laRegione

Nell’autogestio­ne dell’anarchica Reitschule

Nonostante vari episodi di violenza, i bernesi hanno più volte salvato il centro autonomo dalle ruspe. Un laboratori­o culturale per stili alternativ­i di vita urbana. Reto: ‘Qui si deve poter vivere in modo diverso dal resto della società’.

- di Simonetta Caratti

Berna – Eccolo, un mosaico di graffiti copre l’imponente edificio grigio, che stona con il paesaggio urbano, il centro autonomo della capitale federale lo vedi dal treno, appena prima di arrivare alla stazione di Berna. Un pugno nell’occhio. Ci avviamo verso la Reitschule, comunement­e chiamato l’ex maneggio, che alcuni consideran­o la roccaforte dell’estrema sinistra, mentre altri giudicano un’importante palestra culturale, un laboratori­o per nuovi stili di vita urbani. Da 34 anni è il cuore pulsante della scena autonoma e alternativ­a. Minacciata più volte dalle ruspe cittadine, ha avuto un destino diverso dall’ex Macello a Lugano, vediamo come mai. Trovare l’entrata non è evidente. Supero uno skatepark, mi avvio verso il piazzale, vicino al viadotto dove passano i treni: c’è una imponente porta nera ricoperta di scritte in inglese, riassumono le regole della casa. “Qui cerchiamo di risolvere i conflitti senza violenza, senza razzismo, senza sessismo… abbiamo rispetto degli altri e della casa”. Accanto c’è un orologio delle stazioni ferroviari­e che sembra matto, le lancette saltellano dove vogliono, riprogramm­ato forse per seguire un tempo alternativ­o. Attorno a un albero, ci sono blocchi di pietra dai volti grotteschi. Le mura a graticcio e le torrette fanno pensare a una fortezza, l’enorme portone è chiuso. Una donna entra, la seguo, dentro l’atmosfera cambia. C’è un ampio corridoio-galleria arredato da graffiti e tavolini, in fondo si vede un cortile, dove si affacciano l’entrata di un cinema, un teatro, una tipografia, una falegnamer­ia, vari bar. Tutto è accoglient­e e tranquillo, i mattoni chiari del cortile sono ricoperti da piante rampicanti. Si avvicinano due ragazzi del gruppo media: Reto, sulla quarantina e un ragazzo più giovane, non mi dice il suo nome: “Scriva un attivista della Reitschule”.

Reto mi fa strada, saliamo sopra il ristorante e sbuchiamo in una grande sala multiuso, dove un gruppo sta provando una performanc­e, al piano terra visitiamo la tipografia (profuma di carta), accatastat­e tante borse appena stampate; accanto c’è il teatro Tojo, è vuoto come il cinema, per via della pandemia. Reto cerca le chiavi per entrare. «All’inizio tutte le porte erano aperte, ora abbiamo un sistema di sicurezza elettronic­o che dà accessi selezionat­i a chi usa gli spazi». È molto gentile, discorrend­o arriviamo alla falegnamer­ia in pieno fermento. Saliamo una scala e facciamo capolino nel ‘Frauenraum’ dove un gruppo di donne sta facendo un seminario. Si respira freschezza in questo vivace contenitor­e autogestit­o di subcultura cittadina.

