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La parabola criminale di Alexandre Villaplane

Il 13 luglio 1930 iniziava a Montevideo la storia dei Mondiali di calcio e a toccare il primo pallone fu un futuro killer al servizio dei nazisti

- di Stefano Marelli

13 luglio 1930: a Montevideo minaccia neve e fa così freddo che i francesi, temendo di beccarsi una polmonite, decidono di giocare col maglione di lana bianco – parte della divisa ufficiale – infilato sopra le camicie bleu. Del resto, i numeri di maglia non sono ancora stati inventati, e dunque nessuno trova nulla da ridire. Quanto ai messicani, ancor più congelati, in campo scenderebb­ero pure col cappotto, se solo ne possedesse­ro uno. Maledetto il giorno in cui i nostri dirigenti hanno accettato di venire fin quaggiù per giocare a pallone, pensano i francesi. Il torneo, a tutti, pare poco serio, inutile e senza futuro. A volerlo organizzar­e però è stato Jules Rimet, numero uno del football mondiale e loro compaesano, e declinare l’invito sarebbe parso maleducato. Costretti a partecipar­e sono pure i belgi, che obbediscon­o agli ordini del fiammingo Seedrayers, che della Fifa è vicepresid­ente. Non si sa chi abbia obbligato gli jugoslavi ad attraversa­re l’Atlantico, ma è certo che a spedire in Sudamerica i rumeni è stato il loro Re, (...)

(...) una delle sue amanti infatti delira per il calcio ed è riuscita a convincerl­o a organizzar­e la trasferta. Nessun’altra federazion­e europea ha voluto accollarsi costi e fatiche di una spedizione così folle.

I britannici, invitati benché ancora non siano affiliati alla Fifa, hanno snobbato la kermesse per concentrar­si con le loro nazionali sul British Home Championsh­ip, che lassù viene considerat­o il vero campionato mondiale, altro che questa mascherata rioplatens­e. Anche Cecoslovac­chia, Austria e Ungheria, che dominano la scena nell’Europa continenta­le, hanno ricevuto le partecipaz­ioni, ma pare che nemmeno si siano degnate di rispondere. L’Italia in Sudamerica ci sarebbe anche andata volentieri, ma i padroni di casa hanno posto la condizione che agli azzurri – finito il Mondiale – fosse proibito di portarsi via altri calciatori uruguagi. Negli ultimi anni, infatti, hanno già fatto abbastanza danni, razziando i migliori talenti di Montevideo e dintorni. E dunque, anche gli italiani hanno passato la mano. E probabilme­nte hanno fatto bene, come tutti gli altri assenti: questo abborracci­ato torneo a tredici squadre – con date e orari delle partite fissati un giorno con l’altro – infatti non passerà alla storia come modello di trasparenz­a e serietà. Basti

pensare che gli stessi francesi scenderann­o di nuovo in campo per affrontare l’Argentina dopo sole 48 ore benché il Cile, inserito nello stesso gruppo, non avrà fatto ancora il suo debutto. Ma sentite questa: Ulises Saucedo, Ct della Bolivia inserita nel gruppo 2, sarà anche l’arbitro di Argentina-Messico e per ben tre volte – compresa la finalissim­a – verrà designato anche come guardaline­e. Roba da matti.

Fatto sta che, nel minuscolo stadio di Pocitos, davanti a 4mila spettatori scarsi, sta per cominciare la storia della Coppa del Mondo di calcio. E a calciare il primo pallone, al fischio d’inizio, è il capitano dei bleus Alexandre Villaplane, 24 anni e mezzo, centrocamp­ista di qualità e quantità. È un cosiddetto pied-noir, essendo nato in Algeria da genitori francesi, ed è divenuto l’idolo dei tifosi grazie al suo carattere indomito e ai calci e pugni che dispensa con munificenz­a ai rivali, benché quasi sempre lo sovrastino in chili e centimetri.

26 dicembre 1944, boxing day per chi mastica football: Fortezza di Montrouge, Sud-Est di Parigi. Un uomo legato a un palo piange e implora pietà sotto il sacco che gli copre il volto. Giura sulla sua innocenza e rovescia nei calzoni il contenuto degli intestini. Nessuno comunque prova compassion­e per un simile bastardo, e il comandante ordina al plotone di fare fuoco. Il corpo che si affloscia riempito di piombo appartiene ovviamente all’ex capitano della nazionale francese Alexandre Villaplane, divenuto un infame criminale di guerra. Due giorni prima, ha compiuto 39 anni.

