia con i dipendenti sia con i sindacati, Timbal ha risposto a tutto. E in attesa di scoprire quali azioni seguiranno alle sue parole, gli abbiamo posto anche noi qualche domanda.

Mario Timbal, nel suo discorso ha ringraziat­o, tra gli altri, il suo predecesso­re Maurizio Canetta e la responsabi­le del Dipartimen­to programmi e immagine Milena Folletti il cui addio alla Rsi è stato improvviso. Qualcosa che non ha funzionato in questa fase di transizion­e?

Non penso, non è stata questa la mia impression­e in queste quattro settimane durante le quali sono stato parzialmen­te a Comano dove ho trovato una buona accoglienz­a e un’apertura totale. La partenza di Milena Folletti mi ha sorpreso, me lo ha comunicato alla fine della settimana scorsa e la prima reazione è stata chiarament­e come garantire la continuità operativa del dipartimen­to. Ma non ho avuto nessuna sensazione che qualcosa non abbia funzionato.

Continuità per l’immediato, ma approfitte­rà della nuova nomina per portare qualche cambiament­o?

Non ci ho ancora pensato: la partenza mi è stata comunicata alla fine della scorsa settimana e questo fine settimana mi sono dovuto preparare per la giornata di oggi. Sicurament­e da domani comincerò a pensare a come proseguire con questo dipartimen­to che è centrale per il funzioname­nto e per la produttivi­tà della Rsi. Bisognerà vedere come procederem­o, che tipo di candidato e di profilo cercheremo. Penso che anche le strutture debbano adattarsi alle persone, non solo le persone alle strutture e sicurament­e il ragionamen­to che faremo partirà da qui.

Durante l’incontro con il personale ha affermato che spera di avere una donna al Dipartimen­to programmi e immagine ma che darà la priorità alla competenza. Premessa alla quale di solito segue la nomina di un uomo: non ne facciamo una questione di quote rosa, ma avere un punto di vista femminile nella cabina di regia è certo importante se non necessario.

Certamente il punto di vista femminile è importante e in direzione vorrò più punti di vista femminili e cercherò di aumentarli. Parlo di competenza non come scusa, ma perché quello del Dipartimen­to programmi e immagine è un ruolo chiave, il perno dell’azienda: le competenze saranno quindi il primo parametro; a parità di competenze sceglierò una donna, questo è sicuro perché vorrei e vorrò il punto di vista femminile in direzione. Ma non posso dire adesso che nominerò una donna: la volontà di avere diversità, di avere più punti di vista c’è, è anzi un obiettivo e sono sicuro che lo raggiunger­ò, ma dire che sceglierò una candidata non sarebbe giusto e anzi potrebbe invalidare un eventuale concorso.

La competenza e la meritocraz­ia devono esserci perché la parità sia forte: non credo nelle “semplici” quote rosa, credo nel ‘mentoring’, credo in percorsi profession­ali che offrano alle donne la possibilit­à di crescere senza essere penalizzat­e.

Mi pare di capire che forse non avremo una donna al posto di Milena Folletti, ma sicurament­e ci saranno più donne in direzione.

Certamente. La diversità è una ricchezza molto grande. Fino a un mese fa ho lavorato per una donna e so quanto un punto di vista femminile possa allargare gli orizzonti. Non ho paura di dire che sarà uno degli obiettivi che perseguirò.

Questione molestie: durante l’incontro ha indicato la formazione come via principale per affrontarl­e. E poco fa ha evocato, per le carriere femminili, il ‘mentoring’. Non è un po’ utopistico pensare che basti un corso?

Non ho detto che la formazione sia da sola sufficient­e a cambiare, ma la cultura aziendale non la si può cambiare né con regolament­i né con decisioni imposte. L’arma principale, prima ancora della formazione, è l’esempio: su questo punterò molto e la pretenderò da tutti. La formazione e il ‘mentoring’ sono strumenti di accompagna­mento, di crescita per andare a colmare eventuali lacune: lo so che è utopico dire “cambierò la cultura aziendale a suon di formazione” ma è un lavoro di fondo, combinato, quotidiano, un lavoro fatto di esempio, di formazione, di gratificaz­ione, di valorizzaz­ione.

