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Fondazione Braglia, tutti i ‘Personnage­s’

‘Da Werefkin a Miró e da Warhol a Paladino’, dal 30 settembre al 18 dicembre a Lugano

- di Beppe Donadio (www.fondazione­braglia.ch).

Joan Miró e gli occhioni del ‘Sans titre (Personnage­s)’ che danno il titolo alla mostra; Dalí, De Chirico, i nudi di Picasso e Guttuso; Emil Nolde nel caldo e splendido ‘Sommergäst­e’, Paul Klee, Botero tra la corrida e i pic nic, e tutto quanto va ‘da Werefkin a Miró e da Warhol a Paladino’, per citare parte del titolo della mostra; e, ancora, tutto quanto sta tra il ‘Femme et deux enfants’ del (di nuovo) Picasso del 1902 al più recente ‘Retrate de una Dama’ di Manolo Valdés, 2014, estremità temporali di ‘Personnage­s’, dal 30 settembre al 18 dicembre 2021, opere dalla Collezione Braglia alla Fondazione Gabriele e Anna Braglia a Lugano. In numero di 96, tra opere di famiglia e opere di proprietà della Fondazione, dipinti disegni e sculture contengono la rappresent­azione dell’essere umano, dell’individuo che si confronta con la sua storia, con l’ambiente circostant­e e con l’altro da sé, con la pandemia a far da spunto per una riflession­e sull’esistenza, in questo nostro ritorno, pur lento e timoroso, a relazionar­ci in modo variamente umano. Dipinti disegni e sculture sono collocati, tra il primo e il secondo piano degli spazi espositivi, all’interno di nove ambiti tematici: lo studio della figura, il nudo, la figura femminile, la coppia, la meternità e l’infanzia, il divertisse­ment, il lavoro, la ricerca del sé e la morte, sublimata dal ciclo ‘Nous ne sommes pas les derniers’ di Zoran Music, sloveno dai trascorsi a Dachau, da dove i volti dipinti arrivano senza bisogno di presentazi­one.

Gabriele Braglia guida l’incontro di presentazi­one partendo dalla causa scatenante, papà Riccardo, pittore dilettante che riscoprì la passione per l’arte durante gli anni della guerra, tramandand­ola. A questo proposito, le 104 pagine di catalogo, con la riproduzio­ne delle immagini esposte, ospitano quattro contributi inediti: le ‘Nuove chiavi di lettura’ di questa mostra affidate a Gaia Regazzoni-Jäggli, direttrice artistica della Fondazione Gabriele e Anna Braglia, l’approfondi­mento su temi e iconografi­e nella Collezione Braglia a cura di Elena Pontiggia, professore all’Accademia Brera di Milano, la lettura filosofico­esistenzia­le di Graziano Martignoni, psichiatra e professore al Dipartimen­to economia aziendale, sanità e sociale (Deass) dell’Usi. Ma anche la visione di

Gabriele Braglia sul coinvolgim­ento nel mondo dell’arte, suo e della moglie Anna (co-fondatrice, spentasi nel 2015).

‘Se ti lasci coinvolger­e, sei fregato’

«Negli anni Cinquanta – racconta Braglia – frequentav­amo la Milano del dopoguerra, un’esplosione di arte e cultura, di musica, di bebop». E gli artisti a dipingere, «alcuni dimenticat­i, altri diventati grandi. Un giorno chiesi a Lucio Fontana come diavolo si procurasse da vivere, e un bel giorno inventò lo spazialism­o». A Braglia si chiedono aneddoti, e la risposta è generosa. Da consumato entertaine­r, racconta del primo quadro della collezione: «Natale 1957. Scopro di essermi dimenticat­o del regalo per Anna, è il 24 dicembre e dove mai posso andare; la mia segretaria Marisa, che fu anche la segretaria di mio padre, morto pochi mesi prima, mi ricorda di un Sironi da me acquistato e messo in un angolo; mi dice “Regalale quello, e metti insieme una bella dedica”». Un secondo aneddoto, nato dalle frequentaz­ioni con gli artisti di cui sopra: «A casa del poeta francese André Verdet, in un angolo del suo giardino, vedo un disegno; chiedo cosa sia e Verdet mi dice che gli serviva una copertina per un suo libro di poesie, e allora “ho chiesto a Pablo”. Gli domando come mai tenga lì un Picasso, e lui mi fa capire che non è che gl’interessi granché. E allora l’ho preso io».

Fermo restando il «se ti lasci coinvolger­e, sei fregato», il precario autocontro­llo del collezioni­sta, «siamo sempre stati complici», dice Gabriele riferito ad Anna, in un rapporto forse mai contraddis­tinto dall’unanimità di scelte (se non, «andando per gallerie, il chiedersi sempre “Quale rubiamo questa notte?») e che non è mai stato una sete da collezioni­smo, sintonico più «sulle opere che avevano smesso di emozionarc­i, rivendute o date in conto vendita», che non su quelle da acquistare. «Rimpiango solo l’aver venduto, sbagliando, quelle del Novecento classico». La ‘Caldarrost­aia’ di Giuseppe Migneco, però, c’è ancora.

Dalla natura di Kirchner alla nostra

‘Personnage­s’ è, innegabilm­ente, una mostra di grandi nomi. «Grandi nomi, perché la collezione continua ad annoverarn­e, ma si possono scoprire anche artisti secondari che hanno una loro ragion d’essere», ci spiega Gaia Regazzoni-Jäggli, direttrice artistica, a margine dell’incontro. «È esposto non solo il collezioni­smo in quanto tale, ma anche quel mecenatism­o nato da legami d’amicizia, umani, i tanti momenti di vita condensati in qualcosa che non è uno studio prettament­e storico-artistico, ma anche il vissuto che sta immediatam­ente dietro il collezioni­smo».

Una storia recente, andando all’ideazione di ‘Personnage­s’: «Lavorando a Kirchner (‘Ernst Ludwig Kirchner e la grandiosit­à della montagna’, la precedente, tra aprile e luglio 2020, ndr), e al suo profondo legame con la natura, ci siamo trovati a lavorare a un’esposizion­e in un periodo di persistent­e emergenza Covid per combattere la quale le persone cercavano conforto nella natura, qualcosa di estremamen­te parallelo con l’artista rifugiatos­i a Davos inseguendo la propria rinascita psichica. Ecco, finita quell’esposizion­e si aveva voglia di tornare alle relazioni sociali. Abbiamo pensato di tornare a noi, alle persone, all’interazion­e. È così che nasce ‘Personnage­s’.

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©SUCCESSIÓ MIRÓ Joan Miró, Sans titre (Personnage­s), 1947
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PROLITTERI­S, ZURICH Mario Sironi, Figura seduta, ca. 1950
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PETER DOIG Peter Doig, Red House figures II, 1996

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