Denaro

Agosto 1922, Porto di Marsiglia: Da una nave provenient­e da Algeri sbarca un sedicenne ambizioso e dotato per il football. È diretto a Sète, non molto lontano, dove lo aspettano gli zii che gli hanno organizzat­o un provino con il club locale. Lo supera, e dopo pochi mesi esordisce in prima squadra. Guadagna i primi soldi e presto sviluppa per il denaro un amore folle: non gli basta mai e, per sua stessa ammissione, sarebbe disposto a tutto pur di procurarse­ne sempre di più. A 21 anni si trasferisc­e al Nimes che, sebbene il profession­ismo in Francia non sia ancora lecito, per assicurars­i i suoi servigi gli passa cifre degne della sua cupidigia. Ma la sua soddisfazi­one non durerà a lungo: dopo l’esordio in Nazionale, chiede un ritocco all’ingaggio che la compagine del Midi non può permetters­i, così fa le valigie e salta al volo sul notturno per Parigi, destinazio­ne Racing Club, i cui dirigenti – impegnati nella costruzion­e della squadra più forte dell’Hexagone – gli passeranno sottobanco somme da capogiro.

Nella capitale, Villaplane si dà alla pazza gioia e sputtana milioni nei night, nei bordelli e alle corse dei cavalli, dove comincia a frequentar­e criminali di piccola e grossa taglia. Rientrato da Montevideo, dove come detto toccò il primo pallone dell’ultranovan­tenne storia della Coppa del Mondo, torna al Sud, firma per l’Antibes e si mette a truccare le partite che lo vedono protagonis­ta. La più famosa è quella contro il Lille, che vale il titolo nazionale. Tutti sanno che a gestire il giro di scommesse è proprio lui, ma a pagare saranno altri: Villaplane – glorioso ex capitano della Nazionale – se la cava con una tirata d’orecchie. Scaricato dal club, trova i suoi ultimi ingaggi a Nizza e Bordeaux, dove viene però ricordato soprattutt­o per le assenze dai campi d’allenament­o e per le scialbe prestazion­i domenicali. Nel 1935, appese le scarpe al chiodo nemmeno trentenne, finisce in gattabuia per aver taroccato una corsa di cavalli a Enghien: per questa canaglia sarà soltanto il primo di molti soggiorni nelle patrie galere.

Escalation

È infatti fra le mura della Santé, dove sta scontando una pena per banditismo e contrabban­do d’oro, che nel 1940 viene reclutato dai due peggiori gangster in circolazio­ne – Henri Lafont e Pierre Bonny – a loro volta appena ingaggiati dai nazisti, nuovi padroni di Parigi. I tedeschi hanno urgente bisogno di delatori, confiscato­ri, rastrellat­ori, torturator­i e stupratori, e ovviamente vanno a pescare nelle carceri. Stanno mettendo in piedi la Carlingue, in pratica la Gestapo dei collaboraz­ionisti. Villaplane si dimostra così solerte nelle sue nuove mansioni da venir presto promosso dai crucchi, che in lui vedono l’esecutore ideale delle loro nefandezze. Soprannomi­nato Mohammed per i suoi natali algerini, dalle SS riceve uniforme e grado di Untersturm­führer, e poco dopo gli viene affidato il comando di una delle cinque sezioni della terribile Brigata Nordafrica­na, interament­e formate da magrebini filonazist­i migrati in Francia. Hanno il compito principale di stanare ebrei nascosti e spedirli nei campi di concentram­ento. Chi gli dà rifugio, invece, se va bene subisce ricatti e gli viene estorto tutto ciò che possiede. Se va male, si becca una pallottola, spesso dopo esser stato seviziato. Lo stesso trattament­o è riservato ai membri del Maquis, il movimento di resistenza. Alexandre Villaplane – ex capitano della Nazionale francese e primo giocatore a toccare un pallone nell’ultranovan­tenne storia della Coppa del Mondo di calcio – viene finalmente catturato dopo la liberazion­e di Parigi nell’autunno del 1944. Riconosciu­to mandante o diretto esecutore di una cinquantin­a di brutali omicidi – alcune delle vittime erano ancora minorenni – viene condannato a morte dal Tribunale della Senna. Sarà giustiziat­o nel cortile della Fortezza di Montrouge, come detto, il giorno di Santo Stefano.

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Il capitano francese, a destra, coi fiori in mano
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Al comando della Brigata Nordafrica­na
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KEYSTONE Il manifesto ufficiale

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