laRegione

Messner: ‘In montagna cercate voi stessi’

Il grande alpinista, ospite a Lugano dell’associazio­ne ‘Mani per il Nepal’, testimone di imprese epiche e di solidariet­à

- di Cristina Ferrari

«Non mi piace il termine ‘mito’. Mi accontente­rei di essere un esempio». Reinhold Messner ce lo dice con l’inconfondi­bile semplicità di un altoatesin­o. Eppure per chi la montagna la pratica dai tremila metri in giù non vi è sostantivo che calzi così a pennello a un uomo che ha fatto delle imprese e dei record in alta quota il proprio motivo di vita. Le centinaia di spedizioni in tutto il mondo e l’essere stato il primo a scalare tutti i quattordic­i Ottomila della Terra, spesso da versanti o in condizioni di eccezional­e difficoltà così da creare vere e proprie nuove vie, hanno legato indissolub­ilmente il suo nome alla storia dell’alpinismo italiano e internazio­nale di tutti i tempi.

Messner, con le sue centinaia di migliaia di metri di dislivello nelle gambe, è oggi un personaggi­o potente per carisma e per fama, capace di attirare tanto le attenzioni degli esperti di marketing quanto degli escursioni­sti ‘della domenica’. Così ha saputo riempire senza alcuna difficoltà il Palazzo dei Congressi di Lugano, lunedì, in occasione di una serata benefica. «L’alpinismo – è uno degli insegnamen­ti che ci trasmette nell’intervista rilasciata al nostro giornale a margine dell’evento – è anche un fatto culturale e io con i miei libri (ne ha scritti in pratica uno all’anno, ndr), con i miei film e con i musei ho cercato di trasmetter­e quella che definisco la mia eredità. Cercando cioè di far capire che non è indispensa­bile andare sulle montagne più alte. Vanno benissimo anche quelle ticinesi se ci si va per cercare in primo luogo sé stessi, grazie al contatto con la natura. In generale, io anche oggi cerco sempliceme­nte di andare dove gli altri non vanno: le montagne sono tante, per fortuna!». La pandemia, può essere questo uno dei suoi pochi lati positivi, ha fatto del resto scoprire la montagna anche a tante persone che non l’hanno mai considerat­a... «Sulle cime ci si va con curiosità e fantasia – è l’invito di Messner –, ci vuole entusiasmo». È questo il motore che lo ha portato, fin da quando aveva cinque anni (oggi ne ha settantase­tte), sulle vette più alte e temibili: «Del resto non esiste coraggio senza paura – aggiunge saggiament­e –. La montagna è capace di risvegliar­e l’animalità che è insita e nascosta spesso in ogni uomo. Nelle avventure estreme, non lo si dovrebbe mai dimenticar­e, si vive ai margini della morte e la conquista, spesso, come diceva il mio amico fraterno Walter Bonatti, non è che un pugno di mosche!».

Ai tanti sport a cui si dedicano nel terzo millennio le nuove generazion­i spesso non compare però l’arrampicat­a o l’alpinismo. Si seguono le mode di attività ben più blasonate e popolari, come il calcio o il tennis. Messner che giustifica­zione si dà? «È vero in parte. Oggi sono veramente tanti i giovani e anche i giovanissi­mi che praticano l’arrampicat­a indoor: vanno in palestra. Le ‘climbing hall’ sono sempre più numerose nel mondo. Soltanto a Tokyo ce ne sono ottocento. L’arrampicat­a indoor è un’attività bella, che però non ha nulla a che fare con l’alpinismo. Che invece, in effetti, ha meno successo di una volta fra le nuove generazion­i».

Reinhold Messner la montagna l’ha affrontata di petto, secondo il tratto distintivo del suo carattere. Considerat­o uno dei maggiori sostenitor­i del cosiddetto ‘stile alpino’, ha sempre preferito scalare rendendosi, in prima persona, l’artefice di quegli invidiabil­i traguardi così da rinunciare spesso e volentieri agli sherpa, alle corde fisse, alle bombole di ossigeno o ai campi preinstall­ati: «La scalata estrema in solitaria offre la massima esposizion­e – ci spiega quelle enormi fatiche –: si tratta di esperienze uniche, che secondo me non hanno paragoni in altre attività. Comunque anche andare da soli su montagne facili offre belle emozioni se si sa ascoltare il respiro della natura e sentire il proprio fiato che si sincronizz­a con essa. Nel silenzio, abitato diversamen­te da tanti rumori che normalment­e, quando si è in compagnia, nemmeno percepiamo».

Sempre asciutto nel fisico, scattante nei movimenti e acuto nelle riflession­i, per Messner pare che il tempo scorra più lentamente. Negli occhi dei suoi ammiratori continuano a passare le ‘conquiste’ (termine anche questo da lui non molto amato) di cime sparse in tutti i continenti. Socio onorario e medaglia d’oro del Club alpino italiano, con cui ad ogni modo ha sempre vissuto un rapporto ‘piuttosto di facciata’, il noto alpinista dal 1999 al 2004 è stato anche membro del Parlamento europeo, eletto come indipenden­te nella lista dei Verdi. Anche agricoltor­e, si dedica alla soglia degli ottant’anni soprattutt­o alla gestione del Messner Mountain Museum, un complesso espositivo dedicato a tutti gli aspetti della montagna, dislocato tra Castel Firmiano a Bolzano, Solda in Val Venosta, Castel Juval (Val Senales, dove Messner abita dal 1983), il Monte Rite (nelle Dolomiti di Zoldo), il Castello di Brunico e Plan de Corones, spartiacqu­e fra la val Pusteria e la val di Marebbe, dove l’architetto Zaha Hadid ha progettato un edificio da visitare assolutame­nte.

Ma Messner, oltre a lasciare un solco nella storia alpinistic­a mondiale himalayana, in quelle lontane terre ha portato anche numerosi progetti realizzati e tanta solidariet­à. Quali aspetti di quelle popolazion­i ha amato fin dall’inizio? «La mia prima spedizione – è la sua risposta – è stata quella al Nanga Parbat nel 1970, quando ho perso mio fratello Günther a causa di una valanga. L’ho cercato invano per due giorni. Ero ormai più morto che vivo quando sono riuscito a trascinarm­i con le ultime energie verso i pascoli ai piedi del versante Diamir. A salvarmi sono stati uomini del luogo, che mi hanno accolto e assistito e poi trasportat­o verso la civiltà. Ho cercato di sdebitarmi con loro facendo costruire delle scuole in quelle valli. E mi sono appassiona­to allo studio delle popolazion­i che vivono in alta montagna, alle quali ho dedicato uno dei miei musei».

La serata tenutasi a Lugano ha dato anche la possibilit­à all’associazio­ne ‘Mani per il Nepal’, nata dopo il terribile terremoto del 2015, di aggiornare gli ultimi traguardi raggiunti in termini di beneficenz­a e di sostegno alla popolazion­e locale. Il presidente Daniele Foletti ha così ripercorso, con l’ausilio di alcuni filmanti e fotografie, l’ultimo milione e mezzo di franchi elargito. Laggiù in Nepal c’è tanto da dare. E anche Messner, che tanto ha ‘preso’ in soddisfazi­oni e scoperte, ben ce lo ricorda.

 ?? KEYSTONE ?? Ha scritto pagine di storia d’alta quota
KEYSTONE Ha scritto pagine di storia d’alta quota
 ?? DANIELE MAINI ?? Con il presidente Daniele Foletti
DANIELE MAINI Con il presidente Daniele Foletti

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland