Elemosina e dirigismo di Stato invece di condizioni adeguate a produrre vero benessere
Nella seduta di questa settimana, il Gran Consiglio si è occupato di un’iniziativa (Dadò e Fonio) volta a inserire nella legge sul lavoro un maggior sostegno all’occupazione dei dipendenti oltre i cinquant’anni. Un provvedimento che a prima vista appare animato dalle migliori intenzioni, ma che ancora una volta ripropone un interventismo dirigista e assistenziale da parte dello Stato. Invece di offrire all’economia condizioni e impulsi volti ad un vero rilancio dinamico, con gli effetti benefici che ciò avrebbe anche sul mercato del lavoro. La discussione ha offerto al capogruppo UDC l’occasione per un’ampia disamina critica sui problemi sollevati dal dilagare dell’interventismo pubblico e sulle distorsioni che produce. Una rif lessione quanto mai opportuna, che abbiamo ritenuto importante riportare integralmente in questo spazio.
L’economia di libero mercato per funzionare bene: produrre benessere e prosperità, necessita di alcune condizioni adatte per vivere. C’è un humus necessario che non può essere deturpato, condizioni quadro che devono essere protette, leggi micro e macro che non possono essere manipolate. Piaccia o no, la democrazia che conosciamo come bene irrinunciabile sta dando dei colpi pericolosi al sistema economico locale, abbracciando una via socialista pericolosa. A passi lunghi, ci si sta spingendo verso un’economia pianificata. In concreto. In pochi anni il Parlamento ha deciso a maggioranza:
- che un salario minimo è obbligatorio (modifica costituzionale);
- che un’azienda è innovativa se rispetta i criteri dello Stato e non se ha successo sul mercato (nuova legge sull’innovazione economica);
- che lo Stato dica come e quando recarsi al lavoro e come trasportare le merci (tassa di collegamento); - che lo Stato crei un apparato poliziesco per controllare i contratti di lavoro (controprogetto all’iniziativa basta dumping salariale, legge sul rafforzamento della sorveglianza); - che lo Stato decida e controlli chi, quando e come viene assunto (misure di sussidio all’occupazione); – che lo Stato apra e chiuda i negozi (legge sul lavoro e l’apertura dei negozi);
- che lo Stato, attraverso i decreti dello stato di necessità, decida chi lavora, quando e come; chi compra, cosa e dove e da poco che lo Stato dica cosa va coltivato, come va prodotto e commercializzato (sovranità alimentare).
Il guaio è che queste pretese (presunzioni fatali le chiamerebbe F. von Hayek) fanno presa perché incartate nell’ormai imperante politically correct economico. Guai a te, politico! Se non accetti tutto questo sei automaticamente e senza appello condannato.
Non si insisterà mai a sufficienza, e non si ricorderà mai troppo, che se stiamo bene non è un caso. Affinché ciò possa prodursi e continuare a realizzarsi c’è una condizione unica non negoziabile: salvare le aziende dalla demolizione politica. Dobbiamo tornare a insegnare, spiegare l’essenziale (nemmeno nei grandi atenei non lo fanno più!). L’azienda esiste e agisce solo e soltanto per tre scopi: primo, soddisfare i bisogni materiali dei consumatori; secondo, produrre profitto per i proprietari; e terzo, distribuire salari a chi lavora e merita.
L’azienda è il motore del nostro sviluppo economico e del progresso sociale. L’errore più colossale che stiamo facendo è quello di mungerla tramite tasse e balzelli e di caricarla imponendole per Legge una serie infinita di ruoli e di obblighi che non c’entrano nulla con il suo ruolo naturale. Dall’azienda si pretende ormai per legge:
- che si occupi dei neonati fino all’età scolastica (asili nido), che faccia ore di servizi sociali (ente caritativo); - che trasporti lavoratori e familiari
(agenzia ambientale);
- che assuma solo laureati e ingegneri (casta elitaria);
- che paghi salari senza relazione con
ciò che fa (ente filantropico);
- che assuma chi non ha bisogno
(agenzia di collocamento);
- che sia innovativa per decreto (club
statalista esclusivo);
- che non faccia differenze di merito
o altre (cellula comunista).
Intendiamoci, le aziende non possono creare diseconomie esterne dannose, ma da qui a imporre loro di svolgere compiti di politica statale (pessima) per legge, ce ne passa. Queste decisioni interventiste e sciagurate, prese sull’arco di una dozzina di anni, stanno già mostrando i primi effetti negativi, a volte drammatici, sul nostro sistema socioeconomico. I dati evolutivi dell’ultimo decennio, fino all’anno che ha preceduto la pandemia (2019), non mentono e ci inchiodano.
