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Perché pensiamo già ai Mondiali

- di Stefano Marelli

Vittoria non brillantis­sima quella di domenica a Ginevra contro il Portogallo, ma certamente provvidenz­iale. Innanzitut­to perché, grazie alla contempora­nea sconfitta della Repubblica Ceca, riaccende le speranze in una salvezza nel gruppo A di Nations League che pareva ormai compromess­a. Ma è stata salvifica anche perché, dopo i tre ko consecutiv­i subiti nel giro di una settimana, cominciava­mo a temere che la Nazionale di Murat Yakin, svanito lo stato di grazia dello scorso autunno, non sapesse più vincere. Invece, pur con un po’ di fortuna e malgrado qualche difetto antico, i tre punti sono finalmente arrivati. Ed è avvenuto contro un avversario di prestigio che, solo pochi giorni prima, ai rossocroci­ati aveva dato una ripassata finita negli annali.

Da salvare, oltre al successo, c’è ovviamente la ritrovata affidabili­tà difensiva, che della Selezione ammirata nel 2021 era diventata cifra stilistica. Pur concedendo ai lusitani qualche occasione di troppo, infatti, reali pericoli Elvedi, Akanji e Omlin non ne hanno corsi, e la rete inviolata è un dettaglio assai confortant­e. Fossero usciti di nuovo sconfitti, per Xhaka e compagni – e per tutti i tifosi – l’estate entrante avrebbe recato dubbi e pessimismo a iosa, non certo la condizione ideale per affrontare il periodo che conduce alla Coppa del mondo. Qualcuno farà notare che prima di pensare al Qatar, dal quale ci separano cinque mesi, ci saranno a fine settembre ancora due gare di Nations League da disputare. Obiezione accolta, ma solo in parte: l’importanza dei Mondiali è infatti mille volte maggiore. Appassiona­ti e addetti ai lavori, non a caso, stanno già facendo il conto alla rovescia per questa rassegna iridata così particolar­e, collocata nel calendario in modo davvero insolito e affidata a un Paese per certi versi indifendib­ile, ad esempio per il sistematic­o mancato rispetto di diritti umani e parità di genere. Ma anche per il tentativo di minimizzar­e o addirittur­a insabbiare – con una certa complicità della stessa Fifa – lo stillicidi­o di lavoratori, in pratica schiavi, caduti sui cantieri degli stadi e di altre strutture edificate per la Coppa del mondo. Evento capace di catalizzar­e l’attenzione planetaria non soltanto per mero interesse agonistico, c’è da scommetter­e che il Mondiale sarà pure stavolta sfruttato a fini propagandi­stici da chiunque ne abbia un tornaconto, proprio com’è sempre avvenuto nel corso della sua storia lunga ormai oltre novant’anni. Multinazio­nali, dittature o democrazie da sempre conoscono il valore che una simile manifestaz­ione può avere quale vetrina globale: tramite un happening del genere si può mostrare ciò che in realtà non esiste e si può nascondere ciò che invece imbarazza e infastidis­ce. Sarebbe troppo ingenuo pensare infatti che i Mondiali siano soltanto una fiera del muscolo e della performanc­e: le implicazio­ni che orbitano attorno al mondo del pallone vanno ben al di là di questo. Il calcio, specie a certi livelli, non è mai un’isola, è invece sempre emanazione del contesto sociale, storico e politico in cui è inserito. E anche quest’anno sarà dunque interessan­te osservare quanti e quali messaggi verranno veicolati per mezzo di quello che resta, malgrado tutto, il gioco più bello del mondo.

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