laRegione

‘La fragilizza­zione parte da destra’

Elemento essenziale della democrazia, ‘ma c’è chi vede nel giornalism­o un problema’

- di Cristina Pinho

«Questa decisione si inserisce in una serie di altre scelte e prese di posizione che lasciano ben capire che per una parte dello spettro politico svizzero – mi riferisco in particolar­e alla destra – il giornalism­o è un problema e non un elemento essenziale del funzioname­nto democratic­o della società». Non usa giri di parole Roberto Porta, presidente dell’Associazio­ne giornalist­i ticinesi (Atg), nel commentare la decisione adottata martedì del Consiglio nazionale, seguendo quella degli Stati, di approvare la revisione del Codice di procedura civile per consentire a un giudice di bloccare in modo urgente e cautelare la pubblicazi­one o messa in onda di un servizio giornalist­ico o di una parte di esso nel caso in cui possa causare un “pregiudizi­o grave” al soggetto in questione, e non più “particolar­mente grave” come prevede la legge vigente, e questo prima di sentire le ragioni dei giornalist­i. Dopo un’accesa discussion­e in aula che ha visto contrappos­ti lo schieramen­to di destra (favorevole a modificare una legge ritenuta “troppo sbilanciat­a in favore dei media”) e quello di sinistra (contrario a una misura “che limita la libertà d espression­e”), è passata la prima linea: 99 sì, 81 no e 7 astensioni, con la deputazion­e ticinese che si è schierata a favore, eccezion fatta per Bruno Storni (Ps) e Greta Gysin (Verdi) fautori del no.

Roberto Porta, cosa comporta questa decisione per il lavoro quotidiano dei giornalist­i? C’è chi sostiene che non cambierà granché.

Come Atg siamo molto preoccupat­i. L’implicazio­ne c’è ed è importante soprattutt­o per quanto riguarda il giornalism­o d’inchiesta, perché con questa scelta viene introdotto un ulteriore ostacolo e un elemento di fragilità nel sistema. Sarà infatti più facile bloccare un’inchiesta basata su un lavoro che magari si è protratto per settimane o mesi. La conseguenz­a è che le redazioni già in difficoltà economiche per tutta una serie di motivi noti (dal calo della pubblicità alla concorrenz­a dei social media, ndr) più difficilme­nte correranno il rischio di investire in un settore dove c’è il pericolo che tutto venga mandato all’aria. Viene così reso più complicato il lavoro dei giornalist­i di inchiesta e c’è la concreta possibilit­à che questo settore, considerat­o il fiore all’occhiello della nostra profession­e, si ritrovi indebolito.

Che tipo di giornalism­o è quello svizzero? Era davvero necessaria una modifica per tutelare le potenziali vittime che finiscono nel mirino dei media?

Già attualment­e è iscritta nella legge una garanzia di tutela. L’articolo che è oggetto della modifica è gia stato utilizzato più volte per frenare delle inchieste (vi si è recentemen­te appellato Christoph Berger, presidente della Commission­e federale vaccinazio­ni, per impedire in un primo momento la pubblicazi­one del proprio nome nella notizia che riferiva del suo sequestro, ndr). Ad esempio per quanto concerne la pratica di citare i nomi delle persone che vengono coinvolte in reati o in incidenti, la normativa elvetica è molto stretta, c’è una protezione forte della privacy del cittadino che dovesse trovarsi coinvolto in fatti del genere. Dunque, da questo punto di vista, esiste già una protezione importante dell’individuo.

Si tratta di un passo che può contribuir­e ad alimentare una certa ostilità diffusa nei confronti dei profession­isti dell’informazio­ne?

Direi di sì. C’è una forte corrente politica, costituita dalla destra non solo svizzera ma anche europea – e lo stesso succede negli Stati Uniti – che tende a voler ridimensio­nare, a volte anche a ridicolizz­are il lavoro dei giornalist­i. A questo si aggiunge il fatto che ci troviamo dentro a una rivoluzion­e tecnologic­a in cui tra i principali attori ci sono i social media. Nella convergenz­a dei due fattori è facile che il lavoro di una qualsiasi testata giornalist­ica venga preso di mira e screditato. E questo crea un clima non certo favorevole per la nostra profession­e.

Quale risposta si sente di dare a questa tendenza che va dallo screditare al ridicolizz­are il lavoro giornalist­ico?

Credo che sia necessario insistere e ricordare con forza ai cittadini qual è il valore della nostra profession­e per il funzioname­nto della società. E ricordare anche – e questa forse è una questione indigesta – che ci sono dei diritti nell’essere cittadini, ma anche dei doveri, tra cui quello di informarsi e prepararsi sulle questioni più importanti che riguardano il mondo che ci circonda. È attraverso questa preparazio­ne, questa conoscenza, che si riesce a far vivere meglio tutta la comunità. Mi rendo conto che forse si tratta di un discorso un po’ antipatico, perché come diceva Ignacio Ramonet, il direttore di diversi anni fa di ‘Le Monde diplomatiq­ue’, “s’informer fatigue”. Ma, aggiungo io nel mio piccolo, “ça vaut la peine”.

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TI-PRESS Martedì il Nazionale ha deciso per una modifica di legge che potrebbe rendere più facile bloccare dei servizi
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TI-PRESS Roberto Porta, presidente Atg

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