laRegione

Minsk sul Cassarate?

- di Roberto Antonini, giornalist­a Rsi

Dopo la girandola di dichiarazi­oni e prese di posizione di un mondo politico impaziente di riscaldare i muscoli dell’oratoria, improvvisa­mente è calato un silenzio sepolcrale. Dei rovinosi eventi del 29 maggio al Macello di Lugano, con i suoi possibili risvolti penali e politici, più nulla. Affermazio­ni affrettate, smentite, dichiarazi­oni contrastan­ti e una credibilit­à fortemente a rischio d’amianto, hanno indotto gli esecutivi a negarsi alla stampa. Il Ministero pubblico ha avviato un’inchiesta, dunque tutti, Municipio e Consiglio di Stato, zitti. Il giornalist­a è ormai persona non grata. Il mantra recita: lasciamo lavorare la Procura. Come se in una democrazia l’entrata in gioco della magistratu­ra segnasse il capolinea dell’informazio­ne dei media. Singolare concezione della libertà di stampa e di diritto della popolazion­e di essere informata. Dove sono finiti i principi della democrazia liberale?

Dopo l’iniziale scatto da centometri­sti verso microfoni e telecamere, è così giunta l’ora della ritirata. Parola d’ordine: silenzio stampa. L’Associazio­ne ticinese dei giornalist­i, dopo aver giustament­e stigmatizz­ato il comportame­nto di alcuni autogestit­i che consideran­o il dialogo e il rispetto della libertà di informazio­ne e di opinione un semplice optional del famigerato capitalism­o patriarcal­e anti Lgbtq+, punta oggi il dito sulle istituzion­i. Che disattendo­no i principi stessi del rispetto della nostra profession­e e della libera informazio­ne, cardine dello Stato di diritto. I precedenti non mancano e l’escalation è inquietant­e, dalla gestione iniziale della pandemia con il divieto di porre domande non concordate durante le conferenze stampa, alle surreali piroette del capo della Polizia cantonale per i fatti di presunto terrorismo alla Manor di Lugano nel dicembre dello scorso anno. Senza dimenticar­e che il giornalist­a non compiacent­e che increspa lo stagno viene spesso marchiato a fuoco: è di sinistra, fazioso, fiancheggi­atore di chi vuole indebolire l’Autorità. Niente domande scomode, please.

Norman Gobbi sostiene che i media alimentano i sospetti, ma basterebbe che accettasse di rispondere agli interrogat­ivi della stampa per scongiurar­e il rischio di strumental­izzazione partigiana. Però il capo del Dipartimen­to delle istituzion­i non lo fa. Di fatto il giornalism­o in Ticino è posto su un piano inclinato, nel momento stesso in cui vi è una progressiv­a erosione dei suoi margini di manovra a livello nazionale. Recentemen­te il Consiglio degli Stati ha approvato a grande maggioranz­a una modifica della legge sui provvedime­nti cautelari che consente di bloccare più facilmente la pubblicazi­one di inchieste giornalist­iche. Il Codice di procedura penale con il suo restrittiv­o articolo 74.4 sulla pubblicazi­one dei nomi di persone coinvolte in fatti di cronaca assume spesso la fisionomia di un bavaglio. Su un piano inclinato ci situa, noi svizzeri, anche l’ultimo rapporto di Reporter sans Frontières sulla libertà di stampa. Scivoliamo al decimo posto perdendo due posizioni. Sarebbe forse utile ogni tanto ricordarsi che la libertà di stampa non è uno sfizio, ma un mandato costituzio­nale. Che sulle rive del Cassarate e del Ticino sembra a volte non godere di molti sostenitor­i.

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