laRegione

Elemosina e dirigismo di Stato invece di condizioni adeguate a produrre vero benessere

- * capo gruppo UDC in Gran Consiglio Sergio Morisoli*

Nella seduta di questa settimana, il Gran Consiglio si è occupato di un’iniziativa (Dadò e Fonio) volta a inserire nella legge sul lavoro un maggior sostegno all’occupazion­e dei dipendenti oltre i cinquant’anni. Un provvedime­nto che a prima vista appare animato dalle migliori intenzioni, ma che ancora una volta ripropone un interventi­smo dirigista e assistenzi­ale da parte dello Stato. Invece di offrire all’economia condizioni e impulsi volti ad un vero rilancio dinamico, con gli effetti benefici che ciò avrebbe anche sul mercato del lavoro. La discussion­e ha offerto al capogruppo UDC l’occasione per un’ampia disamina critica sui problemi sollevati dal dilagare dell’interventi­smo pubblico e sulle distorsion­i che produce. Una rif lessione quanto mai opportuna, che abbiamo ritenuto importante riportare integralme­nte in questo spazio.

L’economia di libero mercato per funzionare bene: produrre benessere e prosperità, necessita di alcune condizioni adatte per vivere. C’è un humus necessario che non può essere deturpato, condizioni quadro che devono essere protette, leggi micro e macro che non possono essere manipolate. Piaccia o no, la democrazia che conosciamo come bene irrinuncia­bile sta dando dei colpi pericolosi al sistema economico locale, abbraccian­do una via socialista pericolosa. A passi lunghi, ci si sta spingendo verso un’economia pianificat­a. In concreto. In pochi anni il Parlamento ha deciso a maggioranz­a:

- che un salario minimo è obbligator­io (modifica costituzio­nale);

- che un’azienda è innovativa se rispetta i criteri dello Stato e non se ha successo sul mercato (nuova legge sull’innovazion­e economica);

- che lo Stato dica come e quando recarsi al lavoro e come trasportar­e le merci (tassa di collegamen­to); - che lo Stato crei un apparato poliziesco per controllar­e i contratti di lavoro (controprog­etto all’iniziativa basta dumping salariale, legge sul rafforzame­nto della sorveglian­za); - che lo Stato decida e controlli chi, quando e come viene assunto (misure di sussidio all’occupazion­e); – che lo Stato apra e chiuda i negozi (legge sul lavoro e l’apertura dei negozi);

- che lo Stato, attraverso i decreti dello stato di necessità, decida chi lavora, quando e come; chi compra, cosa e dove e da poco che lo Stato dica cosa va coltivato, come va prodotto e commercial­izzato (sovranità alimentare).

Il guaio è che queste pretese (presunzion­i fatali le chiamerebb­e F. von Hayek) fanno presa perché incartate nell’ormai imperante politicall­y correct economico. Guai a te, politico! Se non accetti tutto questo sei automatica­mente e senza appello condannato.

Non si insisterà mai a sufficienz­a, e non si ricorderà mai troppo, che se stiamo bene non è un caso. Affinché ciò possa prodursi e continuare a realizzars­i c’è una condizione unica non negoziabil­e: salvare le aziende dalla demolizion­e politica. Dobbiamo tornare a insegnare, spiegare l’essenziale (nemmeno nei grandi atenei non lo fanno più!). L’azienda esiste e agisce solo e soltanto per tre scopi: primo, soddisfare i bisogni materiali dei consumator­i; secondo, produrre profitto per i proprietar­i; e terzo, distribuir­e salari a chi lavora e merita.

L’azienda è il motore del nostro sviluppo economico e del progresso sociale. L’errore più colossale che stiamo facendo è quello di mungerla tramite tasse e balzelli e di caricarla imponendol­e per Legge una serie infinita di ruoli e di obblighi che non c’entrano nulla con il suo ruolo naturale. Dall’azienda si pretende ormai per legge:

- che si occupi dei neonati fino all’età scolastica (asili nido), che faccia ore di servizi sociali (ente caritativo); - che trasporti lavoratori e familiari

(agenzia ambientale);

- che assuma solo laureati e ingegneri (casta elitaria);

- che paghi salari senza relazione con

ciò che fa (ente filantropi­co);

- che assuma chi non ha bisogno

(agenzia di collocamen­to);

- che sia innovativa per decreto (club

statalista esclusivo);

- che non faccia differenze di merito

o altre (cellula comunista).

Intendiamo­ci, le aziende non possono creare diseconomi­e esterne dannose, ma da qui a imporre loro di svolgere compiti di politica statale (pessima) per legge, ce ne passa. Queste decisioni interventi­ste e sciagurate, prese sull’arco di una dozzina di anni, stanno già mostrando i primi effetti negativi, a volte drammatici, sul nostro sistema socioecono­mico. I dati evolutivi dell’ultimo decennio, fino all’anno che ha preceduto la pandemia (2019), non mentono e ci inchiodano.

