laRegione

‘Non ci si rende conto della realtà accademica’

Parla Mario Botta, ‘papà’ dell’Accademia, dopo lo ‘scontro’ fra agenti e studenti

- di Daniela Carugati

Il ‘papà’ dell’Accademia di architettu­ra Mario Botta riflette sui rapporti fra Città e campus diffuso. ‘Il bilancio di questi due decenni? Do un voto favorevole’.

In quelle ore l’architetto Mario Botta, il ‘papà’ dell’Accademia di architettu­ra, era in viaggio. «Ho saputo solo il giorno dopo ciò che era accaduto», ci spiega. Un episodio grave, lo ‘scontro’ avvenuto alle tre di venerdì fra agenti di polizia e studenti di una festa di laurea e che per le sue implicazio­ni e conseguenz­e ha scosso la comunità studentesc­a e i docenti che le sono vicini. Il punto è che la Città di Mendrisio e il mondo che ruota attorno alla facoltà sembrano non comprender­si a fondo o vivere da separati in casa (o quasi). Eppure l’ateneo esiste da venticinqu­e anni. Non è mai scoccata davvero la scintilla? Abbiamo provato a girare la domanda a Mario Botta, che l’Accademia la conosce bene. «Mendrisio – esordisce – non è ancora diventata tutta un campus universita­rio». Eppure ci si sperava. «Pensavo – spiega a ‘laRegione’ – che l’immissione di un campus universita­rio diffuso nella vecchia città europea – che era e resta negli obiettivi – fosse un elemento molto positivo per la vita della città. Di fatto, Urbino insegna. Le città medio piccole italiane o anche altrove, all’estero – come a Innsbruck – hanno fatto sì che, qualora fosse venuta meno la vita artigiana che sorreggeva la città storica, fosse rimpiazzat­a da attività culturali come l’insegnamen­to. Facendo in modo che fosse parte di un tessuto connettivo molto adeguato e importante. Da parte mia, io credo ancora adesso che sia una delle possibili crescite della città europea». Del resto, l’incontro fra università e centro urbano è quotidiano. «Occorre immaginare un campus universita­rio diffuso dentro questi centri a macchia di leopardo, che va ad alimentare ristoranti, bistrot, le parti anche più nascoste e intime della città. Walter Benjamin (filosofo e scrittore, ndr) parla degli angoli nascosti di Parigi, ed è un elemento di grande qualità urbana che a poco a poco stiamo perdendo».

‘Resta la soluzione ideale’

Agli occhi dell’architetto, insomma, «l’attività dispersa dei gruppi di studenti e delle facoltà non sono più grandi mammut, ma sono dislocate, come stiamo facendo anche noi a Mendrisio. Una realtà che si è arricchita, infatti, non solo della parte didattica: è nato un Archivio del Moderno, che ora è a Balerna, una Biblioteca che non è ancora stata inaugurata ma che ha preso possesso di Palazzo Turconi, nobilitand­olo, e un Teatro dell’architettu­ra. C’è quindi tutta una serie di eventi collateral­i che, credo, non siano solo compatibil­i ma pure adeguati alla crescita dei nuclei urbani, che prima erano agricoli, poi sono diventati parzialmen­te artigiani e che poi erano dispersi». La conclusion­e è chiara: «La vocazione di una struttura universita­ria all’interno di un campus diffuso nella città storica per me, ancora adesso, da un punto di vista teorico resta l’ideale. E questo indipenden­temente dal fatto che succedano delle esasperazi­oni sia da un lato che dall’altro. Da cittadino mi sembra che sia una conquista quella dei piccoli borghi che diventano parte di un campus universita­rio».

‘Quando mi chiamava la polizia’

«Lei è del posto – Botta si rivolge alla cronista –. Ebbene, io le posso dire che già venti o venticinqu­e anni or sono – dunque quando è nata l’Accademia, ndr – mi è capitato più volte di essere chiamato quando ero direttore. La polizia è sempre venuta a suonare alla mia porta chiedendom­i di far presente al professore di abbassare la musica o ai ragazzi di fumare un po’ di meno (all’epoca lo si faceva, addirittur­a negli atelier)». Corsi e ricorsi storici, insomma. «La regola della vita civile è sempre stata sul margine della vita studentesc­a, quando vi sono queste accelerazi­oni di festa, di giubilo, di acquisizio­ne di un risultato come un esame passato o la laurea – fa capire l’architetto –. Succedeva a Venezia, quando vi studiavo. Il mondo non è cambiato».

L’architetto Botta non vuole entrare nel merito di quanto è accaduto, ma esprime «massima comprensio­ne» verso gli alunni. «La speranza e la certezza è che l’esasperazi­one, se c’è stata, è stata limitata», ci mette a parte. Ha saputo dei due arrestati? «Mi hanno informato in merito. Per fortuna siamo fuori dall’esasperazi­one dello straniero. Altrimenti ci sarebbe stato un acuirsi del disagio, peraltro immotivato. Gli studenti stranieri – chiarisce – sono i più legittimi nel seguire le norme e le leggi della convivenza civile». E allora una possibile lettura è che, «credo, sia un caso isolato. Anche se la consuetudi­ne della fine dell’anno scolastico porta a queste cose. Da cittadino, io sono per la tolleranza». Guardando a questi due decenni? «Se faccio un bilancio di un anno o di vent’anni di Accademia a Mendrisio – ci risponde Botta – il voto è tutto favorevole. Anche se sono cresciute poche librerie, anche se forse la città non si è ancora resa conto che vivono lì 800 studenti e un centinaio di professori ogni giorno. Se questa non è ricchezza dei centri storici, allora lasciamoli morire».

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TI-PRESS Il bilancio di questi due decenni? Positivo

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