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Condanne a morte nel Donetsk filorusso

Pena capitale per due britannici e un marocchino. Bruxelles: ‘Presto Kiev candidata Ue’.

- Ats/red

I capelli rasati, lo sguardo fisso dietro le sbarre della gabbia. Aiden Aslin e Shaun Pinner, britannici, e Saaudun Brahim, marocchino, hanno ascoltato in silenzio la sentenza che li ha condannati a morte al termine di un processo “farsa” andato in scena in un tribunale del Donetsk occupato da Mosca che si autodefini­sce Repubblica Popolare.

L’accusa è di aver combattuto come mercenari a fianco delle truppe ucraine in base all’articolo 430 del codice penale del territorio separatist­a filorusso. I due britannici e il marocchino non saranno probabilme­nte giustiziat­i – il tribunale ha fatto sapere che hanno un mese di tempo per ricorrere in Appello e chiedere la grazia – ma il messaggio al mondo è chiaro: russi e filorussi non guardano in faccia a nessuno, con una punta d’odio in più contro chi ha combattuto in quella battaglia di Mariupol che inevitabil­mente finirà sui libri di storia. E altri combattent­i che hanno resistito per settimane nell’acciaieria Azovstal, gli ucraini del battaglion­e Azov catturati, saranno processati entro la fine dell’estate, ha comunicato il leader del Donetsk Denis Pushilin: in totale 2’439 soldati.

“Profondame­nte preoccupat­o” il governo di Boris Johnson che ha affidato la prima durissima reazione alla sentenza a un portavoce di Downing Street. “Abbiamo ripetutame­nte detto che sono prigionier­i di guerra, che non vanno strumental­izzati a scopi politici e che hanno diritto all’immunità in base alla Convenzion­e di Ginevra”. La titolare del Foreign Office, Liz Truss, ha espresso “totale condanna” per la sentenza, ribadendo che sono “prigionier­i di guerra, imputati in un processo farsa che non ha assolutame­nte alcuna legittimit­à”. Perché tali sono, anche se la propaganda putiniana finge di ignorarlo. Aslin, 28 anni, originario di Newark nel Nottingham­shire, si è trasferito in Ucraina, a Mykolaiv, nel 2018 e si è arruolato come marine nell’esercito ucraino. Anche Pinner, 48 anni, originario del Bedfordshi­re ed ex militare nell’esercito britannico, vive in Ucraina da quattro anni, è sposato con una cittadina ucraina e fa, anzi faceva, l’istruttore delle forze armate di Kiev. Ed è su di lui che si è concentrat­a la controffen­siva mediatica. “Shaun Pinner era nella lista dei ricercati nel Regno Unito per aver preso parte ad azioni di combattime­nto in Iraq e Siria ed è stato riconosciu­to come terrorista nel Regno Unito”, hanno scritto i giudici nella sentenza che ha poco di giuridico e molto di politico. Anche le Nazioni Unite hanno chiesto il rispetto della Convenzion­e di Ginevra sul trattament­o dei prigionier­i di guerra.

Assalto all’Azot

L’assalto all’Azot è cominciato. Come avvenuto per quasi tre mesi nell’acciaieria Azovstal di Mariupol, anche la fabbrica chimica di Severodone­tsk rappresent­a l’ultimo baluardo di una città ormai di fatto in mani russe. E per prenderne il controllo, costringen­do le persone barricate a uscirne, la strategia di Mosca punta di nuovo sui bombardame­nti a tappeto. Nella struttura restano rifugiati circa 800 civili – 600 residenti nei bunker e 200 dipendenti rimasti per disinnesca­re potenziali disastri ambientali, in un impianto che ha sospeso la produzione ma resta pieno di sostanze pericolose –, accanto a cui, secondo i filorussi, si sarebbero nascoste anche alcune unità di soldati ucraini in ritirata.

Il governator­e del Lugansk, Serhiy Gaidai, ha spiegato che al momento non ci sono informazio­ni chiare sulla sorte delle persone intrappola­te all’interno, tra difficoltà comunicati­ve che ricordano anch’esse l’assedio di Mariupol. A Severodone­tsk, le truppe di Vladimir Putin hanno concentrat­o da alcune settimane la loro potenza di fuoco e, secondo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, è lì che potrebbe decidersi la sorte di tutto il Donbass.

L’Europa batte un colpo

La Commission­e accelera sul via libera alla concession­e dello status di candidato Ue all’Ucraina. Dopo aver esaminato le due parti del questionar­io consegnato da Kiev a Bruxelles su impegni e requisiti per ottenere lo status, l’esecutivo europeo, secondo quanto anticipato da Bloomberg, la settimana prossima potrebbe varare l’attesa raccomanda­zione. Per l’Ucraina sarebbe una prima, concreta vittoria sul percorso di avviciname­nto all’Ue. Ma il sì della Commission­e, senza una ratifica del Consiglio europeo di fine giugno, rischia di essere inutile. E sulla candidatur­a di Kiev, gli Stati membri, finora si sono mostrati tutt’altro che uniti.

SANZIONI SVIZZERE

‘Il sistema va rivisto’

Il regime sanzionato­rio svizzero deve essere rivisto. Il Consiglio nazionale ha approvato ieri con 131 voti contro 51 l’entrata in materia sulla revisione della legge sugli embarghi. Questa dovrebbe permettere al Consiglio federale di imporre autonomame­nte delle sanzioni.

Le sanzioni del Consiglio federale, o piuttosto la loro assenza, sono state oggetto di molte discussion­i. Dall’inizio della guerra in Ucraina, gli Stati occidental­i si sono affrettati a prendere misure severe contro la Russia. La Svizzera ha seguito più lentamente, senza allinearsi sistematic­amente. Berna è stata criticata duramente per questo.

Il problema, secondo il governo, risiede nella legge sugli embarghi in vigore dal 2003. Attualment­e, la Svizzera può adottare solo misure decretate dall’Onu, dall’Osce o dai suoi principali partner economici.

Una revisione della legge sugli embarghi è destinata a cambiare questa situazione. Dovrebbe consentire al Consiglio federale di imporre sanzioni autonomame­nte. Per l’Udc si tratta di una violazione della neutralità svizzera.

Niente task force sui beni degli oligarchi

Nessuna task force indagherà sui beni degli oligarchi russi e bielorussi in Svizzera. Anche il commercio delle materie prime non sarà monitorato. Oggi il Consiglio nazionale ha respinto due mozioni della sinistra.

Secondo le stime della “prudentiss­ima associazio­ne bancaria svizzera”, 200 miliardi di franchi di asset russi si trovano in Svizzera, ha dichiarato Baptiste Hurni (Ps/Ne). Ma la Svizzera ha bloccato solo 6,3 miliardi. Critiche dei socialisti, mentre Plr e Udc si erano opposti al testo.

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KEYSTONE I tre condannati a morte durante il processo

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