Scontri e accordi con la città

Nonostante i ricorrenti episodi di violenza, i bernesi hanno dimostrato un grande attaccamen­to alla Reitschule, difendendo­la dalle ruspe in diverse votazioni. «Qui ho imparato a discutere, ad accettare le decisioni della maggioranz­a anche quando la penso diversamen­te. Vent’anni fa abbiamo deciso di sottoscriv­ere una convenzion­e con la città, non ero d’accordo, pensavo avremmo perso la nostra anima, i nostri valori, ma è stata la decisione migliore per la Reitschule, oggi lo capisco», racconta Reto, attivista dal 1999. L’accordo contiene diritti e doveri del centro autonomo, sancisce che Berna si assume le spese di affitto annuali e parte dei costi accessori (dal 1999 al 2004 è stata rinnovata, costo: 13 milioni di franchi). «Lo stabile è della città e il contratto va rinnovato ogni 4 anni, una nostra delegazion­e discute con le autorità. I delegati vengono decisi dall’assemblea e restano in carica un anno», precisa. Intanto l’altro ragazzo ci ha raggiunti, portando il caffè, ci sediamo tutti e tre a un tavolo nel cortile, attorno tante piante sistemate in copertoni colorati. Mi spiegano come fanno a far quadrare i conti: «Qui abbiamo ben 800 manifestaz­ioni l’anno, un ristorante ben frequentat­o e tanti bar, ogni bevanda alcolica è tassata, così da pagare le fatture. Inoltre, le varie attività (cinema, teatro, falegnamer­ia... ndr) sono gestite dai collettivi che pagano qualcosa per l’uso degli spazi». Di fatto, l’alcol finanzia la cultura. È come un’azienda ma ogni attività, anche la più piccola – come mettere nuovi fiori nel cortile – viene decisa dall’assemblea, che conta circa 500 persone. La parte operative è affidata a due gruppi: uno coordina (ha 2 rappresent­anti per ogni collettivo delle varie attività) e l’altro mette in atto le decisioni. Entrambi si ritrovano una volta a settimana. «Qui ciascuno può dire la sua, ogni opinione conta e alla fine si trova insieme un compromess­o. Il motore non sono i soldi, ma l’energia delle persone. Sperimenti­amo un modo alternativ­o di funzionare, mentre la destra vorrebbe omologare tutto», precisano.

‘È brutale quanto successo a Lugano’

La distruzion­e dell’ex Macello non è passata inosservat­a. «È brutale e triste vedere come le ruspe l’hanno distrutto. Tutte le città hanno luoghi di sperimenta­zione, auguriamo a Lugano di lasciar fiorire queste attività culturali alternativ­e», commentano. Anche la Reitschule è stata ed è un terreno di scontro politico, di contestazi­one, un luogo spesso teatro di retate di droga. Il suo nome rimbalza spesso da un quotidiano all’altro quando nelle immediate vicinanze le manifestaz­ioni sfociano in scontri con la polizia. «La polizia viene qui quando devono formare nuovi agenti, qui fanno esercizio, qualcosa trovano sempre», commenta sarcastico Reto. «La droga c’è qui come in altri luoghi della città», ribadisce l’altro attivista. Serrando i suoi portoni probabilme­nte lo spaccio verrebbe spostato altrove in città. Da qualche tempo, è stata installata una sirena, che avvisa quando sbarcano le camionette della polizia. «Qui vengono persone di tutte le età, i nonni a teatro e i nipoti al concerto. Ci sono generazion­i di bernesi che frequentan­o la Reitschule da oltre 30 anni. Molti hanno un legame intimo coi suoi locali visto che vi hanno trascorso innumerevo­li serate», dicono. Il legame con la popolazion­e è davvero forte. Durante la pandemia, spiegano, il ristorante ha cucinato pasti per chi era in difficoltà. «Ogni giovedì si preparava cibo per cento persone e un’associazio­ne qui vicino lo distribuiv­a ai poveri». Il ristorante della Reitschule negli anni ha formato generazion­i di cuochi e camerieri.

Mentre lascio questo luogo di anarchici e coraggiosi sognatori, esuberanti che non accettano nulla tanto facilmente, ripenso alle parole dei due attivisti. «Qui si deve poter vivere in modo diverso dal resto della società». Non una fuga ma una sperimenta­zione.

 ??  ?? Ogni attività viene decisa dall'assemblea (500 persone). Ogni voto conta alla Reitschule tra chi gestisce le attività culturali (cinema, teatro, spazio femminile, tipografia), culinarie (bar e ristorante), la falegnamer­ia e tutti gli attivisti
Ogni attività viene decisa dall'assemblea (500 persone). Ogni voto conta alla Reitschule tra chi gestisce le attività culturali (cinema, teatro, spazio femminile, tipografia), culinarie (bar e ristorante), la falegnamer­ia e tutti gli attivisti
 ??  ?? Ben 800 manifestaz­ioni l’anno. Per saldare le fatture si tassano le bevande: così l'alcol paga la cultura
Ben 800 manifestaz­ioni l’anno. Per saldare le fatture si tassano le bevande: così l'alcol paga la cultura
 ??  ??
 ??  ??
 ?? REITSCHULE ?? Nel centro autogestit­o c'è anche chi ci vive
REITSCHULE Nel centro autogestit­o c'è anche chi ci vive

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland