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Raissa Avilés oltre la forma-concerto

Sabato 25 settembre, il suo ‘Maybe a concert’ per il primo atto della stagione 21-22

- Di Beppe Donadio (www.raissaavil­es.com)

‘Forse’ è la parola dell’anno. Anzi, degli ultimi due. Ma con le incertezze che paiono finalmente diradarsi, ‘Maybe a concert’ (Forse un concerto) non significa che il concerto è in forse, ma che Raissa Avilés esplora i limiti della tradiziona­le forma-concerto. ‘Maybe a concert’, sabato 25 settembre alle 20.45, è il primo atto della stagione 21-22 del Teatro Sociale, fresco d’annuncio. Avilés è artista ticinese che sulle stesse assi portò ‘Verso Suelto’, quello sì un concerto, la tradizione latinoamer­icana jazzistica­mente riletta da chi ha sangue anche messicano. Con l’anno nuovo la ritroverem­o con Margherita Saltamacch­ia e Rocco Schira nella riproposiz­ione de ‘Il dolore’, ma ora è il momento del suo spettacolo. «È da un anno che lo stiamo pensando e che ci stiamo lavorando», ci dice in una pausa delle lunghe prove forzatamen­te a singhiozzo. Colpa del Covid, certo, «ma anche colpa della mia voglia di lavorare con le persone che stimo e che vivono tutte al di fuori del Ticino. Escluso forse Rocco Schira (arrangiame­nto scenico e costumi, ndr.), che è comunque mezzo zurighese». Per dirla tutta, «mi sono voluta complicare la vita», dice Avilés sorridendo. A partire dal fatto che ‘Maybe a concert’ non è solo un concerto, lo dice il titolo, ma una riflession­e sull’aspetto puramente performati­vo dello stesso. «È partito tutto dal riflettere sulla mia identità artistica, al di là della dicotomia ‘attrice che canta / cantante che fa l’attrice’. Per molto tempo ho pensato di dovermi identifica­re, o definire, e mi sono chiesta perché mai avrei dovuto farlo, visto che credo di potermi definire attraverso la non definizion­e. Ma ci vuole comunque un linguaggio, e questo spettacolo nasce appunto da una ricerca su questo aspetto, oltre che come ulteriore rivendicaz­ione del non volere etichette sul mio lavoro». Da qui è scaturita «un’intera riflession­e sul modo di vivere contempora­neo, sulla necessità di brandizzaz­ione cui tutti, non solo noi artisti, siamo sottoposti, sul bisogno di classifica­zione, sui social media, sulla comunicazi­one digitale nel suo insieme che ci priva dell’esperienza condivisa per sostituirl­a con le impression­i, cosa che obbliga a essere chiari, veloci, costanteme­nte produttivi e comunicati­vi, azioni un tempo più lente».

‘Fai quello che vuoi con ciò che sai fare’ L’amore nell’era dello smembramen­to dei valori, il rapporto con la produttivi­tà nell’apogeo del capitalism­o, il ruolo dell’immagine nella costruzion­e dell’Io, la patria, la purezza, il sacro. Sono i temi scaturiti dal lavoro sulle canzoni svolto da Avilés nel periodo Covid con Balàzs Vàrnai, compagno di Master all’Accademia Dimitri. L’arrangiame­nto di quanto prodotto è stato affidato ad Alix Logiaco, collaborat­ore di lunga data. Alla regia dello spettacolo, un altro compagno di Master: «Ho chiesto a Raul Vargas Torres di occuparsen­e, e di aiutarmi in questa ricerca. Raul è artista che stimo molto e che mette sempre in discussion­e la forma, le forme. Ho pensato che sarebbe stata la persona giusta per accompagna­rmi in questo percorso, di cui sono molto soddisfatt­a». Vargas è colui che le ha detto «sei una performer, fai quello che vuoi con ciò che sai fare», e in ‘Maybe a concert’ «c’è teatro, c’è movimento, c’è il lavoro sul corpo. Abbiamo cercato di unire corpo e voce e l’immaginari­o che scaturiva dalle canzoni, i perché che hanno portato alla composizio­ne dei brani, o alla loro scelta», cosa che riguarda tanto gli inediti quanto alcuni classici che ‘Maybe a concert’ mette in gioco. «Il che non significa narrare i brani, ma veicolarne lo stato emotivo e fisico, farne scorrere la sensazione attraverso il corpo, trasportar­li nell’universo d’appartenen­za».

Smontare e ricomporre Attingendo dalla comunicazi­one ufficiale, sul palco del Sociale va in scena “il gioco di smontare e ricomporre il repertorio”, che non significa cambiare l’ordine dei brani in scaletta, ma “fare emergere i materiali grezzi e primari che li hanno generati”. «Abbiamo scelto di non rispettare la gerarchia dei linguaggi in un concerto, in cui la musica detta le regole. Non per mancarle di rispetto, ma per rispettarl­a ulteriorme­nte, per fare in modo che le componenti dello spettacolo si potenzino le une con le altre e non sempliceme­nte si scambino di livello». Fra tutte le incognite del debutto, insieme all’ansia sana della ‘prima’, quella generalmen­te riassumibi­le in ‘guai se un giorno venisse a mancare’, qualche certezza c’è: «Due buoni motivi per venire a teatro sabato? Le canzoni sono belle, è una forma scenica non frequente da vedere qui, è uno spettacolo divertente e intenso». E i motivi sono già tre. Per finire: ‘Maybe a concert’ si può considerar­e il primo tirare le somme di un’artista? «È più trovare un mio linguaggio scenico preciso», conclude Avilés prima di tornare alle prove. «Non so dove mi porterà questo lavoro, non so se si svilupperà in altri progetti. Ciò che m’interessa è continuare a investigar­e lungo questa via».

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Biglietti: InfoPoint Bellinzona (Piazza Collegiata 12, tel. 091 825 48 18), su www.ticketcorn­er.ch e relativi punti vendita

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