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Chiarezza sul principio ‘chi inquina paga’

- Di Matthias Bizzarro, avvocato ed esperto fiscale diplomato

Nell’ambito del dibattito sulle iniziative cantonali Ppd in tema di imposta di circolazio­ne, si è parlato molto dell’utilizzo del criterio dell’emissione di CO2 per soddisfare l’asserito principio per cui “chi più inquina, più paga” (cfr. ad es. il comunicato stampa del Consiglio di Stato del 3 giugno 2022). Tali riferiment­i mi sembrano contrastar­e con i principi costituzio­nali che si applicano al prelievo fiscale e mi fanno pensare che nella foga e repentina urgenza del dibattito si sia persa di vista la bussola costituzio­nale. Anzitutto, non esiste alcun principio costituzio­nale generale per cui “chi più inquina, più paga”. Esiste invece (ma nel diritto ambientale) un principio generale di causalità (art. 74 cpv. 2 Cost., art. 2 LPAmb) secondo cui chi causa dei costi deve essere tenuto a pagarli. Nell’ambito del diritto ambientale, quindi – e solo di quello – tale principio di causalità può essere quindi declinato secondo l’adagio di “chi più inquina, più paga”. Determinan­ti però sono sempre gli effetti nocivi causati (p. es. rifiuti) e i costi per la loro prevenzion­e o rimozione (p. es. smaltiment­o dei rifiuti). La CO2 prodotta dalla propria automobile non potrebbe quindi avere un impatto sul costo del sacco Rsu. Ora, l’imposta di circolazio­ne non ha nulla a che vedere con il diritto ambientale. Si tratta, secondo la giurisprud­enza federale, di una cd. “imposta di rivalsa dei costi”, ossia un’imposta speciale, applicabil­e solo a un gruppo di contribuen­ti, che si trova, rispetto alla collettivi­tà, in un rapporto di maggiore vicinanza con una determinat­a prestazion­e statale. Vicinanza che giustifica di derogare all’importante principio di generalità dell’imposizion­e. Nel caso dell’imposta di circolazio­ne, essa serve (almeno in via principale, la legge stessa è silente in merito) al finanziame­nto della manutenzio­ne delle strade cantonali. Ne consegue che – giustament­e – l’imposta viene prelevata da coloro che maggiormen­te benefician­o della messa a disposizio­ne e manutenzio­ne delle strade, ossia i detentori di veicoli.

Resta la tematica della quantifica­zione dell’imposta. Trattandos­i di un’imposta vera e propria, i principi per la sua quantifica­zione devono risultare, secondo il Tribunale federale, da criteri pertinenti, rispettosi dei principi dell’uguaglianz­a giuridica e della proporzion­alità (sentenza 2C_794/2015).

Nel caso delle imposte di circolazio­ne ticinesi, a parere di chi scrive dei criteri pertinenti che esprimano e quantifich­ino correttame­nte il rapporto tra la prestazion­e statale (costruzion­e e manutenzio­ne di strade) e la cerchia di contribuen­ti (detentori di veicoli) possono essere individuat­i, ad esempio, nel peso dei veicoli, nei chilometri percorsi annualment­e e persino nella dimensione degli stessi. Le emissioni di CO2, per contro, sono palesement­e un criterio alieno alla questione della manutenzio­ne delle strade. Dimentican­do per un momento che l’imposta di circolazio­ne non è una tassa causale, se proprio occorresse ridurre il principio a uno slogan sarebbe quello per cui “chi più consuma le strade, più paga”. Certo, trattandos­i di un’imposta cantonale, non è escluso che il legislator­e abbia un certo margine di manovra per perseguire degli obiettivi extra-fiscali (in questo caso ambientali). Poiché però si tratta di un’imposta che deroga dal principio di generalità dell’imposizion­e, senza però toccare altre fonti di produzione di CO2, ritengo che tale margine di manovra difficilme­nte consenta di dare a un criterio extra-fiscale come quello delle emissioni di CO2 una ponderazio­ne simile a quella prevista dalla recente proposta governativ­a, o addirittur­a di renderlo l’unico criterio, come prevede l’iniziativa Ppd.

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