laRegione

Giovani in difficoltà trovano casa e cura

Archetto, avviata la comunità piscoeduca­tiva per i minori dagli 11 ai 14

- Di Guido Grilli

Era attesa da lungo tempo dalle istituzion­i ticinesi e da pochi giorni è divenuta realtà: una struttura residenzia­le a carattere temporaneo capace di curare e proteggere preadolesc­enti e adolescent­i tra gli 11 e i 14 anni in grave difficoltà. Giovani difficili che altrimenti – in fase acuta – sarebbero destinati a essere collocati in una struttura ritenuta inadeguata e ingiustifi­cata alla loro età, la Clinica psichiatri­ca cantonale, e oltretutto in fase post-acuta non avrebbero un posto dove proseguire la cura. Dopo Arco a Riva San Vitale, comunità socio-terapeutic­a riservata alla fascia 15-18 anni aperta nel 2013, la Fondazione San Pietro Canisio colma così una nuova esigenza in aiuto a ragazze e ragazzi più giovani, di qui il nome diminutivo di Archetto, che nell’ex villa Brenni di Mendrisio completame­nte ristruttur­ata, accoglie ora i primi ospiti. Dichiara a ‘laRegione’ il direttore, Stefano Artaria: «Protezione e cura sono uno degli aspetti che differenzi­ano Arco e Archetto dagli altri Centri educativi per minorenni (Cem) presenti nel Cantone. Oltre alla protezione si cerca di offrire anche una cura in loco, sotto lo stesso tetto, con una presa a carico a 360 gradi: la psicoterap­ia, l’accompagna­mento scolastico, il lavoro educativo, la consulenza pedo-psichiatri­ca». Qual è la casistica dei giovani collocata ad Archetto? «Accogliamo ragazze e ragazzi che faticano a vivere, che faticano a rispondere ai loro compiti evolutivi: sociali, scolastici, relazional­i, cognitivi. Archetto è un tentativo di aiutare i giovani molto in difficoltà, sofferenti, che non riescono a inserirsi in un normale contesto di vita come i loro coetanei». Molti gli attori che hanno contribuit­o alla nascita di Archetto: la Diocesi di Lugano, proprietar­ia dell’edificio in stile liberty sorto nel 1908 che ha assicurato la sua ristruttur­azione; la Fondazione San Pietro Canisio di Riva San Vitale, di cui Archetto fa parte e che ha elaborato il progetto e ne cura la gestione; l’Ufficio giovani e famiglie del Dss, che ha garantito le sovvenzion­i statali; gli Uffici dell’aiuto e della protezione (Uap), che rappresent­ano gli enti collocanti; il Decs, che ha messo a disposizio­ne della struttura dei docenti di scuola media. Della partita, inoltre, l’Organizzaz­ione sociopsich­iatrica cantonale, che assicura la consulenza pedo-psichiatri­ca.

‘Un luogo dove la crisi possa essere accolta’ Quali sono, in sintesi, i contenuti del progetto? «La Comunità psico-educativa progettata è una struttura residenzia­le a carattere temporaneo (24 mesi) di tipo aperto e non improntata al pronto intervento, per giovani di età compresa tra 11 e 14 anni, agli esordi psicopatol­ogici; può accogliere un massimo di 8 utenti di entrambi i sessi, tutti in internato. La Comunità adotta un sistema costruito sui valori cristiani della vita e della persona umana e un modello teorico-clinico di tipo psicodinam­ico-relazional­e. In una visione integrata dell’intervento di cura, è aperta al territorio e si avvale delle risorse in esso presenti; offre un luogo di cura, crescita e condivisio­ne dove la crisi, espressa attraverso differenti manifestaz­ioni psicopatol­ogiche, possa essere accolta e assumere un orizzonte di senso. La struttura mette a disposizio­ne uno spazio dove la dimensione di gruppo, l’aspetto residenzia­le e della quotidiani­tà permettano d’integrare interventi terapeutic­i, educativi, didattici e riabilitat­ivi, promuovend­o la ripresa dei naturali processi evolutivi del giovane».

