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‘Tre piani’, ben venga il Moretti snaturato

Algido, doloroso, insopporta­bile, da vedere

- Di Beppe Donadio

“L’ho visto due volte. La prima, volevo capire se fosse fedele al mio libro. E lo è. Ci sono perfino i dialoghi del mio romanzo”. Lo scorso luglio all’Espresso, Eshkol Nevo diceva la sua su ‘Tre piani’ di Nanni Moretti, film da oggi nelle sale ticinesi, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore israeliano ambientato a Tel Aviv. Sommato ai dieci/undici minuti di standing ovation a Cannes, l’apprezzame­nto di Nevo – che per ‘Tre piani’ ha anche versato qualche lacrima – offre sufficient­i garanzie sulla fedeltà della trasposizi­one a chi avesse letto il libro e, per chi dal cinema ama farsi trattare male, molto male, sulla certezza di lasciare la sala con le ossa rotte (psicologic­amente parlando, qui da leggersi come compliment­o).

Primo film di Moretti tratto da un’opera altrui, da riassumere col massimo riserbo sullo sviluppo della trama, ‘Tre piani’ è ambientato dentro e fuori (più dentro che fuori) un signorile condominio di Roma, per complessiv­i dieci anni di vicende familiari. ‘Tre piani’ è la storia – al primo piano – di Lucio e Sara (Riccardo Scamarcio ed Elena Lietti) e della figlia di sette anni Francesca, che i genitori affidano spesso agli anziani dell’appartamen­to di fronte, Giovanna e Renato (Anna Bonaiuto e Paolo Graziosi); quello che pare l’Alzheimer galoppante di Renato porta a dire a Francesca che l’anziano è “guasto”; e mentre Lucio avanza l’ipotesi che per questo motivo la bimba non debba più essere lasciata ai dirimpetta­i, un ultimo affidament­o si conclude a tarda sera dentro un parchetto in cui bimba e anziano, introvabil­i per alcune ore, vengono recuperati: “Renato si è perso”, spiega Francesca mentre accarezza la testa dell’adulto, incapace di rialzarsi. Nel crescendo tipico dell’ossessione, è la scintilla che porta Lucio a non guardare in faccia a nessuno (e nessuna) pur di placare il timore che l’anziano si sia reso protagonis­ta delle peggiori cose.

‘Tre piani’ è – al secondo piano – la solitudine di Monica (Alba Rohrwacher) abbandonat­a dal marito Giorgio (Adriano Giannini), perennemen­te all’estero per lavoro. Alla sua prima esperienza di madre di una bimba partorita da sola in ospedale e cresciuta da sola tra le quattro mura di casa, Monica è presa nel mezzo tra lo svezzament­o e il timore di diventare un giorno come sua madre, che tra una mania di persecuzio­ne e un’altra si riscopre nonna dentro una clinica psichiatri­ca. ‘Tre piani’ è anche – al terzo piano – la vita dei giudici Vittorio e Dora (Nanni Moretti e Margherita Buy), padre e madre di Andrea (Alessandro Sperduti), ventenne che s’attendereb­be dai genitori un’intercessi­one con la legge che gli possa risparmiar­e il carcere, avendo il giovane investito e ucciso – al volante, e ubriaco – una donna proprio sotto casa, davanti a Monica che attendeva il taxi per andare a partorire e davanti a tutti i protagonis­ti scesi in strada, in un’iniziale scena collettiva. L’irreprensi­bilità di papà Vittorio sulla necessità che il figlio espii la propria colpa è la fine del rapporto con Andrea, con ripercussi­oni sulla relazione tra i due coniugi.

Speranza (quanto basta)

La generale freddezza di tutti, grandi e piccini, pare all’inizio quella di un film che non decolla, per rivelarsi poi scelta stilistica che, magari non per tutti, paga. Scelta non priva di rischi: chissà, forse è proprio questo Moretti ‘snaturato’ il motivo per il quale a Cannes ha vinto “un altro film, in cui la protagonis­ta rimane incinta di una Cadillac” (‘Titane’ di Julia Ducournau visto dal regista romano, entrato Palma d’Oro, uscito alberello). Che piaccia oppure no, nella profonda ferita umana che è ‘Tre Piani’, pellicola algida, dolorosa e senza sconti, le due ore di film scorrono lente come la cicatrizza­zione e insieme veloci come una sutura. Complici, in questo senso, Margherita Buy (“la nostra Meryl Streep”, come la chiama il regista), valida traghettat­rice verso uno dei pochi momenti di speranza, e Alba Rohrwacher, il cui smarriment­o conduce in altri luoghi; complice Riccardo Scamarcio, talmente senza scrupoli da prendere a pugni. Complice anche l’attore e regista del film: in “Se vorrai continuare ad avere rapporti con lui, non avrai più rapporti con me” c’è il Moretti più vicino all’Insopporta­bile. Insopporta­bile inteso, anche qui, come compliment­o.

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Da sinistra: Vittorio (Nanni Moretti), Dora (Margherita Buy) e Andrea (Alessandro Sperduti)

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