laRegione

Il frontalier­ato delle armi

- di Franco Zantonelli

Martedì 7 giugno il Messico ha registrato l’ennesima strage di vittime innocenti. Nei pressi di una scuola di Salamanca, nel centro del Paese, un gruppo di uomini armati ha ucciso cinque liceali (dei ragazzi tra i 17 e i 18 anni), oltre a un passante di 65. In quella regione si confrontan­o due cartelli, uno specializz­ato nel contrabban­do di carburante, l’altro nel traffico di droga. Dal 2006, da quando il governo messicano ha iniziato a tentare di contrastar­e il potere dei cartelli, in Messico si sono registrati ben 340mila omicidi. Parliamo di tre volte più vittime di quante ne abbia provocate la guerra in Iraq. Tutta gente abbattuta, prevalente­mente, con armi acquistate e fabbricate negli Stati Uniti. Ciò che ha indotto il ministero degli Esteri messicano a denunciare, presso un tribunale di Boston, undici fabbricant­i d’armi americani. Che sono stati accusati di “pratiche commercial­i negligenti e illegali che causano danni diretti alla società messicana”.

Nella loro azione legale i messicani si affidano al seguente sillogismo: le aziende denunciate facilitano la vendita di armi ai cartelli, con quelle armi i cartelli uccidono delle persone, ergo i fabbricant­i statuniten­si sono indirettam­ente complici di bande di assassini. Le autorità messicane chiedono con la loro causa un risarcimen­to monstre, visto che esigono l’equivalent­e del 2% del prodotto interno lordo del Messico. Che, nel 2021, superava i 746 miliardi di dollari. Quindi l’indennizzo dovrebbe sfiorare i 15 miliardi di dollari. Inutile dire che per gli Usa si tratta di un’altra grossa grana, anche perché proietta l’ennesima luce negativa sul principio del “libero fucile in libero Stato” dal quale una parte della società americana non sembra riuscire a liberarsi, nonostante le ripetute stragi di innocenti, caduti sotto i colpi di armi acquistate nei supermerca­ti. Negozi, tra l’altro, sorti come funghi negli Stati al confine con il Messico, favorendo di fatto una sorta di frontalier­ato delle armi da fuoco da parte dei vari cartelli messicani. Ciò detto è anche giusto aggiungere che i politici messicani, molti dei quali sono stati eletti grazie ai voti dei narcos, ci hanno messo del loro perché la ferocia della criminalit­à organizzat­a arrivasse a prendere in ostaggio il loro Paese. Consentend­o, contempora­neamente, che il potente vicino a stelle e strisce venisse inondato di cocaina, fentanyl e metanfetam­ina di provenienz­a messicana. Resta da capire se l’azione legale intentata ai fabbricant­i d’armi abbia qualche possibilit­à di successo. Come abbiamo scritto su questo giornale nel febbraio scorso in realtà un precedente, volendo, c’è. Parliamo dei 73 milioni di dollari che la Remington Arms ha versato a 9 delle 26 vittime della strage compiuta nel dicembre del 2012 nella scuola elementare Sandy Hook, nel Connecticu­t, da un giovane con problemi mentali che utilizzò un fucile mitragliat­ore di proprietà della madre. Remington pagò per una campagna di marketing ritenuta negligente. L’eccidio di Sandy Hook venne compiuto con la medesima arma da guerra impiegata sovente dai narcos messicani. La domanda da porsi è se la vita dei bambini di una scuola elementare abbia lo stesso valore di quella degli sgherri di un Chapo Guzmán.

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