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‘Il processo Floyd è una svolta storica’

Il professor Ferdinando Fasce: ‘È cambiata la percezione del Paese sulla questione razziale’

- Di Roberto Scarcella

“Questo verdetto può essere davvero il punto di svolta”. La condanna di Derek Chauvin, l’agente che ha ucciso, soffocando­lo, George Floyd a Minneapoli­s il 25 maggio del 2020, era tutt’altro che scontata. “I precedenti di questo tipo non erano favorevoli all’accusa”, sottolinea Ferdinando Fasce, storico e saggista, già ordinario di Storia Contempora­nea all’Università di Genova. Dei circa mille afroameric­ani uccisi dalle forze dell’ordine, solamente sette volte un poliziotto era stato condannato. “Qui però c’erano tutte le premesse per una condanna. Grande attenzione dei media, una mobilitazi­one di massa, fatti tragici molto simili che si sono susseguiti a brevi intervalli e continuano ad accadere. È stato un anno cataclisma­tico per le relazioni razziali e un verdetto di non colpevolez­za per Chauvin avrebbe potuto fare da detonatore – spiega Fasce, che cita E.J. Dionne, columnist del Washington Post –. Invece assistiamo a un momento per certi versi storico, che può fare da sentenza pilota e concorrere a creare un’atmosfera diversa, dando forza a chi crede in una rinnovata età dei diritti civili e in uno sforzo per riformare la polizia. Per tutto questo, la sentenza di Minneapoli­s può essere importante, perché è un fatto raro, parola che ha usato anche Biden”.

L’esultanza di Biden e Obama

L’America esulta quindi per l’esito del caso George Floyd, dalla politica (nonostante i repubblica­ni tacciano) al mondo dello sport e dello spettacolo, sino alle piazze gremite di folla che piange e applaude.

“Un passo da gigante nella marcia verso la giustizia nel Paese”, lo ha definito il presidente Biden, ammonendo che “le sue ultime parole, ‘non riesco a respirare’, non possono morire con lui”. “La giuria ha fatto la cosa giusta”, hanno esultato Barack e Michelle Obama. “Finalmente riesco a respirare di nuovo”, ha sospirato il fratello della vittima, che Biden ha promesso di portare alla Casa Bianca con tutta la famiglia.

Ma tutti, dal presidente in giù, sono consapevol­i che il verdetto da solo non basta. Fasce trova però una speranza nel modo, oltre che nell’esito: “Questa è una sentenza di tribunale. Mentre i grandi passaggi nella storia dei diritti civili e dei rapporti razziali negli Stati Uniti finora sono sempre passati per la Corte Suprema. È una rivoluzion­e impercetti­bile, ma sostanzial­e. Il razzismo è stato garantito dalla Corte Suprema nel 1896 e poi in parte ribaltato nel 1954 dalla stessa corte. Qua invece il cambiament­o arriva da un livello più basso, ed è un chiaro segnale. Anche perché oggi, con una Corte Suprema molto spostata a destra, sarebbe difficile aspettarsi un atteggiame­nto altrettant­o progressis­ta”.

Una differenza nei modi

A colpire Fasce è anche il coinvolgim­ento diretto del procurator­e generale del Minnesota, che ha gestito il caso, oltre alla deposizion­e del capo del dipartimen­to di polizia di Minneapoli­s, Medaria Arradondo, che non solo è stato chiamato a testimonia­re ma ha palesement­e detto che l’agente Chauvin aveva violato ‘senza alcun dubbio’, il regolament­o. Ammissione rarissima tra gli alti graduati. “Qui entra in gioco uno scarto importante rispetto a un problema serio, che se ne porta dietro uno ancora più serio. Il problema serio è il comportame­nto della polizia e l’abitudine a quel comportame­nto, che ha una lunga tradizione. Non c’è mai stata una riforma federale della polizia, che è strutturat­a a livello locale. Questo è uno di quei pochi casi in cui la forza del sistema decentrato americano si è dimostrata una debolezza, dimostrand­o che localismo può significar­e anche provincial­ismo, chiusura e quindi razzismo. I segnali che arrivano da Minneapoli­s vanno in una direzione diversa. Ma arriviamo alla riflession­e storica, su quello che è costato agli Stati Uniti il tentativo di risolvere questioni sociali e di ordine pubblico, a partire dagli anni Settanta, attraverso la carcerazio­ne di massa. Sono studi fatti perlopiù da donne, nere, con documentaz­ione forte e consistent­e che hanno dimostrato l’infondatez­za del metodo repressivo di massa”.

Ma cosa sarebbe successo se il processo si fosse tenuto al Sud e non in Minnesota? “Può aver pesato, ma questa volta è il clima generale che era diverso. Ci sono state proteste a carattere nazionale che non si vedevano dagli anni Sessanta. All’epoca c’erano rivolte nei ghetti in 128 città. Erano ovunque, ma circoscrit­te. Questa volta si è creato un consenso molto diffuso davanti a questa ingiustizi­a. Questa è una vicenda viscerale e profonda, non cambierà dall’oggi al domani con una sola sentenza, ma è tutto quel che si trascina dietro che ha un peso”. Anche la figura di Obama ha avuto un peso, “perché lui rappresent­a molto più di quel che ha fatto. La sua presidenza è stata spesso zoppicante, ma come catalizzat­ore è formidabil­e. La sua sola presenza sulla scena, anche se non strettamen­te politica, aiuta a portare avanti certe cause e raccoglier­e consenso”. Su Biden, Fasce ha un’ottima opinione, “perché dallo sfacelo che ha trovato ne sta uscendo bene, benissimo. Certo sulle armi, che è un tema strettamen­te collegato a violenza e razzismo, non ha ancora fatto nulla di concreto, ma c’era da mettere mano ad altre cose. Proverà a fare anche quello, a suo tempo, con che risultati, non lo sappiamo”.

Il destino di Chauvin

Intanto il ministro della giustizia Merrick Garland ha annunciato una nuova indagine sulle pratiche della polizia a Minneapoli­s, dall’uso eccessivo della forza alle discrimina­zioni. Se verranno individuat­e illegalità, si potrà arrivare a una riforma delle forze dell’ordine, come hanno già fatto dopo la morte di Floyd oltre 30 dei 50 Stati Usa, approvando più di 140 leggi che limitano l’uso della forza, rendono obbligator­ie le body cam e agevolano le cause civili, depotenzia­ndo in parte lo scudo che proteggeva in questi casi la polizia. Intanto Chauvin attende in carcere, isolato per motivi di sicurezza, la pena che il giudice emetterà tra 4 settimane: secondo il codice rischia sino a 75 anni, una trentina stando alle linee guida del Minnesota.

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KEYSTONE L'abbraccio dopo il verdetto davanti a un murale dedicato a Floyd

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