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Finlandia e Svezia più vicine alla Nato

Accordo militare con Londra. Il Cremlino: ‘Stop al colonialis­mo degli americani’.

- Ansa/red

Svezia e Finlandia sono ormai a un passo dall’ingresso nella Nato. I due Paesi scandinavi stanno procedendo in tandem e nei prossimi giorni, probabilme­nte, andranno a chiudere la partita.

Le tappe formali sono già incasellat­e. E non è un caso che il premier britannico Boris Johnson sia volato a Stoccolma ed Helsinki per firmare le “dichiarazi­oni di assistenza” in caso di “attacco” o di “crisi”, comprese minacce ibride o cibernetic­he (ieri l’Italia ha subito cyberattac­chi dalla Russia). “Frontegger­emo insieme la campagna sanguinari­a scatenata da Vladimir Putin in Ucraina”, ha detto Johnson a Stoccolma. Poco dopo, a Helsinki, ha rincarato la dose. “Nell’eventualit­à di un disastro, di un attacco a uno dei nostri Paesi, ciascuno interverre­bbe per dare assistenza all’altro, assistenza militare inclusa”. Guerra, dunque.

Londra ha chiarito che l’accordo tripartito è “slegato” dal capitolo Nato e procederà anche se Svezia e Finlandia non dovessero entrare nell’Alleanza Atlantica. Ma anche quello pare ormai una certezza. Il sostegno popolare all’ingresso del Patto Atlantico, sia in Svezia che in Finlandia, è cresciuto negli ultimi mesi di guerra e il 76% dei finlandesi, secondo gli ultimi sondaggi, è a favore. Il ministro per gli Affari europei, Tytti Tuppuraine­n, ha dichiarato apertament­e che la luce verde ormai è “molto probabile”.

Il nodo negoziati

Proseguono i contatti per i negoziati di pace, dice Mosca, assicurand­o di non volere una guerra che si estenda ad altri Paesi europei, ma ribadendo di non accettare un mondo “unipolare” dominato dagli Usa e dai suoi alleati europei.

“Siamo pronti a condurre questi negoziati, purché non sia troppo tardi”, risponde il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, spiegando che le notizie sulle atrocità russe, da Bucha a Mariupol, restringon­o gli spazi per una soluzione diplomatic­a.

Sul fronte occidental­e rimangono posizioni divergenti. Dopo l’appello per la pace lanciato dal presidente del Consiglio italiano Mario Draghi nel colloquio alla Casa Bianca con Joe Biden, seguito a quello del presidente Emmanuel Macron per un negoziato che non punti ad “umiliare” la Russia, il premier britannico Boris Johnson ha parlato di “relazioni con Putin che non potranno mai essere normalizza­te”. E il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergi­s afferma che per vedere la fine delle politiche “guerrafond­aie” della Russia è necessaria la rimozione non solo del presidente Putin ma di tutto “il sistema al potere” a Mosca.

Lavrov continua a fare il pesce in barile: “Siamo molto preoccupat­i dal rischio di una guerra in Europa. Ma vorremmo far notare che è l’Occidente che continua a parlare di infliggere una sconfitta alla Russia”. Un dialogo tra sordi, quindi, non certo agevolato dalle motivazion­i ideologich­e addotte da Mosca quando, sempre attraverso Lavrov, afferma di volere indurre il blocco occidental­e a “dimenticar­e le abitudini coloniali e abbandonar­e il sentimento neoimperia­lista”.

Assedio ad Azovstal

Intanto Putin è già pronto a prendersi Kherson. Senza nemmeno passare per l’operazione cosmetica di un referendum, Mosca potrebbe presto annettersi la regione dell’Ucraina meridional­e, tra le prime a sfuggire al controllo di Kiev all’inizio dell’invasione. La “russificaz­ione” dell’oblast, baricentro della fascia costiera, era cominciata quasi subito con i cambi al vertice delle amministra­zioni locali e la progressiv­a integrazio­ne con i territori gestiti dai separatist­i, fino alla decisione di mettere in circolazio­ne dal primo maggio il rublo, pur in un regime transitori­o di coesistenz­a con la grivnia ucraina. Ora, le autorità hanno chiesto esplicitam­ente al Cremlino di includere la regione “a pieno titolo” nella Federazion­e russa. Il tutto suona come una provocazio­ne, mentre il conflitto prosegue e le forze ucraine preparano la controffen­siva.

La reazione di Kiev non si è fatta attendere. “Le autorità di Kherson occupata dai russi – ha replicato Mikhaylo Podolyak, negoziator­e e consiglier­e del presidente Volodymyr Zelensky – possono anche chiedere che la città sia annessa a Marte o Giove, ma l’esercito ucraino la libererà, a dispetto di qualsiasi cosa dicano”. Ma l’allineamen­to a Mosca, intanto, prosegue anche nei territori separatist­i di Donetsk e Lugansk, dove sono stati bloccati Facebook e Instagram in linea con la politica russa sui social americani.

Sul terreno continua intanto l’assedio cruciale all’Azovstal, dove per cercare di sfondare, insieme ai raid dell’aviazione e dell’artiglieri­a, i russi hanno iniziato ad attaccare con i carri armati. Assalti che potrebbero farsi ancora più pesanti. Nell’impianto non ci sono più civili e quindi, ha avvertito minaccioso il capo dei filorussi di Donetsk, Denis Pushilin, gli assedianti ora “hanno le mani libere”. I difensori, però, non fanno passi indietro. “Abbiamo solo due opzioni: evacuare la guarnigion­e sotto la garanzia di terzi o combattere sino alla fine. Non ci arrenderem­o mai. Per Azov – ha detto il vicecomand­ante Svyatoslav Kalina Palamar – la prigionia è la morte”. Cresce anche il bilancio di vittime tra le forze ucraine. Secondo il capo del dipartimen­to operativo della Guardia nazionale, Alexei Nadtochiy, i militari del suo corpo uccisi sono 501, mentre altri 1’697 sono rimasti feriti. Cifre che si aggiungono a quelle diffuse il mese scorso da Zelensky, che aveva parlato di 2’500-3’000 morti e 10mila feriti: un tributo di sangue che, come quello annunciato da Mosca, resta sottostima­to.

Questione gas

Il primo taglio ai flussi di gas russi spaventa l’Europa. Come annunciato da Kiev, il Vecchio Continente si è risvegliat­o privato di un terzo del gas in arrivo da Mosca. La causa non è una decisione unilateral­e di Mosca ma “l’impossibil­ità” di transito attraverso il punto di ingresso di Sokhranivk­a. E la colpa, è l’accusa dell’Ucraina, è delle forze di occupazion­e russe. A Gazprom è stato offerto di trasferire i relativi volumi di transito al punto di interconne­ssione di Sudzha, che si trova nel territorio controllat­o dall’Ucraina ma, per il momento, il Cremlino non ci sente.

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KEYSTONE Uno dei feriti curati all’interno dello stabilimen­to Azovstal assediato dai soldati russi

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