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‘Resa o morte’ a Severodone­tsk

Ultimatum dei russi. Distrutti i ponti: impossibil­e evacuare. Mosca apre al Vaticano. Erdogan insiste per il ‘no’ a Svezia e Finlandia nella Nato.

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Strada per strada, metro per metro: infuria la battaglia a Severodone­tsk, decisiva per la sorte del Donbass e forse dell’intera guerra. La situazione volge al peggio per le forze di Kiev, respinte dal centro della città da russi e filorussi che, dopo la distruzion­e dell’ultimo ponte, hanno lanciato l’ultimatum: “Arrendetev­i o morirete tutti”.

In città restano ancora intrappola­ti migliaia di civili. Oltre 500 nella fabbrica di Azot, compresi 40 bambini. Diversa la versione russa: nella zona industrial­e e nell’impianto sono asserragli­ati “300-400 nazionalis­ti, di Pravy Sektor e del battaglion­e Azov, che tengono in ostaggio centinaia di civili”. Evacuazion­i al momento sono impossibil­i, mentre sarebbero in corso negoziati per eventuali corridoi umanitari.

La difesa ucraina, ammettendo le sconfitte patite nelle ultime ore che hanno portato i russi a controllar­e almeno il 70% di Severodone­tsk – seppur al costo di “gravi perdite” –, ha evidenziat­o che la tattica russa è cambiata: “Sul campo stanno usando solo l’artiglieri­a e i corazzati con il supporto aereo”, ha riferito in un briefing il portavoce del ministero, Oleksandr Motuzianyk. Dal centro città, i russi martellano le forze nemiche a colpi di artiglieri­a e missili Grad, mentre i tank annidati in periferia, tra i quali il temibile Terminator, assicurano il consolidam­ento delle linee difensive e di rifornimen­to. Dopo la distruzion­e, ieri, del terzo ponte della città – per la quale i belligeran­ti si rimpallano le responsabi­lità –, le forze ucraine sono bloccate e le milizie filorusse hanno lanciato l’ultimatum: “Hanno due opzioni, seguire l’esempio dei loro colleghi e arrendersi o morire. Non hanno altra scelta”, hanno intimato.

Gli obiettivi del Cremlino

L’obiettivo dei russi è quello di isolare Severodone­tsk e la città gemella di Lysychansk, che sorge al di là del fiume Donetsk, che con i suoi 90 km in terra ucraina taglia letteralme­nte a metà il fronte in quest’area del Donbass.

Per ora, tentativi di sfondament­o del fronte più a sud da parte delle milizie di Donetsk, lungo la direttrice che porta a Bakhmut e alle sue alture strategich­e, “sono stati respinti”, ha assicurato Kiev riferendo di quattro attacchi tentati lungo un perimetro a una quindicina di km a sud-est della cittadina. Sugli altri fronti del conflitto, le forze russe hanno fatto importanti progressi a sud-est di Izyum e tentano di avanzare verso Slovyansk da nord-ovest. Mentre si segnalano diversi tentativi di aprirsi nuovi varchi nelle zone di combattime­nto a nord-est di Kharkiv, anche se l’obiettivo principale di Mosca sembra essere quello di consolidar­e ulteriorme­nte il fronte difensivo a sud, continuand­o a colpire con i missili i depositi di armi e munizioni, vero tallone d’Achille di Kiev in questo momento.

Continuano intanto a emergere altre atrocità nelle zone liberate. Sette corpi sono stati scoperti in una nuova fossa vicino a Bucha, la cittadina ucraina dove ad aprile erano stati rinvenuti centinaia di civili uccisi dopo la ritirata russa. “Sette civili sono stati torturati dai russi e poi giustiziat­i con un proiettile in testa”, ha denunciato su Facebook il capo della polizia di Kiev Andrii Nebytov, aggiungend­o che diverse vittime “avevano le mani e le ginocchia legate”.

Ombre sull’Alleanza

Un’ombra pesa sul summit di Madrid della Nato. Ovvero arrivare senza un accordo con la Turchia e dover dunque rimandare la ‘festa’ per l’ingresso di Svezia e Finlandia. Che saranno comunque presenti nella capitale spagnola ma, se le cose continuano ad andare per le lunghe, senza lo status di Paesi formalment­e futuri membri del club. “Sarebbe una macchia nera sul vertice”, confida una fonte diplomatic­a dell’Alleanza.

Un peccato, dato che la Nato sta mettendo molta carne al fuoco per la ratifica dei leader – compreso un aumento del 600% delle truppe disponibil­i per il comando militare alleato. Le truppe passerebbe­ro dalle 40mila ora disponibil­i sotto diretto comando Nato alle circa 240mila (dal computo già promesso al momento mancano gli Usa, dunque sarebbe una cifra conservati­va). Naturalmen­te non si tratterà di mettere subito gli scarponi sul terreno sul fronte orientale, ma di arrivare a un nuovo formato più adatto ai tempi che corrono, con chiari impegni (verificati e verificabi­li) da parte degli alleati sulle forze messe a disposizio­ne, articolate su tre livelli di prontezza per l’arrivo ad un ipotetico fronte (da 10 a 50 giorni). E non solo truppe di terra ma anche di aria, mare e cyber. “Non è proprio quello che chiedevano gli alleati dell’Est, ovvero i boots on the ground, ma ci si avvicina molto”, spiega un’altra fonte. Anche perché i tempi sono cambiati dagli anni della Guerra Fredda ed è stato deciso che avere caserme, scuole e fortini, oltre a costare molto, è roba d’altri tempi. La parola d’ordine della Nato del XXI secolo è “flessibili­tà e mobilità”. Ma anche la capacità di difendere ogni centimetro di suolo alleato.

I leader Ue verso Kiev

Si è infine finalmente aperta una finestra per consentire a Mario Draghi, Emmanuel Macron e Olaf Scholz di andare insieme a Kiev. Non c’è ancora nulla di ufficiale, vista la delicatezz­a della missione sul piano della sicurezza, ma i tre leader saranno da Volodymyr Zelensky giovedì alla vigilia del parere della Commission­e sullo status di candidato all’adesione all’Unione europea da attribuire all’Ucraina. L’intento del viaggio, dal forte valore simbolico, è innanzitut­to mostrare plasticame­nte il sostegno dei tre più grandi Paesi dell’Ue a Kiev e alla sua resistenza contro l’invasore russo. Ma i leader di Italia, Francia e Germania intendono anche sondare le possibilit­à di un riavvio dei negoziati con la Russia, che dal canto suo sembra apprezzare gli sforzi in tal senso del Vaticano. Il direttore del Primo dipartimen­to europeo del ministero degli Esteri russo, Alexey Paramonov, ha rivelato che Mosca mantiene “un dialogo aperto e riservato su una serie di questioni, principalm­ente legate alla situazione umanitaria”.

Sin dalle prime settimane del conflitto papa Francesco si era proposto di andare personalme­nte a Mosca e a Kiev per favorire il dialogo tra le parti, anche se non sempre le sue mosse sono state pienamente condivise dagli ucraini: a cominciare dalla scelta di far portare la croce della Via Crucis a una donna ucraina e una russa insieme, mettendo sullo stesso piano – è l’accusa che gli fu rivolta – aggredito e aggressore.

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KEYSTONE Un soldato ucraino in difesa di Severodone­tsk

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