Florian Bassani e il Palestrina ritrovato
Il musicologo svizzero ha recuperato una versione inedita della Missa Papae Marcelli
La criminologia potrebbe definirlo un cold-case, uno di quei misteri risolti in tempi assai lunghi. Tempi biblici, visto che scriviamo di musica sacra. E il cold-case è questo: nel primo Seicento, un autore anonimo si calò sulla celebre Missa Papae Marcelli scritta intorno al 1562 da Giovanni Pierluigi da Palestrina, compositore e organista italiano esponente della scuola romana, considerato dai posteri il culmine della polifonia rinascimentale. La particolarità di quella riscrittura è il suo portare a dodici le voci reali rispetto alle sei con le quali la Missa palestriniana era stata sino ad allora concepita. La versione dell’anonimo autore è rimasta a lungo nell’oscurità, per riapparire grazie all’interessamento di Florian Bassani, musicologo, transitato dalla Scuola universitaria di musica di Lugano, più tardi professore assistente all’Università di Berna, oggi libero docente di quello stesso ateneo. Recuperando quella versione, ora pubblicata, Bassani ha vinto il concorso internazionale sulla figura e sull’opera di Giovanni Pierluigi da Palestrina indetto dall’omonima Fondazione nel 2018. Premiato “per la sua solida ed esauriente modalità di metodo e conduzione del lavoro”, il musicologo ha accettato il riconoscimento venerdì scorso in modalità online. «Nel 2018 – racconta Bassani alla ‘Regione’ – fui informato di questo bando di concorso. Essendomi occupato per diversi anni di musica policorale romana del Cinquecento, Seicento e Settecento, pensai a un piccolo studio ad hoc per il concorso. Presentai quindi, anonimamente come accade di norma, per permettere ai colleghi di visionare il testo dello studio senza conoscerne l’autore, una piccola tesi di un brano musicale quasi sconosciuto del grande compositore, che esiste soltanto in una forma di trascrizione. L’idea era quella di presentare al pubblico una versione di questa celebre messa che ha reso Palestrina noto fino ai giorni nostri, ma in
quella versione, realizzata nei primi del 1600 circa da un autore anonimo da cercarsi, probabilmente, nella cerchia degli allievi del Palestrina».
Del manoscritto esiste in una sola copia dell’epoca custodita in un archivio romano, quello di Santa Maria in Vallicella. «Ero riuscito consultarlo sul posto, a Roma – spiega il musicologo – dove avevo vissuto per diversi anni e dove mi ero dedicato a questo tipo di ricerche. Avevo visionato questo documento intorno al 2005, ottenendone poi copie fotografiche di una versione manoscritta, realizzata nell’Ottocento, conservata presso un’altra biblioteca. Nei primi anni del Duemila ancora non si potevano fare foto digitali e questo è stato il grande punto debole, il dover far leva sulla propria memoria. Oggi sarebbe un attimo optare per una riproduzione digitale, anche di bassa qualità».
Tutto questo accade mentre Florian Bassani è al lavoro su di un progetto più ampio dedicato alla musica policorale romana del Seicento, un libro in tre volumi che sarà presto in libreria. Palestrina, dunque, s’è inserito non previsto: «Palestrina muore nel 1594, il mio focus era incentrato principalmente sulla musica seicentesca, fino al 1710-1730 circa, quell’epoca chiamata il ‘Secolo d’oro’ della musica polifonica romana. Mi dedicavo allo studio degli allievi di Palestrina, piuttosto che a Palestrina stesso, che è un personaggio di per sé già molto studiato. Di lui esiste un’edizione delle oltre cento messe, attualmente è in corso anche una nuova edizione delle sue opere, non volevo inserirmi troppo negli studi già esistenti. E poi ho scoperto questa messa, questa versione a tre cori, a dodici voci, del brano originariamente concepita per sole sei, dunque un coro soltanto. Una versione rimasta completamente ignorata per la quale nessuno si era ancora dedicato a uno studio più approfondito. Ciò che è uscito, alla fine, è per metà uno studio bilingue (italiano e inglese) e per l’altra metà la messa, la partitura».
Tesori musicali nascosti
Oltre alla soddisfazione per il premio, Bassani ci riporta anche la sensazione derivante dal sapere come «le biblioteche, soprattutto quelle delle istituzioni religiose, non solo in Italia» siano «piene di musiche non ancora scoperte o ripresentate pubblicamente», come quanto accaduto per l’archivio di Santa Maria in Vallicella (anche detta Chiesa Nuova): «È quasi inutile dire che questa messa, in questa forma, non è ancora stata incisa se non per la sua versione ‘originale’ a sei voci – soprano, contralto, due tenori, due bassi – e cioè la Missa Papae Marcelli così come la conosciamo tutti, come i cori anche meno professionali la portano nei concerti e nelle liturgie. Le altre versioni della messa, già all’epoca di Palestrina venivano concepite per ensemble più piccoli, o più numerosi, ma sono sempre rimaste poco studiate. Ne esistono due versioni a quattro parti e un’altra a otto, per doppio coro, sempre scritta nei primi del Seicento. Pensando alla popolarità del brano, mi sorprese, ai tempi della mia ricerca, che di queste versioni a quattro e a otto parti quasi non esistessero incisioni, trattandosi di brani che in questa forma apparentemente non originale vengono dal pubblico o dai musicisti di oggi considerati ‘non originali’ e di conseguenza meno puri, meno veritieri».
L’idea dei tesori della musica chiusi nei cassetti o dentro scatole dimenticate riveste sempre un certo fascino: «Parte del mio studio sulla musica policorale – conclude Bassani – riguarda proprio un numero di composizioni non edite per vari motivi, in particolare per il loro grande formato. Si tratta di composizioni per sei, otto, a volte dodici cori, musiche difficilmente ‘commerciabili’. Solitamente, gli editori musicali si fidano di musiche di sicura vendita e una musica a dodici cori è qualcosa di destinabile alle sole biblioteche, per essere custodita e studiata. Assai meno per essere esibita». Ciò non toglie che «la Missa Papae Marcelli per tre cori a dodici parti è una versione che, a mio parere, susciterà un interesse da parte del mondo musicale anche per quanto riguarda le esecuzioni e le incisioni: non è troppo grande, richiede un minimo di 12 cantanti, forse 24, forse 36, che è sempre un numero abbastanza contenuto di esecutori». Ed è qui che finalmente culmina la curiosità del ricercatore storicomusicale: vivere la musica nella sua interezza anche come ascoltatore.