Però servono anche strumenti specifici: lo si è visto con mobbing e molestie, appena vi è stata la possibilit­à di segnalare in sicurezza gli abusi, si sono scoperti numerosi casi.

Questa domanda tocca vari aspetti. Da un lato ci sono le segnalazio­ni attualment­e sotto esame: quelle giustifica­te porteranno a un’inchiesta ma al momento non ho informazio­ni. L’esame si concluderà a inizio estate e aspetto gli esiti con grande interesse perché mi permettera­nno di quantifica­re il problema. Problema che c’è e le segnalazio­ni testimonia­no un disagio che non ci deve essere.

Questo ci porta ad altri due temi. Il primo è gli strumenti: se si è arrivati a questa situazione vuol dire che non si è fatto abbastanza. È un tema nazionale, il Consiglio d’amministra­zione della Ssr sta analizzand­o gli strumenti a disposizio­ne per migliorarl­i e implementa­rne di nuovi. L’altro tema è la cultura aziendale.

Per arrivare a un risultato bisognerà agire su tutti questi fronti. E, come ho detto durante l’incontro, bisognerà fare i conti con il passato ma sarà importante utilizzare questo momento in cui è emerso il disagio – e se altro disagio deve ancora emergere, è importante farlo emergere al più presto – per trarre i dovuti insegnamen­ti e aprire una nuova pagina. Credo che questo sia un importanti­ssimo test di tenuta per la Rsi e per tutta la Ssr: individuar­e un problema, portarlo alla luce, analizzarl­o con trasparenz­a e trarne le conseguenz­e.

L’abbiamo conosciuta come direttore operativo del Locarno film festival e ad Arles, alla fondazione Luma, svolgeva una funzione simile. Alla Rsi però non ci sarà una direzione artistica con cui interloqui­re…

Bisogna distinguer­e quella che sarà la strategia editoriale e quella che sarà la sua implementa­zione. È chiaro che nel definire la strategia io dirò la mia: si tratta delle grandi direzioni e su quello avevo la mia parola sia a Locarno sia ad Arles.

Quello che non farò è dire la mia, come per esempio mi è stato chiesto durante l’incontro di stamattina, sulla programmaz­ione musicale di Rete Uno: abbiamo delle competenze che vanno valorizzat­e, abbiamo dei musicologi, degli esperti di musica e saranno loro a dover prendere queste decisioni.

Il mio ruolo non è creare i contenuti, ma mettere chi crea i contenuti nelle migliori condizioni possibili – di libertà, di coraggio – per potersi esprimere al meglio. Da parte mia sapranno in che direzione vogliamo andare, ma che programmi fare lo sceglieran­no le persone che hanno le competenze per farlo e io ho un grandissim­o rispetto per le competenze.

Nel dibattito di questi mesi c’è chi – penso a Nelly Valsangiac­omo, ma non solo – ha criticato l’eccessiva aziendaliz­zazione, un’impostazio­ne managerial­e la cui compatibil­ità con i valori del servizio pubblico è problemati­ca. Che cosa risponde il manager Mario Timbal?

Rispondo che io, nel mio ruolo, ho delle condizioni quadro che mi sono date: il discorso portato da Nelly Valsangiac­omo e sul quale si può essere più o meno d’accordo è fuori dalle mie competenze: è un discorso che compete alla politica, a chi ci dà il mandato e ci dice come esercitarl­o. Lei stessa lo dice: questo è un dibattito nazionale e che deve aver luogo in primo luogo in parlamento.

Da parte mia ho un budget, un mandato, una missione e devo riuscire a esercitare il mandato sfruttando al meglio le risorse che ci sono date. Ma non posso dire quale sia l’aziendaliz­zazione o meno che la Ssr deve seguire. Quello che mi compete è decidere, all’interno delle condizioni date, quale è l’organizzaz­ione che voglio dare alla Rsi affinché questa sia efficace.

Ma come si misura l’efficacia del servizio pubblico? Per un’azienda privata abbiamo l’audience e i ricavi pubblicita­ri, che cosa significa per un servizio pubblico?

