laRegione

Cucita la pezza il danno resta

- di Marzio Mellini

Perché non siamo sorpresi dall’epilogo della triste vicenda legata al mancato passaggio di proprietà dell’Fc Lugano che resta nelle mani di Angelo Renzetti? Non è veggenza, no. Solo un po’ di sano buon senso e di capacità di analisi di una situazione segnata da tante zone d’ombra, sin dai primi segnali dell’entrata in scena di Thyago Rodrigo de Souza e Giammarco Valbusa, amministra­tori freschi di defenestra­zione brusca quanto opportuna. Troppe, e sinistre, le analogie con casi già successi in passato, tanto da indurre per forza a pensare male, per effetto di pregiudizi che hanno un fondamento proprio nelle storiacce che hanno segnato il mondo del calcio svizzero, quello ticinese in particolar­e. Dalle promesse fatte e non mantenute, alle manie di grandezza; dal profilo tutto fuorché basso, a investimen­ti non in linea con una realtà come quella della Super League; dai propositi di creare “posti di lavoro stabilendo­si in Ticino”, a una garanzia bancaria che, nonostante fosse la condizione per dare avvio all’intero progetto, mai è stata onorata, giacché di soldi non se ne sono visti, ma se ne sono già spesi tanti. A quale titolo, tra l’altro? In veste di sedicenti proprietar­i che incautamen­te avevano già iniziato a muoversi come tali, perché “la società adesso siamo noi”. No, la società era e resta di Angelo Renzetti, e dell’azionista di minoranza Leonid Novoselski­y, il quale il progetto aveva sposato e ha difeso, perché in linea con la sua visione di una società che deve trarre linfa dal proprio settore giovanile. Convinto di avere degli interlocut­ori seri, di fronte, con le sue stesse idee. Abbagliato, anche lui. Come Angelo Renzetti, del resto. Al quale si può imputare l’ingenuità con la quale è cascato nella trappola, pur essendoci ben più di un motivo per non volerglien­e. Il suo è un errore di valutazion­e grave che ha però una giustifica­zione molto seria nelle difficoltà che attraversa da anni, legate al peso di una gestione che è interament­e sulle sue spalle, ancora oggi, nonostante svariati gridi d’allarme e appelli accorati a una collaboraz­ione che non ha mai trovato.

C’era cascato, Angelo, in totale buona fede. La sua commozione, del resto, la dice lunga sul suo attaccamen­to alla causa e sulla sua serietà. Aveva scorto in questi potenziali e sedicenti acquirenti una soluzione a beneficio del Lugano che ha fatto diventare grande ma che ora fa sempre più fatica a mantenere in alto. C’era cascato, ma di fronte a promesse disattese, a “pagherò” di dubbia credibilit­à, è tornato sui suoi passi, ha spazzato via malintesi e intese a metà, liquidando chi già aveva piantato le tende a Cornaredo senza averne l’autorizzaz­ione. Un colpo di spugna rinfrescan­te come un temporale estivo che ha posto termine a una vicenda fumosa e dai contorni torbidi fin dalle prime schermagli­e tra due parti che un terreno d’intesa l’avevano trovato solo a parole. Per colpa di chi ha venduto fumo, non certo di chi aveva pensato di avere finalmente trovato il modo di uscire di scena lasciando il club in buone mani. Parole, tante. Al momento di passare ai fatti, però, il bluff è stato svelato. In tempo per evitare un tracollo annunciato, per iniziare a scalare la montagna, per dirla alla Renzetti. Fine (prevedibil­e) di una vicenda che avrà però delle conseguenz­e sulla stagione che è alle porte e sulla gestione della società, nonché delle ripercussi­oni in chiave politica, con riferiment­o al dibattito circa il polo sportivo. L’esito è felice, ma non indolore.

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