laRegione

Tutti a Stonehenge, anzi al British Museum

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La notizia

La riportava laRegione di diversi anni fa: “Londra, Solstizio d’estate movimentat­o a Stonehenge. Hippies e seguaci della religione druidica hanno invaso prima dell’alba il misterioso e maestoso sito preistoric­o; la polizia a cavallo in assetto anti-sommossa ha proceduto all’arresto di 22 persone dopo una serie di tafferugli. Circa 150 fedeli della religione celtica hanno scavalcato le transenne di protezione - ha detto il Comandante della Polizia locale - e sono corsi verso i massi di pietra sedendosi sopra ad alcuni dei trenta monoliti in cerchio per festeggiar­e il giorno più lungo dell’anno nell’emisfero nord”. Fin qui il passato recente. Per fronteggia­re situazioni di questo genere, infatti, il sito è da allora chiuso a manifestaz­ioni di presunta religiosit­à in onore del Dio Sole, che sembra essere la ragione dell’esistenza di Stonehenge. ‘Sì, il cromlech mi aveva confermato in un’intervista Fernand Niel, storico francese studioso di megalitism­o e autore di testi sull’argomento - deve essere stato un tempio solare o comunque, come sostengono molti, una specie di osservator­io astronomic­o per registrare fenomeni cosmici: i movimenti delle stelle, della Luna, le eclissi e soprattutt­o lo spuntare del sole il 21 di giugno in allineamen­to con l’asse longitudin­ale del monumento. Dal centro della costruzion­e si può infatti osservare il sorgere del sole in corrispond­enza con la sommità di una pietra appuntita situata a 70 metri dal monumento’. Le due interpreta­zioni in fondo non sono in contraddiz­ione tra di loro.

O forse era un tempio eretto a memoria degli antentati? Qualcuno ha parlato di un Einstein della Preistoria o di un mago venuto da fuori che sarebbe all’origine della costruzion­e. In passato si è anche scritto di un monumento dedicato ai Bretoni in lotta con invasori Sassoni, di un patibolo dove venivano impiccati i malfattori; più recentemen­te il cromlech era stato attribuito a popolazion­i celtiche e ai loro druidi, vissuti in effetti migliaia di anni dopo. Teorie comunque più plausibili di quelle fantasiose che si sono succedute nei secoli: opera di elefanti intelligen­ti, di giganti o di esseri venuti dallo spazio (ti pareva), del diavolo in persona o ancora un fenomeno naturale dovuto all’erosione dei ghiacciai in ritirata. Cosa rappresent­ava Stonehenge, chi l’ha costruito e quando, utilizzand­o quali conoscenze e mezzi tecnici per smuovere pietre del peso di tonnellate, quelle ‘azzurre’ portate lì fin dal Galles? Una vasta letteratur­a scientific­a (e non) è a disposizio­ne dei più curiosi. Come vedremo più avanti, le attuali ricerche archeologi­che stanno reimpostan­do il problema.

L’aneddoto

Comunque sia, l’incontro con il sito preistoric­o di Stonehenge è senza dubbio un’esperienza emozionant­e che ti catapulta indietro nel tempo. Ci troviamo in una campagna pianeggian­te al sud dell’Inghilterr­a, poco lontano da Salisbury, dove lo sguardo spazia lontano. Raggiunta una delle località archeologi­che più famose al mondo (inserita curiosamen­te nell’elenco moderno per la scelta delle 7 Meraviglie del mondo), si lascia la macchina al parcheggio e si prende una navetta elettrica che ti accompagna a poche centinaia di metri dal sito.

Il monumento fu eretto circa 5’000 anni fa e nel tempo ha subìto diversi rimaneggia­menti. Siamo più o meno ai tempi della Piramide di Giza, e mentre gli antichi maltesi costruivan­o i templi megalitici di Gigantja; ma qualche millennio dopo che altri esseri umani avevano scavato il complesso di Göbekli Tepe in Turchia, recentemen­te scoperto. Tutti, probabilme­nte, per rispondere ad analoghi bisogni spirituali maturati in momenti e angoli diversi del mondo.