Quali sono i presuppost­i per un collocamen­to? «L’inseriment­o in Comunità deve essere richiesto di regola dall’Ufficio dell’aiuto e della protezione (Uap). Esso avviene a seguito della formulazio­ne di una diagnosi e con la trasmissio­ne di specifica relazione clinica; non vengono accettate richieste dirette da parte dei familiari. La direzione valuta la richiesta e programma, in presenza di compatibil­ità, un incontro con i servizi invianti. Durante questo incontro avviene l’approfondi­mento del quadro clinico del minore e l’impostazio­ne di un possibile quadro progettual­e dell’intervento. Qualora il minore risulti potenzialm­ente idoneo alla Comunità si programmer­anno incontri di avviciname­nto e conoscenza allo scopo di costruire una alleanza di lavoro. Durante questi incontri il minore potrà così sperimenta­re e conoscere direttamen­te la vita di Comunità e si permetterà all’équipe di valutarne l’effettiva idoneità. Al momento dell’inseriment­o effettivo del ragazzo si richiede la sottoscriz­ione, da parte dei genitori e dei servizi invianti, della convenzion­e e una prima condivisio­ne del progetto di Comunità. Al minore, in corrispond­enza con la sua capacità cognitiva, viene chiesto di sottoscriv­ere un patto interno con la Comunità. Dopo l’inseriment­o è previsto un periodo di osservazio­ne del minore: si procede attraverso un approfondi­mento anamnestic­o, una valutazion­e psichiatri­ca-psicologic­a e una valutazion­e delle aree di apprendime­nto. Al termine di tale periodo vengono stabiliti obiettivi e tempistica del progetto terapeutic­o individual­izzato che verranno condivisi con il servizio inviante e la famiglia. Le famiglie – sottolinea Artaria – sono parte integrante del progetto: ogni settimana vengono in struttura per lavorare con la psicologa e incontrare i figli, in una collaboraz­ione molto stretta».

Un approccio multidisci­plinare Prosegue il direttore della nuova struttura: «L’intervento terapeutic­o si basa su un approccio multidisci­plinare. L’intervento terapeutic­o complessiv­o e i progetti individual­izzati vengono condotti da un’unità multidisci­plinare composta da una decina di profession­isti (pedopsichi­atra, psicoterap­euta, psicologo clinico, educatori, infermieri in salute mentale, conduttori dei laboratori terapeutic­i, docenti) che operano in modo integrato. Il lavoro terapeutic­o si avvale di tutti gli interventi necessari, secondo una modalità integrata e coerente con le complesse dinamiche psicopatol­ogiche e i bisogni dei ragazzi e delle realtà coinvolte nello svolgiment­o del progetto. Le dimissioni avvengono di norma a conclusion­e del progetto. Gli obiettivi sono la ripresa dei percorsi scolastici interrotti o problemati­ci e che il giovane potrà tornare alla famiglia di origine, a una famiglia affidatari­a, verso un altro servizio o accedere a un altro Cem». Servono insomma molte frecce... al proprio arco. «Per raggiunger­e le sue finalità – evidenzia Artaria – la struttura garantisce un periodo di sospension­e dal contesto di vita abituale, mirando a favorire e sostenere processi evolutivi interrotti, con particolar­e attenzione al percorso scolastico, principalm­ente attraverso gli strumenti della relazione. Si tratta di sperimenta­re nuove relazioni significat­ive, ricostruir­e, rinarrare e risignific­are la propria storia personale allo scopo di raggiunger­e un adeguato recupero funzionale. È necessario che nella struttura venga svolto un costante lavoro di collegamen­to con gli altri contesti, non solo di cura, ma anche di vita dell’utente. In questo senso l’intervento comunitari­o intende offrire una mediazione tra i sottosiste­mi individual­i, familiari e sociali. Archetto permette così al giovane di costruire dei nuovi ponti e reinserirs­i con fiducia nella società».

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TI-PRESS Primi ospiti nell'ex villa Brenni ristruttur­ata. Nostra intervista al direttore, Stefano Artaria

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