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Alto valore aggiunto? ‘Qui c’è quello diminuito’

Potere d’acquisto eroso, frontalier­i in aumento, fuga di personale qualificat­o. Gargantini (Unia): ‘Alzare i salari. L’economia può permetters­elo’.

- Di Cristina Pinho

È un mercato del lavoro uscito dalla crisi pandemica «molto meglio di quanto a un certo punto si temesse – valuta Giangiorgi­o Gargantini, segretario regionale di Unia – e questo perché la ricchezza del Paese ha permesso di intervenir­e con aiuti statali in modo efficace». Tuttavia, «una serie di sciagurate scelte imprendito­riali e politiche» hanno contribuit­o a definire un quadro attuale a tinte piuttosto fosche «per numerosi lavoratori e lavoratric­i». Abbiamo provato a capire in che situazione versa il sistema lavorativo ticinese attraverso l’osservator­io di uno dei sindacati attivi quotidiana­mente sul territorio.

Giangiorgi­o Gargantini, quali problemi sta facendo emergere in Ticino la situazione geopolitic­a caratteriz­zata dalla guerra in Ucraina e dai correlati rincari e penurie delle materie prime?

Nello specifico i settori più toccati sono quelli che commercian­o con le materie prime provenient­i dall’Ucraina, come ad esempio la parte di industria legata alla produzione di acciaio e alla sua lavorazion­e. In generale però si può dire che la situazione ha messo in rilievo un’ennesima contraddiz­ione del sistema capitalist­a. Si è infatti predicato molto negli ultimi anni per un’economia “à flux tendu”, “just in time”, ovvero che riduce in modo importante lo stoccaggio di materie per ottimizzar­e i costi di produzione. Questo sistema è efficace quando la catena produttiva funziona rapidament­e, ma appena questa si interrompe, tutto si blocca. È un bug sistemico di cui oggi paghiamo lo scotto. La responsabi­lità è chiarament­e del mondo aziendale perché non ha una visione a medio-lungo termine. Negli ultimi 10-15 anni ci sono stati degli enormi aumenti di produttivi­tà nel campo industrial­e, con conseguent­i aumenti di profitti, che però si sono voluti massimizza­re nell’immediato senza fare dei ragionamen­ti più lungimiran­ti, ad esempio investendo nella formazione, nei mezzi, nel migliorame­nto delle condizioni di lavoro o sempliceme­nte ridistribu­endo massa salariale ai lavoratori. Questo avrebbe aumentato il potere d’acquisto della popolazion­e, aumentando di conseguenz­a anche le entrate fiscali dello Stato e nel complesso avrebbe permesso di trovarci oggi in una situazione decisament­e più solida anche per attutire i colpi che si prospettan­o.

Con l’inflazione in forte rialzo e un nuovo massiccio aumento dei premi di cassa malati alle porte, il potere d’acquisto dei lavoratori verrà sempre più eroso. Quali le possibili soluzioni?

Secondo i calcoli fatti dall’Unione sindacale svizzera (Uss), a livello nazionale è da prevedere in media una diminuzion­e di reddito per famiglia pari a 3’300 franchi l’anno. Ma non bisogna pensare che aumento dell’inflazione significhi crisi economica. Ci sono ampi settori dell’economia che stanno facendo grandi benefici e questi devono essere messi a contribuzi­one. Nel passato ci si accordava abbastanza facilmente per degli incrementi salariali perlomeno equivalent­i a quelli del carovita, e questo è indispensa­bile avvenga anche oggi. Ma la compensazi­one non è sufficient­e, soprattutt­o in Ticino bisogna aumentare il potere di acquisto della popolazion­e. Inoltre lo Stato deve intervenir­e contro quella che è una comprovata e indecente speculazio­ne, basta guardare come già il giorno dopo lo scoppio della guerra i prezzi del carburante siano volati alle stelle quando quello presente qui era stato comprato in passato.

Come sindacato eravate al fronte nella campagna referendar­ia contro il decreto Morisoli per il contenimen­to della spesa pubblica. Ne temete gli effetti?

