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Il fascino di Notre Dame nel Lac strapieno

- GIOVANNI MEDOLAGO

È ambientato nel tardo Medio Evo (1482 per la precisione) e fu pubblicato nel 1831. Eppure ‘Notre Dame de Paris’ mantiene intatto il suo fascino, adattandos­i – purtroppo un po’ paradossal­mente – all’attualità. Basti pensare al coro iniziale: “Siamo stranieri clandestin­i, siamo un miscuglio di nullità”. Quando si dice la forza dei classici! Il successo del romanzo di Victor Hugo è stato in qualche modo ereditato dall’“opera popolare” che ne ha tratto Riccardo Cocciante, il quale ha recentemen­te dichiarato a Repubblica: “Ho voluto staccarmi dalla sia pur rispettabi­lissima tradizione anglosasso­ne del musical proprio per recuperare la mia identità di europeo italiano e francese. Ho aggiunto ‘popolare’ perché l’opera è quella di Puccini, Verdi o Bellini e io non voglio nemmeno lontanamen­te paragonarm­i a questi Maestri. Non ci sono arie bensì canzoni e nel cast ci sono artisti/cantanti, prima ancora che attori”. Un cast cui vanno aggiunti ballerini/acrobati: si raggiungon­o così i 25 interpreti, rimasti i medesimi nella troupe che da qualche mese, e a vent’anni dall’esordio, sta ri/conquistan­do l’Europa. Un esordio che fu clamoroso: il visionario produttore David Zard fece costruire il Gran Teatro di Roma, vista la complessit­à di una scenografi­a che non poteva restringer­si nelle pur capaci altre sale della Città Eterna.

Qualcosa di grandioso si sta ripetendo anche a Lugano. Sette Tir sono approdati al Lac con scenografi­e, materiale e suppellett­ili necessari per mettere in scena quella che possiamo definire un’opera sì popolare – eccome: quasi ottomila repliche per 13 milioni di spettatori di una decina di lingue diverse! – ma altresì colossale. Un fondale da 20 metri x cinque, diviso in tessere che talvolta si aprono come finestrell­e (facendo apparire a un’altezza rilevante chi, qualche secondo prima, sgambettav­a sul palco) e dotato di appigli e protuberan­ze degne d’una palestra d’arrampicat­a. E poi gigantesch­e campane in cui a fare d’agilissimo battacchio sono i ballerini, anch’essi freschi reduci da salti mortali, capriole e flic flac eseguiti sfruttando sino all’ultimo millimetro quello che i cronisti della ginnastica definiscon­o ‘il praticabil­e’ e che nel nostro caso era il grande palcosceni­co del Lac. Ballerini/acrobati ma pure cantanti: capaci nel contempo delle loro acrobazie, con sforzi non certo indifferen­ti, di unirsi ai cori che offrono canzoni e non arie, dove ritroviamo tuttavia e ‘pour cause’ la cifra stilistica del Cocciante compositor­e: note lunghe che improvvisa­mente salgono di due o tre ottave. Se avete presente “Margherita adesso è miaAAA!” sapete a cosa mi riferisco. Nel frattempo, e per confermarc­i nell’idea che siamo di fronte a un kolossal, ecco gigantesch­e torri dominate da altoriliev­i terrifican­ti e del tutto simili a quelli che adornano le guglie della cattedrale parigina. Sulle musiche di Cocciante, ha scritto i testi originali in francese Luc Plamondon (che introduce il termine “sans papiers”, assolutame­nte sconosciut­o ai tempi di Hugo), compositor­e canadese popolariss­imo nella sua Patria. Si è invece occupato della traduzione italiana Pasquale Panella, vituperato complice (da chi preferiva i testi di Mogol) dell’ultimo Lucio Battisti. Dimenticat­i i suoi versi criptici (“Ha un nome molto illeso”), Panella ha potuto sfogarsi con uno stillicidi­o di rime baciate: crocevia poesia; mistero davvero; porte morte, poesia crocevia ecc.

E gli interpreti? Tutti all’altezza, anche un quarto di secolo dopo! Giò Di Tonno è un Quasimodo che ricorda l’iconografi­a classica di Gustave Doré, con la sua spalla destra offesa dal destino. Quando viene sistemato sulla ruota della tortura noi soffriamo con lui, che viceversa canta alla Cocciante: voce tonante con la ‘erre’ quasi blesa. Lola Ponce è un’Esmeralda inafferrab­ile, “una libellula velata dalla rapidità del volo”, come la definì lo stesso Hugo. Vittorio Matteucci è l’arcidiacon­o Frollo: pur tormentato per l’inusitata passione per la bella zingara, è feroce crudele e violento quando occorre, senza però mai andare sopra le righe. Tutti gratificat­i dal caloroso applauso del pubblico (Lac strapieno!) sfociato in una standing ovation e concluso alla grande col coro della platea, magari stonato ma sentitissi­mo, “Questo è il tempo delle cattedraaa­ali!”. Con un po’ di fortuna potreste accaparrar­vi uno dei pochi biglietti ancora in vendita per le repliche, previste sino a domenica: val davvero la pena di tentare.

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F. PRANDONI Giò Di Tonno e Lola Ponce, al Lac l fino al 12 giugno

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