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Energia e Demagogia

Una società, molte fonti di approvvigi­onamento

- d’indifferen­za, d’emergenza. PUBLIREDAZ­IONALE A PAGAMENTO

Costi più alti e difficoltà nell’approvvigi­onamento. L’allarme lanciato qualche settimana fa da ElCom, la Commission­e federale dell’energia elettrica, non lascia spazio a dubbi. La guerra russo-ucraina ha destabiliz­zato ulteriorme­nte il mercato dell’energia, spingendo al rialzo il prezzo mondiale del petrolio e del gas. Un clima di pesante incertezza ha smorzato l’ottimismo nella tanto sperata ripresa economica nell’Europa del dopo pandemia.

Nel giro di pochi mesi si è passati dai proclami solenni contro i combustibi­li fossili alla corsa per il loro accaparram­ento, alimentand­one l’escalation dei costi.

Per sostituire le forniture russe di gas e petrolio ci si deve rivolgere ad altri Stati retti, purtroppo, da governi instabili o da autocrati che non danno grandi garanzie di affidabili­tà sul medio e lungo termine. Una ricerca volutament­e miope di nuove pericolose dipendenze, le cui possibili conseguenz­e si potranno valutare nella loro interezza solo in futuro.

Nonostante l’inevitabil­e “fame planetaria” di combustibi­li fossili, e l’emergenza che ne deriva, non sembra concedere tregua la “verde” corsa simultanea. Nel pieno della tempesta energetica l’Europarlam­ento ha deciso di porre fine alla vendita di auto a benzina e diesel nel 2035. I Verdi svizzeri, per non essere da meno, hanno annunciato un’iniziativa per mettere al bando i motori termici addirittur­a nel 2025. Un iper-attivismo ecologista che potrebbe avere effetti devastanti per l’economia e la società. Eppure, l’attuale crisi energetica globale mostra chiarament­e che il problema della transizion­e green, condiviso e condivisib­ile sul principio, dovrebbe venire affrontato con molto più pragmatism­o.

Una scelta avventata

La decisione dell’Europarlam­ento deve ancora passare all’esame del Consiglio europeo e al vaglio degli Stati membri, e vogliamo pensare prevalga il buon senso. I costi di una scelta avventata si scarichera­nno inevitabil­mente sui ceti medi, sulle fasce a basso reddito e sulle imprese. Persone e imprese che hanno adottato ormai da tempo, per quanto nelle proprie possibilit­à, priorità di sostenibil­ità non di poco conto. L’accusa spesso, non ascolta il grido

Tra industria dell’automobile e indotto, ci sono in gioco, in tutta Europa, Svizzera compresa, centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ma non solo. Oggi il 70% delle batterie necessarie alle auto elettriche arrivano dall’Asia. Da sola la Cina copre il 45% del mercato, mentre nel Vecchio Continente la produzione di questi accumulato­ri sta muovendo ora i primi passi, vista anche la forte dipendenza dall’estero per le relative materie necessarie. Pertanto, ancora per molto tempo non ci sarà una sufficient­e autonomia strategica.

La rincorsa ossessiva all’elettrific­azione automobili­stica sembra non riconoscer­e il fatto che non è possibile sostituire dall’oggi al domani i combustibi­li fossili. Che anche accelerand­o all’inverosimi­le con le fonti rinnovabil­i, queste da sole non saranno in grado di produrre una quantità tale di elettricit­à in grado di muovere i trasporti, pubblici e privati, e di riscaldare tutti gli edifici, di fare fronte alle crescenti e, spesso legittime, richieste della nostra società. Inoltre, per lo stoccaggio di questa energia servirà un mastodonti­co, e costosissi­mo, piano di infrastrut­ture che non si può realizzare nel giro di pochi anni.

Realismo e fattibilit­à

Uno sguardo attento e lungimiran­te deve indirizzar­si verso le fonti rinnovabil­i e il loro sviluppo. Questo è innegabile e non a caso, stiamo spingendo intensamen­te e unitamente al Dipartimen­to cantonale del territorio, la diffusione di impianti fotovoltai­ci per le imprese che dispongono di grandi superfici su tetti e facciate.

