Miracolo di Berna, la sfida si rinnova
Per la prima volta con punti in palio dalla finale del 1954, oggi c’è Germania-Ungheria
Per i tedeschi, sarà per sempre il “Miracolo di Berna”, per gli ungheresi il dolore storico di una finale mondiale persa contro ogni pronostico: Germania-Ungheria, in programma domani a Monaco (ore 21), è la ripetizione della finale della Coppa del Mondo del 1954, una finale passata alla storia del calcio. E sarà pure la prima volta da quel 3-2 allo stadio del Wankdorf, che le due Nazionali si affrontano con in palio tre punti (le ultime 14 sfide sono tutte state amichevoli). L’Ungheria del 1954 era ancora più forte degli All Blacks del 2010 nel rugby: alla finale di Berna, Ferenc Puskas, Sandor Kocsis, Nandor Hidegkuti e compagni (25 reti segnate nelle precedenti quattro partite del torneo) erano arrivati con un’imbattibilità che durava da quattro anni. Nel novembre del 1953 erano andati a Wembley a umiliare i “maestri” inglesi con un 6-3 ribadito nel maggio dell’anno seguente da un 7-1 a Budapest. Il loro sistema, un 4-2-4 flessibile, era considerato rivoluzionario e sarebbe poi servito come base per gli sviluppi tattici del Brasile di Pelé e dell’Olanda di Johan Cruijff. Nella fase a gironi della Coppa del Mondo, la corazzata magiara aveva travolto la Germania con un perentorio 8-3. Nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulla sconfitta in finale. A maggior ragione dopo che all’8’ gli uomini di Gusztav Sebes erano già in vantaggio 2-0 grazie alle reti di Puskas e Czibor.
Forse, quelli che erano indiscutibilmente i migliori giocatori al mondo, avevano pensato troppo presto di avere la Coppa del mondo in tasca. E così, in dieci minuti la Germania si era ritrovata di nuovo in parità grazie agli spunti di Morlock e Rahn. E quando al termine mancavano soltanto sei minuti, ancora Helmut Rahn confezionò il “miracolo” con un tiro di sinistro dal limite dell’area, che viene tutt’oggi riprodotto nel museo del calcio di Dortmund, con il commento dell’epoca, grazie al fatto che quello svizzero fu il primo Mondiale trasmetto alla televisione.
Per l’Ungheria, quella finale rappresentò l’inizio del declino. Due anni dopo, la Rivoluzione ungherese avrebbe colto molti nazionali all’estero (con la Honved, impegnata in Coppa campioni), da dove non avrebbero più fatto ritorno in Patria. Anzi, iniziò un lungo tour mondiale contro selezioni e squadre famose – osteggiato sia dalla federazione magiara, sia dalla Fifa – con il quale i giocatori volevano attirare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sulla “normalizzazione” in corso entro i confini ungheresi. Alla fine, alcuni tornarono in Ungheria (Hidegkuti, Bozsik, Grosics), molti altri trovarono rifugio nella Spagna franchista, con Kocsis e Czobir che andarono al Barcellona, mentre Puskas cedette alle lusinghe di Santiago Bernabeu e per sei anni (1958-64) formò con Alfredo Di Stefano una delle coppie d’attacco più forti di tutti i tempi.
La Squadra d’oro
Quel 4 luglio 1954 divenne una data importante nella storia della Germania del dopoguerra. «La vittoria ha riempito un vuoto – afferma Kristian Naglo, professore di sociologia all’Università di Marburgo ed esperto di sport –. Per un periodo relativamente breve, la Germania è tornata sulla scena mondiale, ha mostrato di essere di nuovo nel concerto delle nazioni, e ha di nuovo suscitato rispetto».
Nel 1950, ancora paria tra le nazioni, a una Germania alle prese con la ricostruzione di un Paese devastato dalla guerra non era stato permesso di inviare una sua selezione in Brasile alla prima edizione del dopoguerra della Coppa del mondo. A sdoganare la Nazionale tedesca era stata la Svizzera, il 22 novembre 1950, con un’amichevole a Stoccarda, seguita nell’aprile del 1951 dalla replica all’Hardturm.
Con il passare degli anni, però, sul “Miracolo di Berna” ha iniziato a planare il fantasma del doping. Uno studio del Comitato olimpico tedesco nel 2010 ha rivelato l’uso di metanfetamine (pratica già massicciamente utilizzata durante la guerra dai soldati della Wehrmacht), che aveva aiutato la squadra tedesca.
In Ungheria, i ricordi della cosiddetta “Squadra d’oro” (Aranycsapat) sono diventati un mito. «È un peso, perché la nuova generazione viene costantemente paragonata a quella di Puskas – ha detto l’ex allenatore dell’Ungheria Bernd Storck, parlando all’agenzia di stampa tedesca Sid. Peter Gulacsi, l’attuale portiere della Nazionale, afferma però di non sentire questa pressione: «No, la tradizione è una parte importante della storia del calcio ungherese, ma stiamo scrivendo la nostra storia. Abbiamo avuto più successo di qualsiasi generazione degli ultimi 20 o 30 anni, e stiamo facendo progressi».
Per gli eredi del “Golden Eleven”, una vittoria contro giocatori del calibro di Neuer, Kroos, Hummels e Müller rappresenterebbe un “Miracolo di Monaco”.