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Dal Ps serve più coraggio

- Di Jacopo Scarinci

In casa socialista rischia di essere un’occasione persa la decisione di scartare l’ipotesi referendum sull’iniziativa parlamenta­re dell’Udc che impone il pareggio di bilancio entro il 2025 agendo ‘prioritari­amente’ sulla spesa. Una scelta che non convince per almeno due motivi. Il primo è che risulta difficilme­nte comprensib­ile l’argomento portato avanti dal copresiden­te Fabrizio Sirica sul fatto che, avendo una base d’area del 25/30%, sarebbe complicato arrivare a convincere il 50% più uno dei votanti. Un referendum è sempre chiamato da una minoranza parlamenta­re o politica che sia, con lo scopo di rovesciare nella società e nel mondo fuori dal Palazzo una decisione presa dalla maggioranz­a parlamenta­re. Soprattutt­o consideran­do l’aritmetica: la votazione in Gran Consiglio è finita 45 a 39. Tutto ciò comporta che il tema della percentual­e di partenza diventa secondario rispetto al messaggio, al segnale che si vuole lanciare cominciand­o a raccoglier­e le firme. E qui si arriva al secondo motivo: questo referendum magari non sarebbe vinto, ma darebbe una forte scossa a un elettorato di sinistra che la accogliere­bbe e asseconder­ebbe ben volentieri. Mobilitand­osi su qualcosa di importante che avrebbe il merito di condurre, con la sua onda lunga, alla campagna elettorale per le cantonali del 2023.

Ma è oltre la contabilit­à che il Ps dovrebbe concentrar­e il proprio sforzo, perché il discorso è anche estremamen­te pratico. È stato detto, pure al comitato cantonale della scorsa settimana, che se del caso saranno combattute – prima in parlamento, poi alle urne – tutte le misure che andranno a colpire le fasce più fragili della popolazion­e e tutti i tagli che saranno eventualme­nte votati dalla maggioranz­a borghese. L’elenco non sarà breve. Davvero si vorrà combattere una per una ogni misura che, verosimilm­ente, andrà a colpire l’elettorato di riferiment­o socialista? Si faranno delle scelte consideran­do cosa è sacrificab­ile sull’altare dei conti in ordine e cosa no? Una netta presa di posizione anche fattuale oltre che teorica farebbe tornare il Ps al centro del dibattito come forza ‘offensiva’ e non solo ‘difensiva’, dando alla popolazion­e la possibilit­à di partecipar­e a un dibattito focalizzat­o sulle idee, sui progetti e sulle ricette da seguire per i prossimi anni. Non è poco.

Il piano di rilancio socialista recentemen­te presentato è un lungo e costoso elenco di misure sul quale è pacifico che andrà trovato un compromess­o su quasi tutto. Perché le forze in parlamento sono quelle che sono. Ma perché esse migliorino, perché alle elezioni crescano percentual­i e persone elette in Gran Consiglio, bisogna andare all’attacco. Una volta considerat­i gli equilibri nel Legislativ­o, si guarda fuori: a chi non vota, a chi vota senza intestazio­ne, a chi è deluso, a chi vorrebbe votare Ps ma da un lato è demotivato e dall’altro si rivolge alle alternativ­e d’area rappresent­ate da Verdi, Pc ed Mps. Dire al proprio comitato cantonale, e di rimpallo a tutti i propri elettori e simpatizza­nti, che non si lancia un referendum perché probabilme­nte lo si perderebbe dà un’idea di insicurezz­a e di consapevol­ezza della minoranza delle proprie opinioni che non fa bene agli ambiziosi progetti cui sta lavorando il Ps, tra piano di rilancio e salario minimo, dando indirettam­ente ragione a chi, negli altri partiti, sostiene ciò. Star chiusi in un angolo giocando in difesa per paura del voto popolare è l’esatto contrario di quello che dovrebbe fare una forza politica oggi, in uscita dalla pandemia. Ancor di più se ha l’aggettivo ‘socialista’ nel proprio nome e se si fanno tanti discorsi sul progressis­mo.

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