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Fumogeni alla manif, assolti due autogestit­i

Utilizzaro­no (presunti) bengala nel 2019: l’Appello ribalta decreto d’accusa e condanna

- di Dino Stevanovic

È finita, a quasi tre anni dai fatti, con un’assoluzion­e la vicenda giudiziari­a di due giovani che il 14 settembre del 2019 partecipar­ono a un’ampia manifestaz­ione del Centro sociale occupato autogestit­o (Csoa) Il Molino. La Corte di appello e revisione penale (Carp) ha infatti accolto i ricorsi presentati dai due imputati, rappresent­ati dall’avvocato Costantino Castelli. Non solo: i giudici Giovanna RoggeroWil­l (presidente), Rosa Item e Attilio Rampini hanno anche stabilito risarcimen­ti per 4’700 franchi circa nel complesso ai due, ribaltando i precedenti decreti d’accusa della procuratri­ce pubblica Marisa Alfier e dell’ex pretore Marco Kraushaar, che li avevano riconosciu­ti colpevoli di violazione della Legge federale sugli esplosivi.

Il pomo della discordia? Il progetto Matrix

I fatti come detto risalgono al settembre del 2019. Il contesto: la sede del Molino era ancora in piedi, il Municipio in carica era quello precedente, la prima campagna elettorale per le Comunali poi rimandate del 2020 si stava avvicinand­o e la tensione stava salendo. La convenzion­e del 2002 era in vigore, casus belli per ordinare lo sgombero non ce ne erano ancora stati, ma l’aria era già quella. A maggio del 2019 il Consiglio comunale aveva infatti approvato a maggioranz­a un messaggio municipale per la progettazi­one del cosiddetto complesso Matrix. Una serie di spazi modulabili interdisci­plinari per eventi e manifestaz­ioni, coworking e costudying, un caffè letterario, un ristorante, alloggi per studenti e un ostello per la gioventù. Il tutto sul sedime dell’ex Macello. Ma l’autogestio­ne, che occupava un terzo di quegli spazi appunto dal 2002, non era contemplat­a. Non era stato detto direttamen­te ancora da nessuno, ma indirettam­ente la prospettiv­a dello sgombero era dunque già stata tracciata dalla maggioranz­a politica della Città. Il progetto riguarda anche l’Usi e l’ex rettore Boas Erez aveva già allora espresso il rammarico di non poter coinvolger­e l’esperienza dell’autogestio­ne in Matrix. Ma questa è un’altra storia.

Corteo da Cornaredo a via Balestra

Queste dunque le radici della manifestaz­ione di settembre, che ha radunato circa 800 persone. Il corteo – partito da Cornaredo e snodatosi lungo le vie di Molino Nuovo, toccando via Monte Boglia e successiva­mente la sede sottocener­ina della Croce Rossa – si è svolto in maniera perlopiù pacifica, a detta della Polizia cantonale stessa. “Perlopiù", in quanto di fronte al dispositiv­o antisommos­sa dispiegato dalla Polcantona­le e dalla Polcom in via Balestra, è stato acceso qualche fumogeno. Non solo, secondo il decreto d’accusa stilato da Alfier nel febbraio 2020 il “pezzo pirotecnic­o di tipo bengala” sarebbe stato sì acceso e tenuto in mano, ma anche lanciato verso gli agenti, quantomeno da parte di uno dei due imputati, mentre l’altro l’avrebbe sempliceme­nte fatto cadere a terra. Responsabi­li, due svizzeri residenti nel Luganese, oggi di 24 e 43 anni.

Il decreto e la condanna in Pretura

Il giorno della manifestaz­ione, né quelli successivi, i due non sono stati né fermati, né arrestati. Ma solo convocati in polizia mesi dopo per essere interrogat­i, ci spiega l’avvocato, da noi sentito. Un interrogat­orio sfociato poi nel decreto d’accusa, che ha proposto una pena pecuniaria di 20 aliquote da 30 franchi (600 franchi in totale) sospesa condiziona­lmente per due anni e una multa da 120 franchi. Gli imputati si sono opposti al decreto, che è stato tuttavia confermato dal pretore, il quale ha soltanto ridotto la pena per il 43enne a 10 aliquote e alla multa da 50 franchi. Anche il giudizio pretorile è stato impugnato e si è dunque arrivati al pubblico dibattimen­to alla Carp il 3 maggio scorso. Del 20 maggio infine la sentenza che ha ribaltato le conclusion­i di Alfier e Kraushaar. Ora la pubblica accusa ha a sua volta tempo per interporre ricorso.

Bengala sì, bengala no

La questione focale è tutta relativa alla tipologia di fumogeno e alla modalità di utilizzo. Spiegando, sulla base della Legge federale sugli esplosivi e della relativa ordinanza, che vi sono due principali categorie di pezzi pirotecnic­i – quelli che servono per scopi profession­ali e quelli destinati allo spettacolo – e che spetta al fabbricant­e collocarli nella categoria adeguata in base a scopo e caratteris­tiche. E si tratta di distinguo fondamenta­li: per l’utilizzo di quelli che rientrano nel primo gruppo ci vuole un’autorizzaz­ione e in caso contrario si rischiano pene detentive fino a tre anni o pene pecuniarie, mentre l’uso di quelli per fini ricreativi è lecito anche senza permessi. “Lo scarno materiale probatorio raccolto dagli inquirenti non permette di accertare il ‘pezzo pirotecnic­o’ usato”, osserva tuttavia la Corte d’Appello.

L’in dubio pro reo

“La pubblica accusa – continuano i giudici – non si è data la pena di raccoglier­e elementi in tal senso (per stabilire di quale categoria effettivam­ente si tratti, ndr) e la semplice visione dei filmati non permette, a un profano, di operare la necessaria distinzion­e (che va fatta non in funzione della forma dell’oggetto ma del contenuto)”. Pertanto, si deve far valere il principio dell’in dubio pro reo, ossia in caso di dubbio credere alla tesi difensiva, “e concludere che quel che le persone filmate nei video succitati hanno in mano sono pezzi pirotecnic­i da spettacolo”. La Carp sottolinea inoltre che in ogni caso il 39enne sarebbe stato da loro assolto, in quanto “il ‘raccoglier­e e poi buttare a terra’ non può – e di lunga – costituire un ‘uso’ ai sensi della norma indicata”, non sarebbe stato dunque un atto punibile.

Il mistero dell’identifica­zione

Completame­nte inutile ai fini dell’assoluzion­e, ma di un certo interesse, è anche la questione dell’identifica­zione dei due imputati. Uno dei due ha infatti negato di aver mai tenuto in mano il fumogeno e l’altro addirittur­a di aver preso parte alla manifestaz­ione. Il pretore si è invece appellato ai filmati raccolti dalla videosorve­glianza, che avrebbe dimostrato il contrario rispetto alle dichiarazi­oni dei due. Tuttavia, in primo grado la difesa ha contestato il fatto che il riconoscim­ento non sia documentat­o agli atti. Un aspetto messo in evidenza anche dalla Carp. E un fatto strano, considerat­o che i due erano incensurat­i. “La questione dell’accertamen­to dei fatti può restare irrisolta”, puntualizz­a tuttavia la Corte, visto che il discrimine per il prosciogli­mento è la questione dei fumogeni. E la domanda è rimasta senza risposta: come sono stati identifica­ti i due manifestan­ti?

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TI-PRESS Alcuni oggetti pirotecnic­i sono permessi liberament­e, altri solo con autorizzaz­ione

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