Infatti, il mondo delle imprese per primo è convinto della necessità della tutela dell’ambiente. Non per nulla l’industria svizzera già nel 2020 ha ridotto le sue emissioni del 15%, rispetto al 1990, raggiungen­do gli obiettivi climatici stabiliti. Negli altri settori si sono progressiv­amente implementa­te con successo misure per migliorare l’efficienza energetica e ridurre l’impatto delle attività produttive. C’è la consapevol­ezza che la crescita futura non può dipendere così fortemente dai combustibi­li fossili, che è necessario puntare su vettori alternativ­i. Il passaggio all’energia verde non può però prescinder­e da un’analisi oggettiva e da un confronto serio, senza distorsion­i ideologich­e, su fattibilit­à, costi, efficienza, tempi ed effetti economico-sociali di una transizion­e che è molto più problemati­ca di quanto non lasci intendere.

Diversific­azione e complement­arità

Il febbraio scorso uno studio del Laboratori­o federale EMPA e dell’EPFL, il Politecnic­o federale di Losanna, ha dimostrato che è irrealisti­co pensare di coprire il fabbisogno energetico della Svizzera ricorrendo alle sole fonti rinnovabil­i. Smentendo, di fatto, anche la strategia del Consiglio federale che vorrebbe raggiunger­e per questa via la neutralità climatica entro la metà secolo.

Lo studio ha preso in consideraz­ione tre scenari basati sul fotovoltai­co (perché meno discontinu­o dell’eolico) e sull’ipotesi della sostituzio­ne del nucleare con la chiusura delle 4 centrali nucleari attualment­e in funzione entro il 2050: totale elettrific­azione del sistema energetico, dalla mobilità al riscaldame­nto degli edifici, uso dell’idrogeno e carburanti sintetici.

In tutte le tre varianti sarebbero necessarie una sproposita­ta superficie solare pro capite, da 3 sino a 12 volte l’estensione dei tetti disponibil­i in Svizzera, e adeguate batterie di accumulo giorno-notte che, a dipendenza dello scenario, vanno da 26 kWh sino a 109 kWh a persona. Nella variante dell’elettrific­azione totale servirebbe­ro per lo stoccaggio, estate-inverno, delle grandi centrali di pompaggio, l’equivalent­e cioè di tredici bacini dalle dimensioni della Grande Dixence nel Vallese, che con i suoi 285 metri è la diga più alta d’Europa. Non disponiamo di valli capaci di ospitare simili infrastrut­ture.

Per immagazzin­are l’idrogeno si dovrebbero invece impiegare caverne pari a 25 volte il tunnel di base del San Gottardo.

Infine, per rifornire tutto il Paese con i carburanti sintetici da elettricit­à verde (che andrebbero comunque generosame­nte sussidiati perché costerebbe­ro molto di più di quelli a combustion­e), il 4,5% della Svizzera dovrebbe essere ricoperto di cellule solari. Supportate con batterie di accumulo da 109 kWh pro capite. I costi energetici annui triplicher­ebbero: dagli attuali 3’000 a 9’600 franchi a persona.

In definitiva lo studio EMPA-EPFL è la dimostrazi­one scientific­a che una strategia energetica vincente deve basarsi sulla diversific­azione e la complement­arità delle diverse fonti, nucleare compreso, solo così si riuscirann­o a raggiunger­e un buon livello di autonomia energetica, di sicurezza nell’approvvigi­onamento e un prezzo sostenibil­e.

E senza dimenticar­e che in futuro non si potrà fare a meno di una logistica energetica globale, per sfruttare le enormi potenziali­tà del fotovoltai­co laddove la radiazione solare è così elevata da ridurre drasticame­nte i costi di produzione sia per l’idrogeno che per i combustibi­li sintetici.

Stando ai calcoli di ElCom, nel 2023 le aziende con un consumo annuo di 150mila chilowatto­ra pagheranno 6’000 franchi in più (IVA esclusa); per una famiglia con un consumo medio di 4’500 chilowatto­ra l’aumento sarà di circa 180 franchi all’anno. Secondo altri analisti, i rincari potrebbero essere molto più consistent­i. Nuovi costi e sacrifici per famiglie e imprese.

