laRegione

Irb, senza fondi Ue ricerca in difficoltà

Il direttore Robbiani: senza accordo quadro ‘finanziame­nti e giovani talenti a rischio’

- Di Fabio Barenco

Le incertezze generate dall’interruzio­ne delle trattative da parte della Svizzera con l’Unione europea (Ue) in merito all’accordo quadro «di certo non giovano». Davide Robbiani, direttore dell’Istituto di ricerca in biomedicin­a (Irb) di Bellinzona, spiega a ‘laRegione’ i motivi per cui questa decisione potrebbe avere ripercussi­oni negative sull’intero settore della ricerca svizzero. Le preoccupaz­ioni maggiori riguardano l’aspetto finanziari­o, ma anche quello del personale altamente qualificat­o che potrebbe decidere di lasciare o non arrivare in Svizzera. In ogni caso, stando al direttore dell’Irb, sarebbe opportuno che la Confederaz­ione collabori maggiormen­te anche con Paesi extraeurop­ei come Stati Uniti o Cina.

Davide Robbiani, anche se il settore della ricerca non era direttamen­te legato alle trattative con l’Ue sull’accordo quadro, l’interruzio­ne di queste ultime quali conseguenz­e potrebbe avere per la ricerca accademica elvetica?

Su questo tema ci sono due aspetti importanti: uno legato al finanziame­nto dei progetti accademici di ricerca, l’altro connesso alla capacità di mantenere o attirare in Svizzera il talento. La ricerca scientific­a, già da tempo, si svolge su un piano non nazionale o continenta­le, ma globale. Questo è vero nel campo della biomedicin­a, dove siamo attivi all’Irb, ma anche in altri settori della ricerca fondamenta­le e applicata. In generale, sono quindi importanti le collaboraz­ioni internazio­nali e quei meccanismi che permettono di finanziarl­e. Per quanto concerne l’Ue, ci sono a questo scopo programmi di finanziame­nto competitiv­o (come ‘Horizon’ e ‘European Research Council’) che, grazie agli accordi ottenuti in passato tra Unione europea e Svizzera, hanno finora permesso ai nostri ricercator­i di accedere a queste importanti risorse. Ora, con l’interruzio­ne delle trattative, queste sorgenti di finanziame­nto potrebbero venire a mancare. C’è chi dice che questo problema è temporaneo, che ci vorrà un anno o due e poi si troveranno accordi. Forse, ma come esserne sicuri?

E per quanto riguarda invece la problemati­ca del talento?

Un’esclusione da programmi europei potrebbe rendere meno interessan­te per i giovani rimanere in Svizzera e anche più difficile attirare nella Confederaz­ione talenti dall’estero, sia per il periodo di formazione, sia per la carriera universita­ria. Questo comportere­bbe una perdita di ‘materia grigia’ il cui impatto sulla qualità della ricerca e dell’insegnamen­to sarebbero valutabili forse solo sul medio-lungo termine.

Ma l’Irb è dunque a rischio?

Grazie all’alta competitiv­ità internazio­nale dei nostri ricercator­i, l’Irb beneficia in modo sostanzial­e dei finanziame­nti europei di ricerca. Questo è il caso per i nostri programmi di ricerca nel campo dell’immunologi­a e per quelli legati ai tumori. Lo stesso vale per i progetti Covid tuttora in atto e largamente sostenuti da fondi europei. Per fare delle cifre: negli ultimi 10 anni abbiamo ottenuto 15,7 milioni di franchi da finanziame­nti europei; solo nel 2020 erano 2,2 milioni, che è simile a quanto otteniamo da progetti del Fondo nazionale svizzero e che corrispond­e al 25% delle entrate per progetti di ricerca. Il discorso è simile per lo Ior [l’Istituto oncologico di ricerca di Bellinzona, ndr] e per i ricercator­i dell’Usi e della Supsi, dove la qualità dei programmi di ricerca ha finora permesso di attirare importanti fondi europei.

Quindi vi sono solo nubi all’orizzonte per la piazza di ricerca svizzera?

La ‘situazione europea’ non è rosea e speriamo che si possano al più presto trovare soluzioni per rientrare in questi schemi di finanziame­nto. Ma l’Europa non è tutto. Come dicevo all’inizio, la ricerca non si gioca su un piano continenta­le ma globale. Quindi, anche a livello istituzion­ale, sembrerebb­e importante puntare su alleanze strategich­e ragionando anche al di là dei confini europei. Da parte di noi ricercator­i questo già avviene. Per esempio, l’Irb è già in rete con numerosi centri di ricerca di punta negli Stati Uniti, benefician­do addirittur­a di fondi provenient­i dall’ente di ricerca americano Nih, e il nostro network di collaboraz­ioni scientific­he si estende a Paesi extraeurop­ei. È importante che continui a essere così.

Cosa si aspetta dal futuro?

Noto positivame­nte come il Fondo nazionale svizzero di ricerca abbia sviluppato già da alcuni anni programmi bilaterali per sostenere collaboraz­ioni scientific­he internazio­nali, come per esempio con la Cina. Alla luce delle incertezze europee, sarebbe auspicabil­e poter potenziare ulteriorme­nte questi sforzi ed estenderli ad altri Paesi scientific­amente molto forti al di fuori dell’Europa. Penso alla Gran Bretagna post-Brexit, a Israele e agli Stati Uniti. Mi pare che i temi della ricerca e dell’innovazion­e siano stati sollevati anche durante il recente summit con il presidente statuniten­se Joe Biden a Ginevra ed è indubbio che gli Usa siano e continuera­nno a essere trainanti, soprattutt­o nelle ‘life sciences’, le scienze della vita.

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FOTO: TEAM AURELIO GALFETTI/DATI: IRB Un rendering della nuova sede che sarà inaugurata in autunno
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TI-PRESS Il direttore

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