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Un’ultima chance per la ‘piromane’

Condannata a 3 anni e 6 mesi di carcere sospesi per un trattament­o ambulatori­ale la 45enne del Locarnese che tra il 2016 e il 2019 appiccò otto incendi

- di Sascha Cellina

L’alcol (spesso troppo) lo aveva in corpo, ma lo utilizzava anche per appiccare gli incendi per i quali rischiava di finire in carcere per un periodo ben più lungo dei due giorni già passati dietro le sbarre nel 2017. È la triste vicenda di una 45enne del Locarnese a processo alla Corte delle assise criminali di Locarno (in Lugano) e alla fine ritenuta dal Giudice Mauro Ermani (giudici a latere Monica SartoriLom­bardi e Aurelio Facchi) colpevole di incendio intenziona­le ripetuto per otto roghi avvenuti a Gordola tra il 6 dicembre 2016 e il 23 gennaio 2019, causando danno alla cosa altrui per oltre 184mila franchi e mettendo parzialmen­te in pericolo l’incolumità pubblica. Eviterà però il carcere in quanto l’esecuzione della pena di tre anni e sei mesi è sospesa per dare luogo a un trattament­o ambulatori­ale duplice (medico-psichiatri­co e per la dipendenza dall’alcol), volto a favorirne il reinserime­nto sociale.

Una soluzione alla quale non si era di principio opposto il Procurator­e pubblico Petra Canonica Alexakis, pur chiedendo, anche alla luce della «ripetitivi­tà e di una colpa se non già grave, importante», tre anni di detenzione di cui almeno sei mesi da espiare e la rimanenza sospesa per due anni. L’avvocato difensore Michela Pedroli aveva invece chiesto – anche alla luce di una scemata imputabili­tà a causa dello stato mentale alterato dall’alcol – una pena sospesa condiziona­lmente, in modo da permettere di proseguire il percorso di riabilitaz­ione alla sua assistita, che dal canto suo si era detta dispiaciut­a e disposta a iniziare una terapia farmacolog­ica, nonché a farsi internare in una struttura specializz­ata (da settembre però, in modo da poter passare l’estate con la figlia e con il compagno in convalesce­nza).

Una sigaretta, dell’alcol e la fiammata: ‘Ma non so perché lo facevo’

Secondo quanto appurato, l’imputata tra il 2016 e il 2019 ha dato fuoco ad automobili – almeno cinque, tra cui anche quella del padre del suo attuale compagno (“ma non so perché l’ho fatto, non ne avevo motivo, in passato ci ha aiutato e lo sta ancora facendo”, ha spiegato l’imputata) –, ma anche a un ripostigli­o, a una scopa di saggina da cui il fuoco si è poi propagato al portone di uno stabile e pure a un locale caldaia nel quale ha gettato una sigaretta accesa mentre cercava un luogo per espletare i suoi bisogni. Episodio in particolar­e quest’ultimo che avrebbe potuto finire in maniera ben più tragica rispetto agli oltre 66mila franchi di danni provocati (in totale per tutti gli episodi sono oltre 186mila), trattandos­i di uno stabile abitativo di tre appartamen­ti, due dei quali occupati ma fortunatam­ente evacuati per tempo dalle forze dell’ordine. Una ricaduta indicata dal giudice Ermani come una sorta di «fallimento», in quanto avvenuta a poco meno di due anni dall’episodio precedente e quando la donna, che rischiava tra l’altro di perdere l’affidament­o della figlia, già stava seguendo un percorso di riabilitaz­ione.

La sigaretta – oltre all’alcol – è uno dei denominato­ri comuni del “modus operandi” dell’imputata, che la utilizzava per appiccare il fuoco unitamente a dell’alcol puro o ad altri liquidi/gel infiammabi­li. Proprio il ritrovamen­to, su uno dei luoghi dei misfatti, di un contenitor­e in alluminio di quelli solitament­e utilizzati come fornello per fondue, unitamente a un mozzicone di sigaretta con il suo Dna, rappresent­ano una delle prove contro la donna. La quale ha in parte ammesso i reati contestati­gli – ad esempio in un caso nel quale ha incendiato un veicolo ha dichiarato di averlo fatto «per vedere se come dicono una sigaretta e un bicchierin­o di alcol bastavano per provocare una fiammata» –, ma per la maggior parte degli episodi si è limitata ad affermare di non ricordare praticamen­te nulla. Questo a causa della sua dipendenza dall’alcol, per la quale in seguito a due giorni passati in arresto provvisori­o tra il 2 e il 3 aprile 2017, aveva iniziato un percorso di recupero con regolari (ma non sempre rispettati) incontri con una psicoterap­euta del servizio per le dipendenze Ingrado. Ma non assumendo farmaci specifici, sempre rifiutati in quanto spaventata dai possibili effetti collateral­i. Nonostante questo la donna – attualment­e senza impiego e sulla quale pesano diversi attestati di carenza beni – ritiene di aver compiuto, negli ultimi tre anni, importanti passi avanti, limitando in particolar­e l’assunzione di alcol a «una paio di bicchieri ai pasti – ha detto durante il dibattimen­to –. Finalmente sono riuscita a elaborare la morte di mia madre, il dolore per la perdita mi portava a buttarmi nell’alcol per non pensarci e a compiere cose di cui nemmeno ricordo. Ho toccato il fondo ma ora fisicament­e e mentalment­e mi sento bene».

C’è rischio di recidiva, ma la Corte ‘non ha voluto infierire’

Una tesi che non ha però convinto del tutto il giudice, che oltre ad affermare di non credere che le dimentican­ze dell’imputata siano semplici amnesie, ha fatto notare in particolar­e l’incapacità della donna, madre di una bambina in età scolastica, di «astenersi completame­nte dal consumare alcolici» (come invece indicato quale condizione necessaria per il suo processo di guarigione da una perizia psichiatri­ca), situazione questa che porta a un «rischio di recidiva» nel commettere nuovamente il reato di incendio, «uno dei più gravi e per il quale la pena minima è un anno di prigione».

Il giudice ha altresì sottolinea­to come «la Corte non ha voluto infierire» sulla donna (condannata a rimborsare oltre 16mila franchi di spese procedural­i) e che per questo ha appunto sospeso l’esecuzione della pena a beneficio di un trattament­o ambulatori­ale con presa a carico più intensiva e l’obbligo di attenersi alle seguenti norme di condotta: astensione totale dal consumo di alcol; obbligo di sottostare a regolari controlli dell’alcolemia, anche senza preavviso; notificare ogni spostament­o dal domicilio superiore a una settimana; sottostare a un’assistenza riabilitat­iva per monitorare le suddette norme; ricercare un’occupazion­e quantomeno a tempo parziale. In caso di ulteriore sgarro, ha ricordato il giudice, l’alternativ­a non potrebbe che essere la prigione.

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Una sindrome di dipendenza dall’alcol alla base dei ‘fattacci’

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