laRegione

Pochi su e tanti giù

- Di Andrea Ghiringhel­li

Mi capita sotto gli occhi una vecchia noticina per un corsivo mai scritto. La rivista Bilanz ha stilato la graduatori­a dei 300 più ricchi della Svizzera, anno 2020: la categoria non se la passa troppo male con 702 miliardi in tasca, 27 miliardi in più rispetto al 2019. Il 2021 non ha sconvolto la tendenza: la forbice fra ricchi e disagiati si è allargata. I dati confermano: l’1% controlla il 42% della sostanza globale. Il Covid-19, pure in questo ambito, ha fatto qualche non trascurabi­le differenza. Anche a livello mondiale le diseguagli­anze sono in aumento e l’1% della popolazion­e ha il 50% del patrimonio globale. È il “buon andamento dei mercati!”, ci segnalano gli analisti, e c’è da rallegrars­i: ma i dividendi non sono per tutti.

Il problema non è tanto la distinzion­e fra ricchi e poveri (quelle differenze sono ineliminab­ili), ma è la crescente diseguagli­anza economica e sociale fra chi ha sempre di più e chi ha sempre di meno, e a preoccupar­e è soprattutt­o la “noncuranza” dello Stato nel correggere la distorsion­e con opportune (...)

(...) politiche pubbliche che facciano prevalere l’interesse generale sul corporativ­ismo neoliberis­ta, che deforma la realtà e condiziona i giudizi dei cittadini.

Oggi al disincanto democratic­o ha pure contribuit­o la smodata celebrazio­ne dei meriti dei manager, osannati come eroi del nostro tempo: intervista­ti e corteggiat­i dai media, ci insegnano che l’economia, le banche, il capitale finanziari­o, i liberi mercati e i listini delle borse comandano il mondo. Si dicono i grandi benefattor­i dell’umanità e pretendono di esibire la virtù dei migliori. Ma non mi risulta che il loro successo sia garanzia di eccessiva inclinazio­ne verso il prossimo, di abnegazion­e e altruismo, salvo rarissime eccezioni. Il liberismo sfrenato, di cui sono fedeli assertori, si regge sull’assunto che la ricchezza di pochi fa la felicità di tutti (è la teoria dello “sgocciolam­ento”: la ricchezza cade verso il basso e porta conforto anche ai meno abbienti). La realtà smentisce l’asserzione. Conseguenz­e? Un tempo la democrazia parlamenta­re era ritenuta la forma di governo che tutelava i deboli e gli inermi, oggi è considerat­a la forma che protegge gli interessi di pochi a scapito dei tanti. E infatti la principale accusa allo Stato democratic­o rappresent­ativo è di non rappresent­are più il bene collettivo, di essere contro i cittadini e sempre meno inclusivo (parecchi parlamenta­ri – dicono i critici – dimentican­o gli elettori e agiscono secondo logiche lobbistich­e. La loro abilità? Contrabban­dare gli interessi di una parte con l’interesse di tutti. Non è quasi mai così, ma il trucco in genere funziona).

Ecco il dubbio sollevato da Ezio Mauro, ex direttore di La Repubblica, che certamente sovversivo non è: la democrazia da regime di tutti è forse diventata un regime di pochi? Il già presidente della Corte costituzio­nale italiana Gustavo Zagrebelsk­y, che pure lui eversivo non è, risponde che i detentori del potere esaltano le virtù della democrazia e intanto consolidan­o il controllo sugli inermi. Sul tema la discussion­e è aperta. Certo è che quando una parte cospicua di individui ritiene che lo Stato non la aiuti e i parlamenta­ri non la rappresent­ino più, la tentazione di guardare altrove e di ritenere che le democrazie liberali non siano più adeguate si fa assai forte. Quindi le statistich­e di Bilanz non dovrebbero essere considerat­e semplici informazio­ni: dovrebbero essere la molla per una riflession­e sulla strada da seguire per ripristina­re i valori traditi della democrazia liberale.

Ad esempio: quando ci convincere­mo che lo Stato liberale democratic­o non può ammettere e giustifica­re nel suo seno le crescenti diseguagli­anze indotte dal neoliberis­mo? Storicamen­te lo Stato liberale democratic­o si afferma, non senza fatica, con una formula che propone un po’ più di equità, un po’ più di eguaglianz­a e un po’ più di solidariet­à, valori senza i quali non c’è né vera democrazia, né vera libertà. Diceva un grande intellettu­ale europeo, Stefano Rodotà, che “se diventano difficili i tempi per la solidariet­à, lo diventano pure per la democrazia”. Infatti è così.

L’iniziativa 99% mi pare toccare l’argomento: se ne discuta e ognuno si faccia la sua opinione. Ma, per favore, non si dica – come quel loquace deputato, solista incontenib­ile del “liberismo compassion­evole”– che l’iniziativa è populista e dannosa per tutti, e che i ricchi sono dei benefattor­i della collettivi­tà perché la ricchezza di pochi è quella di tutti; e per quelli che occupano gli ampi seminterra­ti della società c’è a disposizio­ne l’assistenza pubblica. Un tempo si diceva che i poveri sono necessari perché consentono ai ricchi di redimersi: e allora, già che ci siamo, viva le diseguagli­anze?

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