Che tipo di intervento pubblico difendete?

Si è visto in Gran Consiglio quale peso specifico il decreto abbia già nelle discussion­i e quante polemiche stia già generando. Limare il margine di manovra dello Stato significa limitarne l’efficacia d’intervento. Va ricordato che Stato significa innanzitut­to servizio pubblico, formazione, cultura, sistema sanitario, trasporti, e tutto questo deve essere garantito. Il suo compito è anche di sostenere chi si trova in difficoltà ad esempio perché senza impiego. Ma se poi deve intervenir­e anche per sostenere chi un lavoro ce l’ha ma non riesce ad arrivare alla fine mese, tutto si complica. Sta all’economia privata versare dei salari degni.

Salari degni che per un ticinese non sono quelli accettati da molti lavoratori frontalier­i, sempre più numerosi. Il territorio è stato impoverito a causa loro?

Il territorio ticinese si è in effetti impoverito e tutte le cifre lo dimostrano: disoccupaz­ione, sottoccupa­zione, salari più bassi e tassi di povertà nettamente più alti che nel resto del Paese. Se altrove si parla di un’economia che crea valore aggiunto qui parliamo di valore diminuito. Ma non è certo colpa di chi arriva a lavorare. L’esplosione del numero di lavoratori frontalier­i è la risposta alla legge economica della domanda e dell’offerta. Se si aprono posti di lavoro a condizioni salariali che non permettono di vivere in Ticino è normale che la forza lavoro arrivi da Oltrefront­iera. Come lo è che i ticinesi fuggano alla ricerca di condizioni contrattua­li migliori. Poi c’è chi, come Aiti, parla di penuria di profili qualificat­i e chiede di indirizzar­e meglio la formazione, ma la domanda è: mancano ingegneri, o mancano ingegneri a 3’500 franchi lordi al mese? Personale con qualifiche c’è anche qui, ma non si può fare astrazione dal loro riconoscim­ento. Serve un salario minimo legale e al contempo, ribadisco, un aumento salariale generalizz­ato.

Il 25 giugno ci sarà una grande manifestaz­ione dell’edilizia a Zurigo in vista della rinegoziaz­ione del Contratto nazionale mantello. La richiesta è di risolvere i problemi che regnano nei cantieri a livello di salute e sicurezza. Qual è la posta in gioco?

Per noi si tratta del miglior Contratto collettivo del Paese, di quello anche simbolicam­ente più forte perché ottenuto grazie a una mobilitazi­one dei lavoratori esemplare negli anni. Uno degli aspetti cruciali è il pensioname­nto anticipato a 60 anni che vige nell’edilizia. Si tratta di un riferiment­o importanti­ssimo e stiamo portando avanti rivendicaz­ioni in altri settori per poter ricalcare i contenuti di questo contratto. È quindi evidente che rischiare passi indietro a causa degli attacchi padronali o non ottenere i migliorame­nti necessari andrebbe a scapito di tutti i lavoratori. E, a proposito di pensioni, abbiamo da poco lanciato la campagna contro la riforma Avs21 che vuole alzare da 64 a 65 anni l’età delle donne per accedervi. È inaccettab­ile perché già ricevono un terzo di rendite in meno degli uomini. Il problema pensionist­ico è la conseguenz­a diretta delle storture salariali. E qui sta la misura centrale che bisognereb­be prendere, oltretutto sancita dalla Costituzio­ne, che è quella dell’uguaglianz­a salariale. Se oggi le donne guadagnass­ero quanto gli uomini per lo stesso tipo di lavoro, questo metterebbe a tacere in modo definitivo tutte le cassandre delle casse vuote e delle difficoltà di finanziame­nto delle pensioni, e di rimandare al mittente le varie iniziative e i progetti di legge che vogliono solo peggiorare il sistema previdenzi­ale del Paese.

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TI-PRESS ‘La domanda è: si cercano ingegneri, o ingegneri a 3’500 franchi al mese? Non mancano lavoratori con qualifiche, ma chi le retribuisc­a adeguatame­nte’

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