Una coppia nel segno della cocaina
A processo un 35enne e una 28enne: hanno smerciato quasi 3,9 chili. Oggi la sentenza.
Una coppia, unita anche da una figlia, e purtroppo dal crimine. Sono i due accusati comparsi ieri dinanzi alla Corte delle Assise criminali di Lugano per rispondere alle accuse di infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti, riciclaggio di denaro, ottenimento illecito di prestazioni di un’assicurazione sociale o dell’aiuto sociale e falsità in documenti. Ma se per l’imputato le parti hanno trovato un accordo – sei anni di pena e dieci di espulsione dalla Svizzera – da proporre alla Corte, per l’imputata un’intesa non è stata raggiunta.
‘I soliti nomi, i soliti bar, i soliti giri’
L’accusa principale mossa al 35enne dominicano e alla 28enne kosovara – residente a Lugano lei, a Varese lui – è quella di aver trafficato quasi 3,9 chili di cocaina nel giro di sei anni e mezzo. «Una coppia – ha evidenziato la procuratrice pubblica – che ha vissuto di ozio, di feste, di inganni verso la famiglia e lo Stato». Droga destinata al territorio ticinese ha detto Chiara Borelli, «in un intreccio di coppie di acquirenti e di fornitori, con più legami. Ma sono i soliti nomi, i soliti bar, i soliti giri». E se, in virtù dell’accordo, della posizione dell’uomo sostanzialmente reo confesso si è discusso poco, l’attenzione è stata posta sul ruolo della giovane.
Assistenza sociale e bella vita
«Di questa triste storia lei è correa – per la pp –. Era spesso lei che trovava gli acquirenti, attingendo dal mondo delle escort. Era lei che metteva a disposizione il proprio appartamento. All’occasione confezionava le dosi, ritirava i soldi. Già incinta, l’ha accompagnato in macchina per consegnare lo stupefacente. Conosce tutti i dettagli. C’è un’organizzazione comune volta alla vendita redditizia di cocaina». Una posizione aggravata dal fatto che avrebbe truffato l’assistenza sociale, a beneficio della quale è stata per anni. «Non li aveva informati che aveva un compagno che era venuto a vivere da lei nel 2014, né dei guadagni percepiti illecitamente». In tal modo avrebbe incassato indebitamente secondo la pubblica accusa circa 117’000 franchi.
‘Sfruttava il sistema per i giubbotti di Versace’
Le foto sui social della bella vita, tra feste, viaggi e abbigliamento costoso, hanno insospettito i servizi sociali, che un paio d’anni fa hanno fatto delle verifiche. «Ma lei ha mentito e ha continuato a falsificare i documenti. È un peccato – ha detto Borelli –, perché l’importanza di uno Stato che garantisce un’assistenza a chi è più povero, soprattutto dopo mesi di pandemia, lo si apprezza ancora di più. Lei ha continuato a sfruttare questo sistema di pilastri per delle scarpe di Philipp Plein o dei giubbotti di Versace: il nulla». Poche le attenuanti per la pp: «Solo la lunga detenzione alla Farera e il fatto che vi sia una bambina (nata l’anno scorso, ndr) in carcere con lei». È stata quindi chiesta una condanna a cinque anni e l’espulsione dalla Svizzera per dieci.
Il nodo dell’espulsione
È quest’ultima richiesta, forse, l’aspetto più delicato del procedimento. I capi d’accusa, se confermati, sono gravi da giustificare un’espulsione, che come noto può essere impedita soltanto nei cosiddetti casi di rigore, ossia prevalentemente in situazioni nelle quali l’imputato ha legami tali col Paese che lo giustifichino. «Non ci sono i parametri per riconoscere il caso di rigore – secondo Borelli –. L’imputata in Svizzera ha intrattenuto rapporti con un gruppo ristretto di persone prevalentemente di nazionalità dominicana, e dal 2012 ha trascorso quasi ogni anno un mese all’anno in Repubblica Dominicana, dove vivono i nonni della bambina. E la piccola ha un’età tale per cui non è di ostacolo il non rimanere in Svizzera. Lo Stato l’ha aiutata in tutti i modi e di questo si è approfittata».
La difesa: ‘Lei è stata succube di lui’
Di tutt’altro tenore la tesi della difesa dell’avvocato Stefano Pizzola. Pur essendo rea confessa anche la 28enne, non si ritiene correa ma solo complice. «Senza voler banalizzare l’accaduto, per comprendere la sua posizione – ha detto il legale –, bisogna evidenziare che quando si sono conosciuti lei si è vista aprire davanti a sé l’opportunità di una vita agiata che prima non aveva. È stata ammaliata dallo stile di vita che lui le proponeva». E anche la relazione è stata dipinta a tinte decisamente più fosche rispetto a quelle dell’accusa: «Una coppia difficile, probabilmente per debolezza di carattere lei ha accettato questa situazione. Ma dallo spaccio di cocaina non ha guadagnato nulla, al massimo lui le faceva dei regali». E anche i soldi riciclati (284’000 franchi), ha sottolineato la difesa, «sono stati inviati quasi tutti a Santo Domingo ai parenti di lui. La loro relazione è stata violenta, fatta di botte e minacce. Lei era succube e non è riuscita a troncarla». Affermazioni queste ultime che non sono piaciute a Sandra Xavier, avvocata del 35enne, che ha ricordato come episodi di violenza non figurino nell’atto d’accusa, né alla pp: «Non è corretto parlare di maltrattamenti, che non mi sono mai stati esplicitamente riferiti» ha detto Borelli.
‘Sarebbe spaesata nel suo Paese d’origine’
Per Pizzola in ogni caso la sua assistita «non è una spacciatrice arguta o subdola. È stata coinvolta marginalmente, in uno stato di soggezione forse anche legata dalla paura che le minacce e le botte avevano procurato». Ha chiesto quindi tre anni di pena, dei quali uno da scontare, «in modo che possa dedicarsi alla propria bambina». E l’avvocato respinto l’ipotesi dell’espulsione: «È nata e cresciuta in Ticino, qui risiedono tutti i suoi familiari. Si troverebbe totalmente spaesata in Kosovo, partirebbe con una bambina di un anno e si troverebbe in difficoltà nel suo Paese d’origine, del quale non parla nemmeno bene la lingua. L’illecito nei confronti della pubblica assistenza è grave, ma non tale da comportare una minaccia all’ordine pubblico come l’espulsione richiederebbe. Bisogna che lei e la figlia abbiano un’ulteriore occasione». Da parte loro, i due imputati si sono detti entrambi pentiti e dispiaciuti. Arrestati lo scorso luglio, lei oggi si trova con la figlia in un penitenziario femminile nel Canton Berna, mentre lui ha sottolineato di essere finito nel giro dello spaccio perché è diventato un consumatore. «Io l’ho portata su questa strada» ha detto della compagna, interrogato dalla presidente della Corte Francesca Verda Chiocchetti. La sentenza è attesa oggi.