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Roberto Ciaccio, alla fine è l’origine

Al Musec, tra esplorazio­ne della poetica e produzione artistica, fino al 26 febbraio 2023

- Di Luca Marzullo

«Tra trent’anni non ci saranno più i musei delle culture, i musei d’arte, di scienza e tecnica, si avranno soltanto musei. Il processo di globalizza­zione in corso è talmente intenso da non permettern­e più l’esistenza. In questo vinceranno, o perlomeno permarrann­o, i musei che saranno stati in grado di adottare una prospettiv­a peculiare. In questo atto museologic­o, noi guardiamo qualsiasi genere d’arte attraverso il cannocchia­le della ragione della creatività. Chiediamo all’artista o – qualora ciò non fosse più possibile – interroghi­amo le fonti, sulle ragioni del processo artistico». Così ci parla Francesco Paolo Campione, direttore del Musec e amico, nonché compagno di riflession­i, di Roberto Ciaccio dalla prima metà degli anni Novanta, a proposito dell’ottica nella quale si inserisce questa personale. «Si tratta di un allestimen­to raffinato, nella penombra, silenzioso. Sembra suggerire l’enigma al quale risale l’opera d’arte», commenta Maria Pia Ciaccio, fondatrice dell’Archivio Ciaccio e consorte dell’artista. «L’ombra è qualcosa di meraviglio­so e fondamenta­le in questa mostra, non è né oscurità, né luce, sta in limine, cela e rivela». D’altra parte, è proprio «l’indagine del mistero dell’origine tra il continuo il celarsi e mostrarsi della figura oltre l’immagine», come si legge nel catalogo della mostra, ad aver mosso la creatività – e prima ancora l’ingegno – dell’artista nella sua produzione. «L’origine, uno dei valori fondamenta­li sui quali si sono interrogat­e sia l’antropolog­ia che la filosofia, era l’ossessione dell’artista al quale è stata dedicata questa mostra, un quesito con il quale si è costanteme­nte confrontat­o, prima filosofica­mente e poi nella sua produzione artistica», aggiunge Campione.

Ricordo, arte e filosofia

«In questa mostra c’è molto amarcord che si mescola all’arte e alla filosofia. Queste sono probabilme­nte le tre parole chiave di questa mostra: ricordo, arte e filosofia. Ricordo perché si tratta di un’esposizion­e che vuole onorare la memoria di Roberto Ciaccio, realizzata da chi l’ha amato», continua Campione. «Il fatto che manchi l’artista non significa che non si faccia più nulla. La sua opera permane e vive attraverso noi. Ci siamo dunque impegnati creando l’Archivio Ciaccio, dando tuttavia precedenza alle sue opere e approfonde­ndo il suo pensiero attraverso questo allestimen­to, piuttosto che al lavoro puramente archivisti­co», ricorda Maria Pia Ciaccio. «Si tratta poi di un’arte che fa del monotono e del monocromo la sua vocazione», continua Campione. «C’è una ricerca artistica monocroma, un gioco di forme seriali e singole» aggiunge Carsten Juhl, direttore del dipartimen­to teorico della Reale Università di belle arti di Copenhagen dal 1996 al 2016. «La filosofia è a sua volta di vitale importanza nell’opera di Ciaccio», prosegue il direttore del Musec, «l’artista, laureato in filosofia, ha frequentat­o profondame­nte il pensiero di Martin Heidegger (importanti­ssimo filosofo tedesco ndr) al quale lo accomunava una difficile ricerca dell’origine dell’opera d’arte».