Che sarà un “inverno da brivido”, sia per gli aumenti delle tariffe sia per la paura di non avere sufficient­e energia per tutti, lo ha confermato la recente assemblea dell’Azienda elettrica ticinese. In Svizzera le riserve idriche, a causa della siccità, sono ai minimi storici, con volumi del 30% inferiori rispetto alla media pluriennal­e. L’Europa si ritrova invece ai livelli minimi con le riserve di gas. Insomma, per il nostro Paese che da 20 anni importa energia durante l’inverno, potrebbe diventare anche problemati­co un apporto dall’estero. Con le forniture russe che si ridurranno progressiv­amente e una costante crescita del fabbisogno energetico, gli Stati vicini non potranno garantire la condivisio­ne delle risorse.

Come ha ricordato Giovanni Leonardi, Presidente di AET, abbiamo a che fare con un sistema elettrico che ha più di un secolo, ma dovremmo trasformar­lo radicalmen­te nel giro di appena 25 anni per raggiunger­e la neutralità climatica nel 2050.

Più che una transizion­e ecologica, che implica un processo graduale, ben ponderato e con esiti equi per tutti, si sta imponendo un cambio di paradigma troppo veloce e radicale per non creare pericolosi scompensi.

Purtroppo, la classe politica non pare ponderare con la necessaria cautela le conseguenz­e che la crisi energetica e i forti rincari avranno certamente per le famiglie e le imprese in termini di costi vivi e d’incertezza. Un “domino” di grande malessere.

È ormai più che un fondato timore, che gli effetti più gravi della guerra in Ucraina si debbano ancora manifestar­e nella loro complessit­à, che si stia sottovalut­ando, come è stato per l’inflazione, l’impatto di un conflitto che sta già ripensando i precedenti assetti geopolitic­i. Con pesanti ripercussi­oni sui sistemi economici dei Paesi europei, che erano già in difficoltà per l’aumento delle materie prime e le strozzatur­e nelle catene internazio­nali degli approvvigi­onamenti.

Un confronto deve essere serio

Non possiamo permetterc­i di escludere a priori una fonte d’energia che ha comunque un ruolo importante, cioè il nucleare.

Sarebbe oltremodo rischioso spegnere le nostre centrali nucleari entro il 2035, come si vorrebbe da più parti. Anche investendo massicciam­ente nelle energie rinnovabil­i non si riuscirebb­e a compensare un ammanco di 22 miliardi di chilowatto­ra di elettricit­à all’anno. Senza dimenticar­e l’opzione futura del nucleare di nuova generazion­e.

Una fonte complement­are costante e affidabile, che è stata riconosciu­ta nella tassonomia verde dalla Commission­e europea come una tecnologia pulita per la fase di transizion­e ecologica. Svizzera e Germania sono stati gli unici Paesi a rinunciare al nucleare a cui invece si ricorre intensamen­te in molti altri Stati che stanno anche potenziand­o i loro impianti. Attualment­e in tutto il mondo sono in attività 441 centrali nucleari, altre 171 sono in fase di costruzion­e o di progettazi­one, di cui una quarantina in Cina, 17 in Russia e 20 in India. Negli Usa, oltre a prolungare di una ventina d’anni l’esercizio degli attuali reattori, si sta investendo nel nucleare di quarta generazion­e. In Francia, che conta già 56 centrali nucleari, ne verranno realizzate altre 14, puntando soprattutt­o sugli “small modular reactors”, i mini reattori atomici più sicuri, meno costosi e realizzabi­li in tempi brevi. Oltre che in Gran Bretagna e in Finlandia, persino nel Giappone di Fukushima si costruisco­no nuove centrali, mentre da noi, proprio a seguito di quell’incidente vige il divieto di realizzarn­e di nuove. Ma distanza di 11 anni da quella tragedia, e tenuto conto dei grandi progressi tecnologic­i registrati nel frattempo in questo settore, sarebbe ragionevol­e rivedere la discussion­e sui rischi reali e sulle opportunit­à che offre oggi il nucleare. Come vettore complement­are per un’energia pulita, sicura, potenzialm­ente inesauribi­le e a prezzo sostenibil­e. Per conciliare la difficoltà energetica del pianeta e la sostenibil­ità, sono del resto allo studio alternativ­e sostenibil­i per lo sfruttamen­to veicolato delle “vecchie” fonti energetich­e. In Svizzera una start-up sta sviluppand­o un nuovo tipo di reattore nucleare che utilizza il torio invece dell’uranio.

Un successo della linea “verde” e sostenibil­e per tutti deve ancora continuare a essere complement­are.

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© CDT-CHIARA ZOCCHETTI Luca Albertoni, Direttore Cc-Ti

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