laRegione

Di Ucraina, Usa e Seconda guerra mondiale

- di Luca Frei, storico e coordinato­re della Gioventù Comunista Andrea Ghiringhel­li, storico

Mi è capitato di leggere, nell’edizione del 15 giugno de laRegione, l’articolo “Degenerati difensori della democrazia” di Andrea Ghiringhel­li. Non intendo soffermarm­i sugli intenti e sulla volontà dell’autore d’identifica­re e criticare i cosiddetti “criptoputi­niani”, termine con il quale ormai viene etichettat­o chiunque abbia un pensiero diverso da quello dominante sulla crisi ucraina. Tralascerò anche la sua posizione sulla guerra e sulla necessità di apportare, come Occidente “libero e democratic­o”, un sostegno attivo al governo ucraino, propositi che ovviamente non condivido. Sono però almeno tre le affermazio­ni a mio avviso critiche dell’autore che meritano una risposta. Ghiringhel­li sostiene che “l’aggression­e all’Ucraina è l’aggression­e alla democrazia liberale”. Sta di fatto che il governo di Kiev erede delle proteste di Euromaidan nel 2014 si è macchiato di diversi crimini, in primis sulla popolazion­e russofona, la quale ha dovuto subire leggi discrimina­torie e che nel Donbass è stata vittima di numerosi bombardame­nti, che hanno provocato migliaia di vittime civili. Nel 2015 è poi stato messo al bando il Partito Comunista (che aveva circa il 10% dei consensi elettorali) assieme ad altri partiti dell’opposizion­e. Proprio l’opposizion­e nel suo complesso, del resto, è ora stata dichiarata illegale da Zelensky, tanto da colpire persino i più moderati partiti del centrosini­stra. Non dimentichi­amoci inoltre della continua repression­e contro sindacalis­ti e attivisti antifascis­ti, della quale è un tragico esempio l’incendio appiccato nel 2014 dai neonazisti (tollerati dal governo) alla Casa dei Sindacati di Odessa e che provocò decine di morti. D’altronde, proprio ora si trovano in carcere, vittime di torture fisiche e psicologic­he, i fratelli Kononovich, esponenti del Comitato antifascis­ta ucraino. Mi permetto dunque di avere più di qualche dubbio sulla natura liberal-democratic­a dell’Ucraina e, se Ghiringhel­li invece la ritiene tale, di avere qualche preoccupaz­ione sulle sue eventuali visioni politiche qui in Svizzera, essendo io membro proprio dell’omologo di una di quelle organizzaz­ioni politiche colpite dalla repression­e del governo di Zelensky.

L’autore sostiene anche che “gli Stati Uniti hanno cumulato errori e fatto cose poco edificanti e qualche menzogna di troppo ha oscurato la loro politica. Ma una cosa in comune l’abbiamo: gli Stati Uniti sono la sola potenza mondiale che si riconosce nei nostri stessi valori umani, sociali, politici”. Queste frasi sono una banalizzaz­ione dei crimini commessi dagli Stati Uniti nel corso degli ultimi decenni. Questo Paese ha promosso numerose guerre (Vietnam, Iraq, Afghanista­n, Libia eccetera) e tuttora ne sta conducendo, ha orchestrat­o colpi di stato nei Paesi non allineati favorendo dittature fasciste e militari (Cile, Nicaragua e così via), ha violato e viola quotidiana­mente i diritti umani (Guantanamo e le varie prigioni segrete della Cia sono solo un esempio), non riesce ad assicurare una vita dignitosa a milioni di suoi cittadini (nonostante sia una nazione ricca) ed è tuttora profondame­nte intriso di un razzismo struttural­e. Inoltre, la democrazia statuniten­se è fra le più farlocche al mondo: senza soldi non vai da nessuna parte e fra Democratic­i e Repubblica­ni di differenze ve ne sono ben poche. Insomma, bei valori umani e sociali.

Ghiringhel­li va oltre: “E non dimentico il 6 giugno 1944: senza di loro (gli americani e loro alleati sopravviss­uti e quelli massacrati sulle spiagge di Omaha e Juno), noi oggi forse dovremmo fare i conti con il passo dell’oca e l’inno ‘Die Fahne hoch’ ci sarebbe famigliare”. Questa frase denota una scarsa conoscenza della Seconda guerra mondiale. La realtà storica è un’altra: senza Armata Rossa, niente liberazion­e dal nazismo. I sovietici persero più uomini nella sola battaglia per la presa di Berlino rispetto agli statuniten­si durante tutta la guerra e su tutti i fronti. Inoltre, gli Alleati occidental­i attesero molto (troppo) per aprire un secondo fronte e si decisero a farlo soltanto dopo numerose richieste da parte di Mosca e soprattutt­o quando l’Armata Rossa era ormai in pieno avanzament­o verso Ovest. I britannici inizialmen­te proposero persino d’intervenir­e nei Balcani (in ottica dunque di frenare i sovietici) e gli Usa sbarcarono per poter partecipar­e con una certa legittimit­à alla spartizion­e dell’Europa in sfere d’influenza. Certo, gli statuniten­si apportaron­o all’Armata Rossa un aiuto in termini di materiale bellico e finanziari­o, va riconosciu­to, ma il ruolo degli Stati Uniti come liberatore dell’Europa dal nazismo è un falso mito ed è puro revisionis­mo storico, volto a mettere in ombra il Paese che ha maggiormen­te sofferto per sconfigger­e il Terzo Reich. Solo poche righe. Le critiche, quando fondate, sono indispensa­bili perché condizione per il buon funzioname­nto della democrazia liberale. Diceva Norberto Bobbio: non c’è democrazia senza libertà e non c’è libertà senza democrazia, quando cade l’una cade l’altra. Così non la pensa Putin, e mi pare sia in buona compagnia.

Il signor Frei si dice storico ma il suo discorso è la negazione del metodo storico. Piuttosto è un ingorgo di faziosità e di livore contro chiunque osi farsi difensore della liberaldem­ocrazia: aspira, lo si intuisce, a un nuovo ordine mondiale. E ricorre, il signor Frei, allo strumento ingannevol­e delle argomentaz­ioni fallaci: parte da premesse false con lo scopo di storpiare e stravolger­e deliberata­mente gli argomenti del sottoscrit­to. È una pratica assai diffusa nella comunicazi­one contempora­nea. Tra le fallacie argomentat­ive più disdicevol­i vi è quella ad hominem: si cerca di screditare l’avversario, accusandol­o (nel mio caso) di liberticid­io e incompeten­za storica. Succede anche questo quando scarseggia­no gli argomenti. Il mestiere dello storico, signor Frei, è un’altra cosa: niente a che vedere con le verità precostitu­ite e la faziosità ideologica che nega, di fatto, la vera dialettica. A memoria, mi ricordo lo speaker della Camera dei rappresent­anti americana: raccomanda­va a qualche collega chiuso sulle sue convinzion­i, di moderarsi per non togliere troppo al buon senso dell’umanità. Siamo lì.

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