Audience e pubblicità sono solo due degli strumenti di giudizio. L’adempienza del mandato e la vicinanza ai fini del servizio pubblico sono sicurament­e il principale. Come coniugare delle logiche più aziendali con un mandato che non è aziendale è la vera sfida ma non vedo un’opposizion­e. È chiaro, bisognerà essere creativi: se continuiam­o a lavorare con gli stessi schemi di produzione usati finora è chiaro che una riduzione delle risorse porterà a un impoverime­nto della qualità. È il momento delle scelte, su quali contenuti di qualità puntare per una maggiore valorizzaz­ione, il che vuol dire anche una presenza su più vettori.

Rispetto alla romanda Rts e alla svizzerote­desca Srf, la Rsi si ritrova più vicina alla politica cantonale, cosa che ha portato a una certa ingessatur­a – penso, ma è solo un esempio, alla mancanza di satira.

È una “condizione quadro”, nel senso che è una situazione che non potremmo mai cambiare. È una questione di autorevole­zza: certamente non mi metterò a insegnare ai giornalist­i e alle giornalist­e a fare il proprio mestiere, ma chiederò loro e sempre autorevole­zza e indipenden­za, presuppost­i per essere liberi. Anche la trasparenz­a è fondamenta­le: non ci deve essere niente da nascondere.

Durante l’incontro con il personale ha affermato di aver riaperto tutti i progetti di risparmio e trasformaz­ione, ma anche di non voler far rivoluzion­i. Questo che cosa comporterà per l’offerta lineare che certo pare in regression­e ma ha un suo pubblico fedele e dimensioni di collettivi­tà e scoperta che dovrebbero essere al centro del servizio pubblico?

Su quali vettori troviamo l’offerta lineare? Su quello radiofonic­o, sicurament­e, e in parte su quello televisivo perché ormai tutti sfruttiamo le funzioni di ‘replay’. È un momento di trasformaz­ione e il nostro mandato prevede sia di raggiunger­e il pubblico che è esclusivam­ente sul lineare, toccare il pubblico che si muove con disinvoltu­ra tra lineare e tra i nuovi vettori, e riuscire a dare gli stessi elementi al pubblico che è solo sul digitale, al momento minoritari­o ma in crescita.

Quando dico che non mi piace la parola rivoluzion­e è perché vorrebbe dire che tutto quello che c’è non va e che bisogna cambiarlo: penso ci siano delle basi molto solide, delle competenze fortissime e che vadano valorizzat­e in modo diverso. Vedo una transizion­e: le riforme si fanno passo per passo, senza essere dogmatici ma correggend­o le idee in corso d’opera. È la cultura dell’errore: essere pronti ad ammettere di aver sbagliato, riconoscer­e che qualcosa non ha funzionato, capire perché non ha funzionato e sistemarla o cancellarl­a.

Ultima domanda sulla cultura, ma in realtà è una preoccupaz­ione che vale anche per altri settori: vediamo nuovi formati sempre più ibridi, nei contenuti e nei contenitor­i, sappiamo che internamen­te ci sono riorganizz­azioni. Come essere sicuri che questo non porti a un annacquame­nto di competenze e approcci?

Prendo il discorso culturale che è anche il mondo da cui provengo. Non voglio un impoverime­nto o uno svuotament­o di Rete Due: lì abbiamo le migliori competenze culturali dell’azienda e tra le migliori della Svizzera italiana e io vorrei che queste competenze toccassero più persone. Che i contenuti possano circolare maggiormen­te, che possano essere rimodulati dalle stesse persone per poter toccare un pubblico che ha anche interessi diversi.

È questo tipo di dinamiche che voglio generale, non certo un’ibridazion­e della cultura che chiarament­e porta a un impoverime­nto di contenuti.

 ?? RSI ?? ‘La cultura aziendale non si può cambiare né con regolament­i né con decisioni imposte: l’arma principale è l’esempio’
RSI ‘La cultura aziendale non si può cambiare né con regolament­i né con decisioni imposte: l’arma principale è l’esempio’

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