laRegione

Dio, Marx e referendum

- Di Roberto Scarcella

Dio non è morto, Marx neppure, è il referendum che non si sente tanto bene. Istantanee da un’Italia sull’orlo di una crisi di nervi, come l’uomo che più di ogni altra oggi la rappresent­a. Mattarella? Draghi? Roberto Mancini? No, Massimo Giletti, svenuto in diretta in quel di Mosca nel teatrino, vista Cremlino, che lui stesso aveva tirato su con quel misto d’incoscienz­a e pelo sullo stomaco che è specialità della casa.

In un mondo ormai post-ideologico, tanta, troppa politica italiana resta – un po’ per convenienz­a e parecchio per dabbenaggi­ne – ancorata all’immaginari­o guareschia­no di Peppone e Don Camillo, dove ogni discussion­e è polarizzat­a, ma poi nessuno disdegna il gotto di vino con l’avversario, talvolta a telecamere spente, altre volte – più platealmen­te – a liste elettorali aperte (ci sono liste Frankenste­in anche a Genova e Palermo, le due città più grandi in cui si è votato per eleggere il sindaco). Ci si sostiene come in una partita a domino: finché resta in piedi l’altro, resti in piedi anche tu. E tanto basta.

A Marx aveva già fatto la respirazio­ne bocca a bocca Berlusconi, quando vedeva comunisti dappertutt­o. Non ci credeva nemmeno lui, ma funzionava. Ora la guerra in Ucraina ha risvegliat­o nostalgici di ogni sorta, in un abbraccio rossobruno, che mette insieme l’ultradestr­a e gli orfani del Muro di Berlino, quelli che amavano tanto il comunismo in versione sovietica non vivendolo sulla propria pelle. Come gli innamorati, trasfigura­no l’oggetto dei loro desideri attribuend­ogli caratteris­tiche che non ha: fino a che Putin diventa Che Guevara. D’altronde la bandiera falce e martello impolverat­a ogni tanto deve prendere aria. Se Marx e la distorta applicazio­ne che ne fecero i sovietici in Italia (...)

Segue dalla Prima

(...) stanno discretame­nte in forma, pure la Chiesa se la passa meglio di quanto sembra: a messa non ci va quasi più nessuno e i preti per farsi sentire dalle masse sono costretti a fare i balletti su TikTok, ma chi decide l’agenda politica sta bene attento a non irritare il Vaticano, non si sa mai. Risultato: l’unico referendum che avrebbe probabilme­nte trascinato gli elettori alle urne domenica scorsa, facendogli superare il fatidico quorum del 50%, quello sul fine vita e l’eutanasia legale, è stato bocciato – insieme a quello sulla cannabis – da una Corte Costituzio­nale incartapec­orita (guidata da Giuliano Amato, col physique du rôle perfetto per incarnare il “Giudice” di De André), ma comunque lesta a cavillare quando si rischia di toccare il mondo così come l’avevano trovato quando hanno preso posto. I cinque quesiti rimasti sul tavolo – proposti da una coppia che, insieme, fa già ridere solo a scriverla, i leghisti e i radicali – erano tutti sulla giustizia e tutti per addetti ai lavori. Li ha votati un italiano su 5, ma se li ha capiti uno su dieci è già un successo. I commentato­ri-jukebox con il tasto per l’indignazio­ne automatica hanno parlato di “disaffezio­ne alla politica” e “messaggio dalle urne”, rispolvera­ndo cliché ingrigiti come la Corte Costituzio­nale. La realtà appare ancora più semplice: la politica ha abdicato al proprio dovere, incapace di risolvere questioni che dovrebbero essere pratiche quotidiane, come l’aggiustame­nto delle leggi sulla Giustizia. Per nascondere le proprie mancanze – come i più pigri degli impiegati statali – ha girato le proprie incombenze e scartoffie ai cittadini, sperando che le risolvesse­ro la pratica, facendo loro credere di incidere proprio quando non serve. Il tutto ricorda un po’ quella barzellett­a che girava ai tempi della Ddr: “Perché nella Germania Est le elezioni durano sempre due giorni? Perché così almeno una volta il cittadino può fare di testa propria e decidere se votare venerdì o sabato”. Allo stesso tempo, sono tenuti lontani da questioni come il fine vita, che sono facilmente comprensib­ili e riguardano le persone da vicino. Meglio affossare tutto, gettando discredito sul referendum in sé, nobile strumento che in Italia fu fondamenta­le per portare avanti diritti civili come l’aborto e il divorzio. Non sia mai che a Don Camillo vada il vino di traverso.

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