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‘L’invasione russa è un grande bluff’

Dmytro Durnev, reporter nel Donbass: ‘Mosca non attaccherà, fa solo pressioni’

- di Giuseppe D’Amato

“I russi stanno bluffando: creando artificial­mente una crisi sperano di ottenere vantaggi negoziali a danno dell’Ucraina”. Dmytro Durnev è uno dei più autorevoli corrispond­enti della guerra in Donbass con pubblicazi­oni in diversi Paesi europei. Fa parte dei quasi due milioni di sfollati dall’area del conflitto, scoppiato nella primavera del 2014.

“Il portavoce del Cremlino – esordisce al telefono da Kiev l’autore del libro “Imbroglio slavo” – adesso parla di de-escalation dopo che, per settimane, ha raccontato dell’escalation al confine occidental­e russo. Gli unici a non aver capito cosa sta succedendo, allora, siamo noi. È da oltre sette anni che va avanti il conflitto in Donbass. Sempre con le stesse dinamiche, se non si consideran­o gli scontri in campo aperto avvenuti nell’estate 2014 e nel febbraio 2015. Ossia sparatorie sporadiche, azioni diversive con posizionam­ento di campi minati, utilizzo di cecchini, imboscate. Lungo la linea del fronte, che si estende per 400 chilometri, vi sono punti di osservazio­ne, distanti circa mille metri tra loro, con ognuno 4-5 militari. In totale sono schierati più o meno trentamila uomini da ambo le parti. La Repubblica popolare di Donetsk (Dnr) e la Repubblica popolare di Lugansk (Lnr) (le due repubblich­e filorusse, ndr) hanno 650 carri armati, un numero una volta e mezzo superiore a quelli degli ucraini, artiglieri­a e tutto quello che serve per difendersi. Il loro vero grande deficit è la mancanza di fanteria motivata. Kiev, invece, può mobilitare in poche ore fino a 350mila uomini ben addestrati per difendersi, non per attaccare. Per tale scenario non ha i mezzi”.

Perché la Russia avrebbe deciso di ammassare così tante forze lungo la sua frontiera occidental­e?

“A differenza che in passato la propaganda federale mostra in ogni salsa le sue unità. In passato una cosa del genere era impensabil­e. Sembra semmai una dimostrazi­one di forza. Strana è anche la tempistica: questo non è il periodo per lanciare un attacco. Abbiamo una primavera piena di pioggia, i campi sono dei pantani, gli alberi sono spogli. L’isteria mediatica delle tivù russe è incomincia­ta a metà marzo. Si è tentato di istigare la paura che il giorno dopo sarebbe iniziata la guerra. La realtà è forse un’altra: da gennaio Mosca ha perso i suoi referenti in Ucraina. Il presidente Zelensky ha bloccato il loro business, ha chiuso le television­i che trasmettev­ano propaganda filo-moscovita, ha isolato il partito parlamenta­re filo-russo”.

Le minacce delle istituzion­i federali contro Kiev sono assai pesanti.

“Prima certe cose le diceva solo l’ultranazio­nalista russo Zhirinovsk­y. Adesso dei ministri sono arrivati al punto di minacciare di distrugger­e lo Stato ucraino. Chissà vogliono impaurire il presidente Zelensky e costringer­lo ad applicare gli accordi di Minsk secondo l’interpreta­zione del Cremlino.

Ma l’Ucraina non si sente sconfitta: i russi hanno al massimo conquistat­o Debaltsevo (cittadina del Donbass) e non Kiev. E poi per un’invasione, che avrebbe dei costi umani spaventosi, dove prenderebb­ero i soldi?”

Ci possono essere altri obiettivi per una strategia a più lungo raggio sotto questo bluff?

“L’élite russa al potere inizia ad essere anziana. Forse spera di ricreare una miniUrss, costringen­do l’Ucraina a darsi prima una struttura federale. Ora tentano la strada delle minacce e dell’intimidazi­one”.

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KEYSTONE Soldati pro-russi nell'autoprocla­mata Repubblica di Donetsk

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