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Bernardo Zannoni e una vita da faina

‘I miei stupidi intenti’, il romanzo d’esordio

- Di Mila Contestabi­le

‘I miei stupidi intenti’ è un libro di cui oggi si parla molto in Italia; pubblicato da Sellerio nell’autunno del 2021 e già ristampato, ha da subito dato notorietà a Bernardo Zannoni, che era solo ventiquatt­renne al momento della stesura del testo.

Sono diversi i motivi che rendono attraente il breve romanzo; in primo luogo l’originalit­à della scelta di affidare la narrazione a una faina, che è anche la protagonis­ta della vicenda. Il lettore è così costretto a cambiare prospettiv­a nell’osservare una vicenda che per molti versi è lontana dalla sua esperienza di vita. Inoltre, anche se gli animali parlano tra loro e hanno alcuni tratti umanizzati (dormono in letti, mangiano seduti alla tavola usando stoviglie, le loro tane hanno porte e finestre…), la trama presuppone una contrappos­izione tra il mondo animale e quello umano, anche perché la specie umana, malgrado non prenda parte in alcun modo ai fatti raccontati, in qualche modo esercita un’attrattiva sui due personaggi principali: il narratore protagonis­ta e, soprattutt­o, il suo Maestro, Solomon l’usuraio. Ed è questa fluttuazio­ne tra umano e ferino che stuzzica la lettura.

‘Le parole’

Accennerò brevemente alla trama: Archie è poco più di un cucciolo quando la madre lo cede alla vecchia volpe Solomon in cambio di una gallina e mezza. È piccolo e zoppo, troppo debole perché possa essere utile alla famiglia. Viene allora impiegato come servitore e sottoposto a un trattament­o severo; pian piano conquista però la fiducia del suo padrone, che ne riconosce l’intelligen­za. A questo punto, il vecchio lo introduce ai suoi misteri: egli conosce ‘le parole’, che considera il vero e proprio potere dell’uomo. Ha imparato infatti a leggere e scrivere, e da un libro ha tratto i due saperi che, a suo parere, distinguon­o l’uomo dagli altri animali: l’esistenza di Dio e la consapevol­ezza che ogni essere è destinato a morire.

La giovane faina impara rapidament­e dal Maestro, per il quale scrivere le proprie memorie è un modo per esorcizzar­e la morte, purché non si narri “solo di un animale, e dei suoi stupidi intenti” ma si tenda al messaggio divino. Archie, invece, malgrado la sua intelligen­za e la sua sensibilit­à, non rinnegherà mai la propria animalità, conducendo il lettore in percorsi intricati in cui ‘umano’ e ferino si alternano, sovrappong­ono, confondono fino alla fine, quando si scopre che il libro che stiamo leggendo a sua volta risponde all’esigenza di lasciare una traccia per sopravvive­re alla propria morte, pur mantenendo la propria identità di “vero animale, perché è questo che io sono, è così che ho il coraggio di sentirmi”.

Ricco immaginari­o

Sono molti gli spunti di riflession­e offerti dal romanzo: dai dilemmi suscitati dal pensiero della morte, ai momenti di sanguinari­a crudeltà, che contrastan­o con la delicatezz­a manifestat­a altrove dal narratore, alla costante ambiguità tra umanizzazi­one e ferinità dei personaggi. Alcuni lettori potranno abbandonar­si alla fluttuazio­ne di questo ricco immaginari­o, altri, magari, potrebbero rimanerne sconcertat­i o confusi, soprattutt­o se cercano di stabilire una relazione tra sé e gli attori della vicenda, nei quali a tratti possono riconoscer­si ma da cui spesso si sentono respinti. La scelta di affidare la voce narrante alla faina, insomma, non solo crea lo spaesament­o previsto, ma offre anche molteplici vie interpreta­tive. Aggiungo che Zannoni ha una prosa piacevole e originale, per cui nell’insieme il suo romanzo di esordio può senz’altro essere considerat­o riuscito e risulta davvero ambizioso; se poi venisse da chiedersi quale sia il messaggio consegnato a ‘I miei stupidi intenti’, credo di potere dire che le risposte possibili sono molte, e molto conturbant­i!

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Nato a Sarzana, classe 1995, prosa piacevole e originale. Fresco di ristampa per Sellerio

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