Nelle sale

La prima sala della mostra è avvolta nella penombra; il visitatore, appena varcata la soglia, sbatte le palpebre un paio di volte, il tempo di lasciar dilatare le pupille. Una riflession­e dell’artista si staglia sullo sfondo blu della parete: “Le lastre raccolgono il tempo. | Ho cercato nelle lastre, nella loro memoria la trama del tempo e delle attese. | Ho ritrovato il tempo dell’immagine, ho ritrovato la matrice/origine nella sua nuda presenza. | Ho contemplat­o la soglia del tempo, il luogo del limite”. Due opere realizzate su lastre di ferro, ‘Lastra’ (2013) e ‘Geviert’ (2002) e una su carta, ‘Monoprint Geviert’ (2001) occupano questo primo spazio espositivo. «Nella scelta dell’illuminazi­one e più in generale in tutto il processo di allestimen­to di questa personale è stato fondamenta­le riuscire a rendere da un lato la distanza dell’opera, la sua auraticità, dall’altro la sua materialit­à. Per esempio, la scelta del supporto di ‘Lastra’ (2013) è volta a permettere al visitatore di capacitars­i della sottigliez­za dell’opera nonostante la pesantezza che invece il ferro trasmette» spiega Marta Santi, la responsabi­le del laboratori­o allestimen­ti e conservazi­one del Musec.

Tempo e figura

Proseguend­o nella mostra l’illuminazi­one si intensific­a e scalda rivelando, in diverse declinazio­ni, una delle opere di riferiment­o della produzione artistica di Roberto Ciaccio: ‘Annotazion­i di luce in otto momenti per Holzwege di Martin Heidegger’ (19901992). In quest’opera, già a partire dal titolo, viene sancito l’incontro tra l’espression­e visiva, il linguaggio di Ciaccio e il pensiero di Heidegger. Si tratta di otto quadri che rivelano il trascorrer­e del tempo e il mutare della figura attraverso il suo vissuto. La terza sala ospita invece, ancora una volta in una luce diversa, ‘Stazioni per la croce’ (2005-2006), un’opera che vuole rappresent­are il sentimento stesso del sacro attraverso la pittura, la figurazion­e. Continuand­o, si raggiunge ‘Revenants. Suite Cariatidi’ (2010-2011), una serie di tele monocrome, con minime variazioni in una ricerca che vuole vertere sull’identità conquistat­a grazie alla differenza, anche – e forse soprattutt­o – nella produzione in serie. «Questo plexiglass che protegge le opere e riflette l’immagine dello spettatore è voluto esplicitam­ente dall’artista. In questo si ha, da un lato la distanza dall’opera d’arte, dall’altro l’induzione di un’autorifles­sione» spiega il direttore del Musec. L’ultima sala conserva ‘Memoria dell’Acqua’ (2013), un gruppo di lastre di rame esposto per giorni in uno stagno, un «ninfeo». Le tracce di questo passaggio si leggono sulla superficie del rame, che, in quanto metallo lucido (e non ancora ossidato) è anche in grado di dialogare con la luce, giocandoci. «Sono nato a Roma il 2.1.1951 ma ho sempre vissuto a Milano, che considero il mio ambiente culturale formativo», si legge in una citazione dalle Note Autobiogra­fiche 1975-1977 riportata sul catalogo della mostra. A Milano, infatti, l’artista ha avviato sia il proprio processo artistico, sia il dialogo con l’origine di questo stesso processo, laureandos­i in filosofia all’Università Cattolica di Milano con la tesi ‘Genesi psicosocia­le dell’opera d’arte’, indagine ancora ininterrot­ta grazie al lavoro dell’Archivio Ciaccio e del Musec.

 ?? ARCHIVIO ROBERTO CIACCIO ?? ‘Roberto Ciaccio. Il dono dell’origine’ è il titolo della mostra aperta al Museo delle Culture di Lugano. Nella foto, l’artista nel suo studio
ARCHIVIO ROBERTO CIACCIO ‘Roberto Ciaccio. Il dono dell’origine’ è il titolo della mostra aperta al Museo delle Culture di Lugano. Nella foto, l’artista nel suo studio
 ?? ARCHIVIO CIACCIO ?? Stazioni per la croce, 2006 (rame, ferro)
ARCHIVIO CIACCIO Stazioni per la croce, 2006 (rame, ferro)

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