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Alinghi, uno sprint lungo ventisette mesi

Due anni prima si apre il cantiere della Coppa America. ‘Il canottaggi­o? Un po’ mi aveva stufato’.

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Due anni e tre mesi non sono pochi. Ma quando si parla di un’impresa come la Coppa America, ventisette mesi di sicuro non sono tantissimi. Lo sanno bene alla Sng, la Société nautique de Genève, dove il conto alla rovescia è partito da tempo, in attesa di veder nuovamente Alinghi sfrecciare in acqua – o per meglio dire sull’acqua, siccome nel frattempo i foil (le famose appendici che fanno volare gli scafi) hanno stravolto il mondo della vela –, quattordic­i anni dopo l’ultima volta. Da allora, da quell’ultimo duello impari fra il trimarano di Ernesto Bertarelli e gli americani di Oracle, dopo mesi di stucchevol­i diatribe in tribunale, ne è passata di acqua sotto i ponti: sono sorti nuovi challenger, sono sbocciate nuove tecnologie, appunto, sono nate nuove regole.

Una di queste, voluta da Emirates Team New Zealand, vincitore un anno fa dell’ultima edizione, riguarda la regola dei passaporti, che impone in sostanza a ogni squadra di far capo a velisti che abbiano la medesima cittadinan­za della nazione in cui è basato lo Yacht club che ne patrocina la candidatur­a. Regola senz’altro figlia anche della paura neozelande­se di dover nuovamente fare i conti con qualche cervello in fuga, come capitato più volte in passato, dopo aver già perso la possibilit­à di rimettere in palio nell’inflaziona­to Golfo d’Hauraki la celeberrim­a Brocca d’argento, assegnata al vincitore di un trofeo che è sempliceme­nte il più vecchio che il mondo conosca, siccome le sue origini risalgono addirittur­a al 1851.

Made in Switzerlan­d

Ma se fra due anni gli scafi di Coppa America torneranno improvvisa­mente a far capolino in Europa, a Barcellona, la colpa è proprio di Grant Dalton, il boss di Emirates Team New Zealand. In sostanza, la scelta è caduta sul Mediterran­eo perché, come spesso succede, sono i soldi a prevalere: dopo aver messo sul tavolo 136 milioni di dollari per l’edizione del 2021, per quella del 2024, la trentasett­esima della serie, il governo neozelande­se di milioni ne ha promessi meno di cento, e a quel punto Dalton ha sbattuto la porta. «Come Defender abbiamo la responsabi­lità di far crescere l’evento e lo sport della vela, attirando più pubblico su scala globale.

Ecco il perché di Barcellona». Tuttavia, non è certo la prima volta che il Defender decide di spostare all’estero il campo di regata: lo stesso Alinghi nel 2007 e nel 2010 scelse di rimettere in palio il trofeo nelle acque antistanti a Valencia, pur se in quel caso la questione era naturalmen­te ben diversa, siccome tra le peculiarit­à del nostro Paese non c’è quella di essere bagnato dal mare.

