Tredici anni d’indagini per un nulla di fatto
Certamente la Procura generale, che ieri ha scelto un laconico “leggeremo le motivazioni”, impugnerà in Cassazione. Ma per il momento si chiude una storia lunga 13 anni, fatta di polemiche anche aspre e di processi interminabili. Almeno tre oltre a questo: due agli ufficiali del Ros, accusati e sempre assolti, di aver fatto favori alla mafia per portare avanti la trattativa, uno all’ex ministro Dc Calogero Mannino, per i pm primo motore del dialogo Stato-mafia. Prosciolto in tre gradi di giudizio con un verdetto, ormai definitivo, che nega l’esistenza della trattativa. Sentenze pesanti che hanno minato gravemente l’impianto accusatorio. La storia sarebbe cominciata dopo l’uccisione dell’eurodeputato Salvo Lima nel marzo 1992 e sarebbe entrata nel vivo pochi mesi dopo, tra l’attentato a Giovanni Falcone e la strage di via D’Amelio in cui morì Paolo Borsellino. In quella stagione sarebbero cominciati gli incontri riservati del comandante del Ros, Mario Mori, e del suo braccio destro Giuseppe De Donno con Vito Ciancimino. Per la Procura di Palermo da lì sarebbe partita la ‘trattativa’ tra Stato e mafia. No, hanno sempre sostenuto i due: quella era un’attività investigativa, che trova ora riscontro nella sentenza d’appello, con cui si mirava a fermare le stragi e a catturare Totò Riina. Le posizioni non sono mai cambiate sin da quando, nel 2008, il caso è diventato un fascicolo giudiziario: 13 anni di indagini sfociate nell’assoluzione di investigatori e politici. Nel 2012 la vicenda approdò in dibattimento con l’udienza preliminare. Tra gli accusati, anche l’ex ministro Calogero Mannino, dal quale tutto sarebbe partito: per l’accusa sarebbe stato lui a innescare la ‘trattativa’ dopo avere ricevuto pesanti minacce dalla mafia. Mannino è però uscito di scena: ha scelto il rito abbreviato ed è stato assolto definitivamente in Cassazione l’11 dicembre 2020. Una sentenza che verosimilmente ha influito in modo determinante sulla decisione della Corte d’Assise d’appello.
In primo grado il dibattimento era cominciato il 27 maggio 2013 e si era concluso con condanne molto severe il 20 aprile 2018, quando Riina e Provenzano erano già morti. La pena più grave – 28 anni – era andata a Bagarella. E poi 12 anni per Mori, Subranni, Dell’Utri e Cinà, 8 per De Donno. La condanna a 8 anni di Ciancimino (calunnia) è già prescritta, così come le accuse a Brusca. Per i giudici di primo grado la ‘trattativa’ dunque ci fu ed era illegittima perché protagonisti erano uomini delle istituzioni e soggetti che “rappresentavano l’intera associazione mafiosa’. Su questa tesi accusa e difesa hanno ingaggiato un confronto serrato nel giudizio di appello, cominciato il 29 aprile 2019. E stavolta il verdetto è ribaltato. C’erano le minacce della mafia ma non la ‘trattativa’.