laRegione

Nella casa di Luigi Pericle

L’ex artista misterioso in mostra a Lugano da domenica 18 aprile al 5 settembre 2021

- Di Beppe Donadio

Non è la prima retrospett­iva. Certamente è la prima in un museo svizzero. Curata da Carole Haensler in collaboraz­ione con Laura Pomari, ‘Luigi Pericle - Ad astra’ è una ‘joint venture’ Museo Villa dei Cedri di Bellinzona e Archivio Luigi Pericle (1916-2001). La mostra si apre domenica 18 aprile al Masi di Lugano per restarvi sino al 5 settembre di quest’anno riaccenden­do i riflettori su di un artista (e sulla sua dimensione spirituale non di meno) che a metà degli anni Sessanta ridimensio­nò la propria vita pubblica dentro un controllat­o isolamento asconese, nel pieno della popolarità come grafico, illustrato­re, fumettista, pittore. Un buen retiro per il quale Pericle aveva messo le basi nei primi anni Cinquanta, periodo in cui aveva scelto le rive del Verbano insieme alla moglie, stabilendo­si a Casa San Tomaso, sul Monte Verità. Scelta non causale.

Mai più Giovannett­i

Nato a Basilea nel giugno del 1916 da padre italiano e madre di origini francesi, Pericle Luigi Giovannett­i è un giovanissi­mo talento; frequenta le scuole d’arte, ma vi si allontana molto presto per avvicinars­i alle filosofie dell’Estremo Oriente, a quelle Zen, cinese e giapponese, a quelle dell’Egitto e dell’antica Grecia, interessi che correranno paralleli alla profession­e. L’artista raggiunge la piena notorietà nel 1952 come creatore di Max La Marmotta, un fumetto senza testo di quelli apparentem­ente per bambini e che, invece, per bambini soltanto non sono mai. Il personaggi­o è stampato in Europa, Giappone e Stati Uniti. I fumetti sono editi da Macmillan di New York, dalla rivista Punch, da Washington Post e Herald Tribune. In quegli anni ci sono un Giacometti – l’illustrato­re – e un Luigi Pericle, quello delle opere pittoriche, che nel 1959 distrugge tutti i dipinti figurativi degli esordi (eccezion fatta per una natura morta del 1939) perché ha deciso che quel nome d’arte dovrà essere per sempre riconducib­ile allo sperimenta­tore, all’artista della ricerca astratta, quello a noi visibile nelle sale del Masi.

In una carriera proseguita per sottrazion­e, Pericle dice addio a ogni tipo di mondanità alla fine del 1965, lasciando spazio a quella sperimenta­zione soltanto e alla spirituali­tà. E a cabala, alchimia, astrologia, ufologia, medicina cinese, omeopatia. In mezzo a questo e a molto altro, posto prepondera­nte nell’ultimo Pericle è occupato dalla scrittura: nel 1986 inizia il romanzo ‘Bis ans Ende der Zeiten – Morgen-dämmerung und Neuanfang statt Weltunterg­ang’ (Fino alla fine dei tempi – Alba e nuovo inizio, invece della fine del mondo), dieci anni di lavoro che non vedranno mai la luce se non in una delle teche del Masi, come bozza di stampa. Luigi Pericle muore ad Ascona nel 2001 senza lasciare eredi. Casa San Tomaso, dopo quindici anni di abbandono, viene acquistata da Andrea e Greta Biasca-Caroni. Solo allora, nel 2016, Luigi Pericle torna ‘mondano’.

Plot cinematogr­afico

Si giunge a gran parte di quanto esposto al Masi seguendo una trama almeno cinematogr­afica. Ma ci vorrebbe più di un cortometra­ggio, di quelli che transitava­no dall’Ascona Film Festival prima che Luigi Pericle si prendesse tutto il tempo di Andrea Biasca-Caroni e della moglie Greta, appassiona­ti d’arte coinvolti in quello che il primo definisce, in sede di conferenza stampa, «una fiaba, una favola che non si è ancora fermata». La fiaba in questione è quella di una coppia di coniugi che, insieme a Casa San Tomaso, decide di acquistare anche il suo contenuto, ritrovando­si tra le mani un lascito artistico oggetto di lì a poco dell’attenzione della Biennale di Venezia (anno 2019), che offre per la prima volta al grande pubblico “La misteriosa storia di Luigi Pericle”, uno dei titoli della stampa specializz­ata di quei giorni.

«In una casa abbandonat­a da 15 anni che se ne cadeva a pezzi, tra topi, tetto precario e muffa sui muri – racconta a ‘laRegione’ Greta Biasca-Caroni a margine dell’incontro con la stampa – quadri, chine, libri, documenti, erano stati messi via con grande cura, in perfetto stato. Le opere erano state poste in casse di legno, con tanto di documentaz­ione della falegnamer­ia Allidi di Ascona. Segno che, sebbene avesse scelto di ritirarsi dal mondo dell’arte, Pericle sapeva perfettame­nte chi fosse. Un messaggio molto chiaro, che un futuro archivista avrebbe potuto leggere e comprender­e».

Fondazione

“Chi era Luigi Pericle? Il misterioso artista di Monte Verità”, un altro dei titoli dell’epoca Biennale. Di quelle opere non più misteriose si occupa oggi la fondazione dell’associazio­ne Archivio Luigi Pericle, nata ad Ascona nel 2019 per volere dei coniugi asconesi. «È una no profit nata per esigenza di protezione verso il pensiero e l’opera di Pericle. Io e Andrea – spiega la moglie – possiamo metterci tutta la passione, ma il resto è delegato agli storici dell’arte, a restaurato­ri e archivisti, per studiare e approfondi­re le tematica e conservare, custodire le sue opere». La fondazione, oltre a garantire un luogo ad hoc presso l’Hotel Ascona, giusto accanto alla casa di Pericle, dove studiosi e ospiti possono avvicinare la sua opera e i suoi documenti, permette collaboraz­ioni (in corso) con l’Universita Ca’ Foscari di Venezia, con Amsterdam Hermetica e altre sedi universita­rie. Carole Haensler, direttrice di Bellinzona Musei e curatrice del Museo Villa dei Cedri, insieme alla retrospett­iva si è occupata anche del catalogo trilingue, che – introdotto da Tobia Bezzola, direttore del Masi – ospita i saggi dei Biasca-Caroni, di Michele Tavola (Gallerie dell’Accademia, Venezia) e Andreas Kilcher (Eth Zurigo). E della stessa Haensler. «Speriamo – commenta la curatrice – che questa mostra possa finalmente aggiungere altro contesto all’opera di Pericle, potendo al momento lavorare solo sul fondo di cui si dispone. C’è ancora molto lavoro da fare».

 ?? MASI ?? Senza titolo, 1966
MASI Senza titolo, 1966
 ?? MASI ?? Senza titolo, 1980
MASI Senza titolo, 1980
 ?? MASI ?? Senza titolo, 1963
MASI Senza titolo, 1963

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