Il malessere sociale è in costante crescita:
▶ Welfare Index + 22,1%
▶ Disoccupazione ILO + 17,8% (12.231)
▶ Assistenza +38,8% (9.474)
▶ Emigrazione lavorativa inter-cantonale +35,4% (3.332)
▶ Persone a rischio povertà +43,5% (84.522)
Il mercato del lavoro è saccheggiato:
▶ I posti di lavoro sono cresciuti del +17%
▶ L’occupazione di stranieri +36,1%
▶ L’occupazione degli svizzeri e degli stranieri domiciliati -2,7%
▶ L’occupazione dei frontalieri +56,9%
▶ L’occupazione dei dimoranti +72,3%
▶ L’occupazione degli interinali stranieri +103,8%
Le ricadute della crescita economica sono insufficienti:
▶ PIL +17,1%
▶ PIL pro capite + 9%
▶ Esportazione -12%
▶ Pernottamenti in albergo -16%
▶ Il reddito da lavoro: salario mediano +4,7%
▶ Il salario mediano degli accademici -15%
▶ Il salario mediano dei non qualificati +18%
▶ Il reddito aziendale: gettito imposta utile e sostanza -13%
▶ Gettito in alcuni settori chiave -23%
▶ L’indebitamento dello Stato +54%
L’economia e quindi il mercato del lavoro ticinese stanno soffrendo non per il poco intervento statale, bensì per il troppo intervento con misure sbagliate.
Oggi in questo Parlamento andrete ad aggiungere un’altra tappa su questo percorso verso il declino dell’economia di libero mercato e la decrescita: la maggioranza deciderà di pagare, con i soldi degli altri, il 60% di salario alle aziende che assumeranno ultracinquantenni.
Una misura che avrà effetti perversi, forse volutamente non considerati nei due rapporti. Nei due rapporti non si trova nessuna risposta a domande fondamentali:
- Che razza di azienda è quella che per occupare un ultracinquantenne ha bisogno del sussidio dello Stato? - Che razza di lavoro viene offerto, se l’azienda non vuole pagarlo al 100%?
- Che razza di attività svolgerà l’ultracinquantenne in un’azienda che non ha bisogno di lui e che non vuole pagarlo per il lavoro che svolge? - Che razza di salute ha quell’azienda che licenzia gli ultracinquantenni per assumerli solo se sussidiata? -Che razza di competitività ha quell’azienda che ha bisogno dell’elemosina dello Stato per impiegare una persona over cinquanta?
- Cosa succederà a fine sussidio; se già l’azienda non aveva i soldi all’inizio di questo periodo, perché dovrebbe pagarlo al 100% alla fine?
Cosa succederà al mercato del lavoro:
- se gli ultracinquantenni costeranno ancora meno dei frontalieri?
- se i giovani locali costano troppo rispetto agli over 50?
- se i frontalieri over 50 possono beneficiare di questa misura?
- Che cultura imprenditoriale si genera con il pagamento degli stipendi da parte dello Stato?
- Che competitività economica si genera finanziando ditte incapaci di pagare il personale di cui hanno bisogno?
- Che frustrazione si genera negli over 50 sapendo che sono utili solo se non costano?
- Chi avrà il coraggio di togliere questa misura e quindi i soldi dalle tasche degli over 50 e delle ditte alla fine del periodo?
- Che moralità ha e che mentalità genera l’obiettivo di far rinascere, con questa misura, il diritto alla disoccupazione?
- Che ne sarà dell’over 50 a 18 o 24 mesi dopo il finto impiego, essendo di fatto ancora più fuori mercato di prima?
- Ma la cosa più importante: chi garantirà che la soglia di età non sarà poi abbassata a 45 anni e poi magari a 40 anni, provocando una reazione a catena deleteria, perversa e disumana?
Alla fine, si tratta assolutamente di una misura: diseducativa per i lavoratori e i datori di lavoro; irrispettosa della dignità del lavoratore che va pagato per il valore che offre e non con l’elemosina di Stato; che fa peggiorare ulteriormente il saccheggio del mercato del lavoro; che dà un pessimo segnale all’economia che compete con i propri mezzi favorendo invece le ditte decotte.
Se da una parte, in prima battuta, si potrebbe intravedere una sorta di buona azione verso chi ha perso il lavoro, dall’altra è l’ennesima decisione sbagliata che porta acqua al mulino del declino economico di questo cantone. Il miglior rilancio economico non sono i buonismi, per non dire populismi e i paternalismi di Stato, comunque sempre e solo invenzioni artif iciali di stampo socialista, ma più semplicemente permettere alle aziende di fare le aziende. Sarebbe bello poter togliere tutto quello che di storto è stato messo in piedi nell’ultima dozzina d’anni, le cause e gli effetti disastrosi sono stati descritti sopra; e anche oggi purtroppo invece di correggersi si continua a sbagliare.
Per questo votiamo un doppio NO sia al rapporto di maggioranza che a quello di minoranza.