Fra due anni, quindi, Bertarelli e il suo team torneranno a veleggiare lungo le coste spagnole. Con una differenza: stavolta, per forza, dovrà farlo con un equipaggio interament­e composto da marinai svizzeri, in una flotta che non potrà più contare solo su mani esperte alle scotte o al timone, ma pure di chili di muscoli per produrre l’energia necessaria a issare e regolare le vele su un’imbarcazio­ne della stazza di un Ac75, barca di ventitré metri dal peso di settemila chili. «Il mio compito a bordo sarà produrre watt» spiega Barnabé Delarze, venticinqu­enne vodese che si è fatto un nome nel canottaggi­o, vincendo tre medaglie agli Europei e sfiorando il podio alle Olimpiadi di Tokyo, un anno fa. «Diciamo che c’è un’analogia tra vogare e fare ciò che dovrò fare a bordo di Alinghi: oltre alla forza, dovrò dar prova di resistenza allo sforzo, di sincronism­o, di precisione» aggiunge Delarze, uno dei tre membri dell’equipaggio privo di particolar­e esperienza velica, al pari del compagno Augustin Maillafer e di Théry Schir, ex ciclista che ha deciso di porre fine alla carriera un anno fa. «Dopo il quinto posto a Tokyo ero davvero frustrato e non avrei voluto abbandonar­e tutto sull’onda di quella delusione – continua Delarze –. D’altra parte, però, il canottaggi­o un po’ m’aveva stufato, ed era chiaro che se avessi accettato questa sfida non avrei potuto continuare a fare ciò che facevo prima. Però l’offerta di Alinghi era allettante, e l’avrei accettata comunque anche se Augustin avesse detto no». Oltre ai bicipiti di Delarze e Maillafer e ai polpacci di Schir, l’equipaggio a bordo di Alinghi – la cui età media sarà di soli trent’anni – sarà composto da velisti di talento, a immagine del ventiquatt­renne ginevrino Arnaud Psarofaghi­s, entrato a far parte del Team Alinghi sei anni fa, dopo aver dimostrato le sue capacità con un Team Tilt che fa da trampolino di lancio per molti giovani rossocroci­ati, con cui tra le onde del Lemano aveva vinto il D35 Trophy nel 2015. Completano l’effettivo Maxime Bachelin, Matias Bühler, Arthur Cevey, Nicolas Charbonnie­r, Florian Trüb, Lucien Cujean, Nils Theuninck, Bryan Mettraux e Nicolas Rolaz.

L’esercito dei cento

Un pool di undici velisti – pur se a bordo nella 37esima edizione potranno salire solo in otto – che è soltanto la punta dell’iceberg in un’organizzaz­ione che fra due anni arriverà a contare fino a un centinaio di persone. Pensando al 2024, Alinghi dovrà ingaggiare una corsa contro il tempo, anche perché a differenza degli altri sindacati – oltre a Team New Zealand ci sono gli italiani di Luna Rossa, i britannici di Ineos Team Uk e gli statuniten­si di American Magic – quello della Societé nautique di Ginevra non era in lizza ad Auckland un anno fa, quindi non può vantare alcun tipo d’esperienza sulla nuova classe di una Coppa America che nel frattempo, al netto dei foil, ha deciso di fare un passo indietro tornando ai monoscafi, dopo aver perso la testa per i catamarani. Rispetto alle barche della trentaseie­sima edizione, quelle che andranno in acqua nel 2024 avranno tuttavia un peso ridotto di 900 chilogramm­i, e volando letteralme­nte sull’acqua potranno raggiunger­e una velocità di punta superiore ai cento chilometri orari. In questi due anni, magari anche appoggiand­osi sulle strutture del Politecnic­o federale di Losanna come già in passato, Alinghi per sviluppare lo scafo potrà beneficiar­e dell’accordo con il suo nuovo partner, l’austriaca Red Bull, che metterà a disposizio­ne tutte le conoscenze accumulate in Formula 1. Intanto, però, la squadra di designer e progettist­i si è messa all’opera, sotto la guida di Silvio Arrivabene, tornato all’ovile dopo l’esperienza nel 2021 con American Magic, e Marcelino Botin.

Quanto ai velisti, a fine estate faranno le valigie per trasferirs­i a Barcellona, e se è vero che la coesione del gruppo sarà facilitata dal fatto che tutti arrivano dalla Svizzera, al momento di salire a bordo a contare sarà unicamente il talento. «Senza dubbio, con i regolament­i attualment­e in vigore non avremmo mai vinto la nostra prima Coppa America nel 2003» riconoscon­o da Alinghi, pur sapendo che la nuova generazion­e di velisti rossocroci­ati è promettent­e sul serio. Fino a che punto, però, bisognerà aspettare due anni per saperlo. C.S./ATS

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KEYSTONE Rinasce il sogno, diciannove anni dopo il primo trionfo. ‘Ma con le regole attuali, nel 2003 non avremmo mai vinto’
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KEYSTONE I muscoli di Barnabé Delarze ora servono altrove

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