Kiev: ‘L’Occidente tagli tutti i ponti coi russi’
Per Zelensky sono giorni decisivi, sul campo, con l’avanzata delle truppe di Putin, e a livello diplomatico, con il via libera per l’adesione all’Ue
Ogni giorno conta, da quando lo scorso 24 febbraio la Russia ha scatenato la guerra, ma l’Ucraina adesso si trova davanti a dieci giorni cruciali per il suo futuro. La stessa cosa peraltro si può dire per l’Europa. Domani sono attesi a Kiev Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Mario Draghi, ovvero la troika dell’Unione europea, mentre oggi, a Bruxelles, si riunirà il formato di Ramstein a guida Usa, il meccanismo che coordina gli aiuti militari cruciali per resistere all’assalto di Mosca.
Il capo dello staff di Zelensky ha lanciato un messaggio chiaro: l’Occidente smetta di credere in accordi con la Russia. E punti su un cavallo solo. Andriy Yermak ha scomodato persino l’imperatore Costantino e la sua conversione al cristianesimo per sottolineare il concetto. “In hoc signo vinces”, ha scritto su Twitter mettendoci vicino la bandiera ucraina. Cioè “sotto questo segno vincerai”, la visione che Costantino ebbe prima della battaglia di Ponte Milvio, decisiva per le sorti dell’impero nonché della cristianità.
Secondo Yermak, l’incontro deve rappresentare una svolta, il momento in cui l’Occidente finalmente comprenda “l’importanza della forza per raggiungere la pace” e l’addio alla ricerca del compromesso “con coloro che ricorrono alla violenza”. La soluzione è una sola: “Più armi pesanti e addestramento operativo per le nostre forze armate”. Che poi è sempre la stessa richiesta.
Ora però i russi nel quadrante sudorientale spingono forte, nel Lugansk “c’è l’inferno” e Zelensky chiede a gran voce “più armamenti a lungo raggio”, andando in pressing sulla Germania, vista come la potenza europea più tiepida nei confronti dell’Ucraina, sul piano bellico ma non solo.
Il nodo europeo
L’appuntamento con la storia passa anche dalla valutazione che la Commissione europea darà venerdì prossimo sulla richiesta di adesione presentata da Kiev. “Nulla è stato ancora deciso”, è la voce di corridoio, eppure il sì appare scontato – in fondo si tratta di un parere richiesto dal Consiglio, in particolare sull’agibilità dell’Ucraina a rispettare i valori fondanti europei sul piano politico e dei diritti, e la parola finale spetta al Consiglio stesso, che si riunirà la settimana prossima.
Ecco perché la visita della troika europea – alla quale potrebbe unirsi il presidente rumeno Klaus Johannis, stando alle ultime indiscrezioni – assume un peso ulteriore. Macron arriverà a Kiev dopo un tour nell’Est Europa che comprende una visita alla base Nato in Romania, dove la Francia ha e avrà sempre di più un ruolo guida, e una puntata in Moldavia. La sua proposta di ‘comunità politica europea’ da offrire a quei Paesi in lista d’attesa per entrare nell’Ue viene considerata come “irricevibile” dall’Ucraina: almeno lo status di candidato, dice, le spetta di diritto. Una missione quindi non facile per Macron, che domenica deve affrontare un voto chiave alle legislative. In sintesi, il destino dell’Europa appare sempre più legato a quello dell’Ucraina e viceversa: uno scenario che costa, politicamente ed economicamente.
Corridoio per i civili
Intanto si prepara un corridoio per i civili dell’Azot. A distanza di poche settimane, la storia si ripete. Come già a Mariupol per l’uscita dall’acciaieria Azovstal, anche a Severodonetsk assediata e bombardata la Russia annuncia una via d’uscita “sicura” per le centinaia di abitanti rimasti nascosti nei bunker dell’enorme fabbrica chimica. “Ancora 540-560 civili” sono bloccati in quei rifugi antiaerei, ha spiegato il sindaco Oleksandr Stryuk, secondo cui nel sito ci sono continui scontri e tentativi d’assalto.
Mosca ha invitato i combattenti ucraini che si trovano nell’impianto a rilasciare i civili, di cui denuncia l’uso come “scudi umani”, e deporre le armi, ponendo fine alla loro “insensata resistenza”: proprio come con gli irriducibili del reggimento Azov, ora trasferiti a decine nella colonia penale di Sukhodol per essere interrogati. Il corridoio promesso da Mosca resterà aperto nella giornata di oggi. Ma il suo effettivo utilizzo resta tutto da verificare, perché anche stavolta il copione prevede versioni e destinazioni divergenti: Kiev pretende un passaggio verso la città gemella di Lysychansk, ultimo bastione dei difensori nella regione di Lugansk, al di là del fiume che separa i due centri e taglia in due il fronte; Mosca prevede invece un percorso verso Svatovo, a nord, nei territori già controllati dai filorussi.
Mentre si tratta sull’uscita dei civili, la battaglia nel Lugansk continua a infuriare. Le condizioni nella regione sono “un vero inferno”, ha detto il governatore Serhiy Gaidai, parlando di “bombardamenti così potenti che la gente non riesce più a resistere nei rifugi”. Nelle ultime ore, altri 70 civili sono stati evacuati da Lysychansk e dagli insediamenti circostanti, dove si teme un ulteriore intensificarsi dei raid. La resistenza è allo stremo. Intanto, un nuovo fronte potrebbe tornare ad aprirsi a nord. Per la prima volta da settimane, ha segnalato la Difesa britannica, si è registrata un’avanzata delle forze russe verso Kharkiv, seppur limitata. Diversi bombardamenti in tre comunità dell’oblast hanno provocato incendi e il ferimento di un bambino di 11 anni e di un adolescente di 17. Il secondo centro ucraino, assediato all’inizio del conflitto giunto al 111esimo giorno, torna dunque nel mirino. Ma gli sforzi bellici di Mosca restano concentrati sul Donbass.
I raid continuano anche nel resto del Paese. Quattro civili, tra cui un bambino, sono rimasti feriti dalle schegge di un missile russo intercettato dalla contraerea nella regione di Leopoli, non lontano dal confine polacco. Lontano dalle bombe, non si ferma neppure la battaglia diplomatica. Mosca ha inserito nella blacklist dei suoi indesiderati altri 49 cittadini britannici, tra cui funzionari della Difesa e giornalisti di Bbc, Financial Times, Guardian e Sky News, mentre il governo di Londra continua a denunciare la condanna a morte in Donbass dei suoi due cittadini accusati dai filorussi di essere “mercenari” e si dice pronto a fare “tutto ciò che è necessario” per liberarli.
NAVALNY SPARITO Mandato al carcere duro
“Ho sentito dire che verrò trasferito nella colonia di massima sicurezza di Melekhovo, una cittadina della Russia centrale dove ai detenuti vengono strappate le unghie”: il tweet è del 4 maggio ma evidentemente Alexei Navalny aveva ricevuto l’informazione giusta.
Il capo del suo staff Leonid Volkov e la portavoce Kira Jarmysch hanno fatto sapere sui social che il principale oppositore di Vladimir Putin non è più nel carcere di Pokrov, a cento chilometri da Mosca. Senza preavviso, né informazioni a parenti e avvocati, il 46enne fondatore del partito Russia del Futuro è stato portato via. Per ora non si sa dove. “Finché non sapremo dove si trova, Alexei rimarrà a tu per tu con il sistema che ha già tentato di ucciderlo, quindi il nostro compito principale è quello di localizzarlo il prima possibile”.