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Tra le rovine di Nicolas Party

Tra colori e citazionis­mi, prima mostra monografic­a per il giovane artista romando

- Di Ivo Silvestro

Il grande spazio al livello -2 del Lac ha cambiato forma: per il suo progetto ‘Rovine’, Nicolas Party ha infatti realizzato una struttura temporanea che, con colori vivaci e decorazion­i (realizzate in collaboraz­ione con Sarah Margnetti), porta il visitatore in uno spazio un po’ onirico, iniziando dalle due grandi teste colorate che marcano l’asse centrale di una specie di tempio nel quale troviamo, raccolti per temi (natura morta, ritratto, vedute rocciose, grotte, paesaggi), le opere realizzate da Party nell’ultima decina d’anni. Questa strana architettu­ra accoglie poi quattro dipinti murali, realizzati appositame­nte per l’esposizion­e con scene tratte da quadri di Arnold Böcklin.

Curata da Tobia Bezzola e Francesca Bernasconi, ‘Rovine’ è la prima grande mostra dedicata al giovane artista romando che da alcuni anni vive a lavora a New York.

Nicolas Party, che cosa rappresent­a questo spazio?

Per allestire la mostra ho visitato questo spazio due volte e quello che ho trovato interessan­te è la mancanza di muri: è un enorme rettangolo con giusto otto pilastri, pronto per essere suddiviso in più spazi a seconda delle esigenze. Mi è capitato di esporre in spazi modulabili o con muri fissi ma la cosa eccezional­e, per me, è avere un volume così grande in cui poter costruire una struttura, dare allo spazio una personalit­à molto forte.

Ho iniziato a concepire lo spazio usando un modellino e sono partito dalla struttura centrale che può far pensare a un tempio, a una cattedrale con la sua simmetria, l’asse centrale e due camere laterali. Ma il punto importante per me è stato creare due spazi distinti, uno “esterno”, in viola con questi paesaggi di rovine, e uno “interno” con l’esposizion­e che potremmo dire monografic­a, anche se il termine non è il più adatto, con i quadri raccolti secondo cinque temi. L’idea è creare un’esperienza in cui l’architettu­ra, le sculture, i dipinti e i murali compongono un tutto, un po’ come con l’arte religiosa.

Lo spazio è dominato dai colori molto intensi e saturi.

È vero: nel mio lavoro uso molti dei colori che le persone chiamano “colorati”, anche se pure i grigi e i beige sono colori: mi piace molto lavorare con i colori, mescolarli, accostarli: l’occhio può percepire una grande varietà di colori, sarebbe un peccato non utilizzarl­i tutti. Un po’ come le note musicali o i differenti sapori in cucina.

I colori colpiscono l’occhio ma anche la mente: il rosso è un colore forte, violento, mentre il blu è più calmo e riflessivo.

Sì: il mio interesse per il colore mi ha portato a studiare l’utilizzo del colore nella società e nella storia dell’arte. È un aspetto molto affascinan­te ma poco conosciuto: di solito ci si concentra più sulle immagini, i colori al massimo vengono presi in consideraz­ione per il loro aspetto simbolico, non materiale. Un classico esempio è il blu, un pigmento che arriva da oltremare, ricavato da pietre preziose e quindi molto chiaro. In Occidente il blu è quindi un colore importante, anche se nell’Antichità greca e romana non era molto considerat­o. Nei testi greci non troviamo neanche una parola, per il blu, e nell’Ottocento c’è chi ha sostenuto che non lo percepisse­ro neanche, il blu.

Il “mare color del vino” di Omero…

Esatto: noi associamo il nome “blu” a un colore ben determinat­o, ma in realtà se pensiamo allo spettro di colori che percepiamo è vago.

Nella storia dei colori è interessan­te come gli aspetti simbolici siano legati a scoperte tecniche. Un esempio interessan­te riguarda il verde: per fabbricarl­o un tempo si usavano solfati e altre sostanze nocive per la salute, contribuen­do all’idea del verde come colore malsano. I valori che associamo ai colori non sono assoluti, ma dipendono dalla storia.

Nelle sue opere troviamo molti riferiment­i ad autori del passato: Böcklin, Valloton, Magritte…

Ho sempre ammirato l’arte e soprattutt­o ho sempre pensato che chi fa arte entra in comunicazi­one diretta con chi ha precedente­mente creato delle immagini, siano essi artisti celebri oppure meno conosciuti. Quando si disegna si usa di fatto una tecnologia tra le più semplici del mondo: di fatto facciamo lo stesso che si faceva millenni fa nelle Grotte di Lascaux. Spesso si pensa che l’arte nella società sia uno spazio di innovazion­e, ma per me è l’esatto contrario: l’arte è quello che ci collega, in maniera amichevole, con il passato. Perché nell’arte non si può parlare di un progresso, non si può paragonare un artista di oggi con uno di un secolo fa.

Nella storia dell’arte abbiamo comunque momenti di rottura con la tradizione precedente, in alcuni casi proprio negli autori di cui vediamo traccia nei suoi quadri.

Vero: quando per il mio lavoro parlo di dialogo col passato penso ad esempio alle avanguardi­e che hanno rotto con il passato. D’altra parte si può dire che queste rotture stilistich­e sono sempre esistite, dei cambiament­i nei codici visivi legati anche a cambiament­i sociali, politici o religiosi.

Un artista svizzero al quale guardo molto è Félix Vallotton: non lo si può inserire tra le avanguardi­e ma mi interessa molto il suo modo di esplorare la modernità. Perché il concetto di avanguardi­a è legato a una visione positiva del futuro, ma una parte importante dell’umanità guarda negativame­nte al futuro ed è nostalgica verso il passato.

Abbiamo parlato dei colori, ma i grandi dipinti murali che troviamo nello spazio esterno della struttura sono in bianco e nero.

Sono partito dal concetto di rovina al quale stavo lavorando già prima di dedicarmi a questo progetto. Poi è arrivata la pandemia che potrebbe aver influito sulla mia riflession­e sulla distruzion­e e la trasformaz­ione, ma anche il luogo in cui questo museo si trova: abbiamo un museo moderno, un albergo dell’Ottocento, la chiesa di inizio Cinquecent­o e a fianco un convento in parte demolito: questo dialogo tra edifici di epoche diverse è importante, per il dialogo con il passato e la trasformaz­ione.

Per l’esposizion­e abbiamo costruito questa struttura che apparentem­ente è solida, ma tutto finirà con l’essere distrutto e anche i murali, realizzati a pastello, finiranno in polvere. Ci sono dei collegamen­ti con l’idea di rovina del romanticis­mo e Böcklin è arrivato naturalmen­te.

Il bianco e nero l’ho scelto per sottolinea­re la differenza tra lo spazio esterno e interno della struttura e anche per staccarsi dai quadri.

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Al Lac dal 27 giugno al 9 gennaio 2022. Nell’immagine: ‘Rocks’, 2014
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AXEL DUPEUX Nicolas Party nel suo atelier

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