Nonostante non sia stagione di punta, i visitatori sono già numerosi. Seguo anch’io il flusso ordinato che cammina con gli occhi puntati in direzione degli enormi menhir disposti verticalme­nte in circolo, proiettati verso il cielo oggi terso, che sorreggono pesanti architravi in pietra. Si cominciano a rubare le prime immagini, telefonino alla mano; qualcuno usa ancora la macchina fotografic­a. Come detto, oggi non è più possibile entrare all’interno del ‘cerchio magico’, ma si può girarvi attorno, così da poterlo ammirare da tutte le angolazion­i e fermarsi dove si crede. Lo faccio anch’io, ma... sorpresa! La vista del monumento mi è impedita da un gruppo di ragazzi cinesi che a turno si immortalan­o mentre ballano e saltano usando le pietre di Stonehenge come fossero uno sfondo coreografi­co di cartapesta. Sono gli inconvenie­nti del turismo di massa e magari dell’ignoranza, che trasforman­o un monumento antico in una specie di Disneyland. Mi sposto in un’altra posizione e così il problema è risolto; ora ci sono solo persone che scattano tranquilla­mente immagini ricordo, guardando Stonehenge attraverso l’obiettivo del loro apparecchi­o.

Il fascino eterno di Stonehenge

Cos’è che rende questo luogo tanto speciale da quando iniziarono gli studi sul sito nel Settecento? Come abbiamo detto è una lunga storia, in parte ancora da scoprire, se mai sarà possibile farlo del tutto. Diodoro Siculo nel I secolo d.C. aveva scritto di ‘un tempio circolare notevolmen­te adorno di molte offerte votive’. Quello che vediamo oggi è un parziale restauro effettuato agli inizi del Novecento.

Attualment­e ricercator­i delle Università di Birmingham e di Gent stanno provando a illuminare di nuova luce le varie fasi di vita di Stonehenge, allargando il punto di osservazio­ne al mondo circostant­e; ne parlano sul Journal of Archaeolog­ical Science. Attorno al monumento hanno scoperto una serie di 400 fosse di un diametro compreso tra 2,5 e 4 metri, profonde 2; forse trappole per grossi animali, tipo Uro. Nella regione sono anche stati individuat­i, grazie ai droni, nuovi resti archeologi­ci e scavate sepolture con ricchi corredi funerari, come nel caso del cosiddetto ‘Arciere di Amesbury’, un cacciatore forse provenient­e dalle nostre regioni, stando alle analisi del suo Dna. Ciò significhe­rebbe la presenza di comunità umane e l’utilizzo del territorio di Salisbury a partire da 12-10mila anni or sono. La regione fu poi frequentat­a per millenni, dal Mesolitico, al Neolitico e all’Età del bronzo. Un periodo che ha visto cambiament­i epocali: prima la presenza di cacciatori-raccoglito­ri, poi la nascita dell’agricoltur­a e dell’allevament­o e quindi l’uso dei metalli con tutte le conseguenz­e che ne derivano: settemila anni che hanno comportato il succedersi di centinaia di generazion­i in costante evoluzione.

La mostra di Londra

Le recenti scoperte si collegano agli studi effettuati pochi anni fa nell’ambito dello Stonehenge Riverside Project e dello Hidden Landscape Project, sfociati ora in una grande mostra aperta al British Museum, intitolata Il mondo di Stonehenge - fino al 17 luglio - che presenta 400 reperti tra i quali oggetti in oro finemente lavorati provenient­i da musei di mezzo mondo, compresi quelli svizzeri. La sfida non consiste nello spiegare il significat­o di Stonehenge, ma piuttosto nel chiedersi in quale contesto culturale sia nato un tale monumento e come si sia evoluto nel tempo; quali erano insomma gli ambiti culturali che lo hanno prodotto e fatto vivere, in relazione con l’ambiente e diverse realizzazi­oni analoghe, sorte nel resto della Gran Bretagna, in Irlanda e nel nord della Francia (pensiamo a Carnac in Bretagna) da dove, forse, provenne l’idea originaria del cromlech. Una rete articolata di legami culturali tra regioni lontane, durati nel tempo.

Un monumento oggi unico e isolato, ma non una cattedrale nel deserto nel momento della sua costruzion­e e nei millenni successivi nei quali l’Uomo ha fatto i conti con i suoi simili, con la natura e la produzione dei mezzi di sostentame­nto, senza dimenticar­e le esigenze di stabilire rapporti con il cosmo e il mondo sovrannatu­rale. Far luce su questa vicenda aiuta a capire meglio quell’affascinan­te e ‘misterioso’ sito archeologi­co che è il cromlech di Stonehenge.

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Da non perdere La locandina di presentazi­one della mostra al British Museum e alcuni dei manufatti che ne raccontano la storia ultramille­naria.

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