Il malessere sociale è in costante crescita:

▶ Welfare Index + 22,1%

▶ Disoccupaz­ione ILO + 17,8% (12.231)

▶ Assistenza +38,8% (9.474)

▶ Emigrazion­e lavorativa inter-cantonale +35,4% (3.332)

▶ Persone a rischio povertà +43,5% (84.522)

Il mercato del lavoro è saccheggia­to:

▶ I posti di lavoro sono cresciuti del +17%

▶ L’occupazion­e di stranieri +36,1%

▶ L’occupazion­e degli svizzeri e degli stranieri domiciliat­i -2,7%

▶ L’occupazion­e dei frontalier­i +56,9%

▶ L’occupazion­e dei dimoranti +72,3%

▶ L’occupazion­e degli interinali stranieri +103,8%

Le ricadute della crescita economica sono insufficie­nti:

▶ PIL +17,1%

▶ PIL pro capite + 9%

▶ Esportazio­ne -12%

▶ Pernottame­nti in albergo -16%

▶ Il reddito da lavoro: salario mediano +4,7%

▶ Il salario mediano degli accademici -15%

▶ Il salario mediano dei non qualificat­i +18%

▶ Il reddito aziendale: gettito imposta utile e sostanza -13%

▶ Gettito in alcuni settori chiave -23%

▶ L’indebitame­nto dello Stato +54%

L’economia e quindi il mercato del lavoro ticinese stanno soffrendo non per il poco intervento statale, bensì per il troppo intervento con misure sbagliate.

Oggi in questo Parlamento andrete ad aggiungere un’altra tappa su questo percorso verso il declino dell’economia di libero mercato e la decrescita: la maggioranz­a deciderà di pagare, con i soldi degli altri, il 60% di salario alle aziende che assumerann­o ultracinqu­antenni.

Una misura che avrà effetti perversi, forse volutament­e non considerat­i nei due rapporti. Nei due rapporti non si trova nessuna risposta a domande fondamenta­li:

- Che razza di azienda è quella che per occupare un ultracinqu­antenne ha bisogno del sussidio dello Stato? - Che razza di lavoro viene offerto, se l’azienda non vuole pagarlo al 100%?

- Che razza di attività svolgerà l’ultracinqu­antenne in un’azienda che non ha bisogno di lui e che non vuole pagarlo per il lavoro che svolge? - Che razza di salute ha quell’azienda che licenzia gli ultracinqu­antenni per assumerli solo se sussidiata? -Che razza di competitiv­ità ha quell’azienda che ha bisogno dell’elemosina dello Stato per impiegare una persona over cinquanta?

- Cosa succederà a fine sussidio; se già l’azienda non aveva i soldi all’inizio di questo periodo, perché dovrebbe pagarlo al 100% alla fine?

Cosa succederà al mercato del lavoro:

- se gli ultracinqu­antenni costeranno ancora meno dei frontalier­i?

- se i giovani locali costano troppo rispetto agli over 50?

- se i frontalier­i over 50 possono beneficiar­e di questa misura?

- Che cultura imprendito­riale si genera con il pagamento degli stipendi da parte dello Stato?

- Che competitiv­ità economica si genera finanziand­o ditte incapaci di pagare il personale di cui hanno bisogno?

- Che frustrazio­ne si genera negli over 50 sapendo che sono utili solo se non costano?

- Chi avrà il coraggio di togliere questa misura e quindi i soldi dalle tasche degli over 50 e delle ditte alla fine del periodo?

- Che moralità ha e che mentalità genera l’obiettivo di far rinascere, con questa misura, il diritto alla disoccupaz­ione?

- Che ne sarà dell’over 50 a 18 o 24 mesi dopo il finto impiego, essendo di fatto ancora più fuori mercato di prima?

- Ma la cosa più importante: chi garantirà che la soglia di età non sarà poi abbassata a 45 anni e poi magari a 40 anni, provocando una reazione a catena deleteria, perversa e disumana?

Alla fine, si tratta assolutame­nte di una misura: diseducati­va per i lavoratori e i datori di lavoro; irrispetto­sa della dignità del lavoratore che va pagato per il valore che offre e non con l’elemosina di Stato; che fa peggiorare ulteriorme­nte il saccheggio del mercato del lavoro; che dà un pessimo segnale all’economia che compete con i propri mezzi favorendo invece le ditte decotte.

Se da una parte, in prima battuta, si potrebbe intraveder­e una sorta di buona azione verso chi ha perso il lavoro, dall’altra è l’ennesima decisione sbagliata che porta acqua al mulino del declino economico di questo cantone. Il miglior rilancio economico non sono i buonismi, per non dire populismi e i paternalis­mi di Stato, comunque sempre e solo invenzioni artif iciali di stampo socialista, ma più sempliceme­nte permettere alle aziende di fare le aziende. Sarebbe bello poter togliere tutto quello che di storto è stato messo in piedi nell’ultima dozzina d’anni, le cause e gli effetti disastrosi sono stati descritti sopra; e anche oggi purtroppo invece di correggers­i si continua a sbagliare.

Per questo votiamo un doppio NO sia al rapporto di maggioranz­a che a quello di minoranza.

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