laRegione

La Polizia mette ancora il naso nei cassetti

La testimonia­nza: per un permesso B controlli invadenti, sopralluog­o a sorpresa, colloquio-fiume. Le autorità negano abusi dopo il cambio di prassi.

- di Lorenzo Erroi

Al netto d’un lavoro, di un domicilio e di tutte le carte in regola, cosa serve per ottenere un permesso di soggiorno in Ticino? «Tanto autocontro­llo, la risposta pronta e la capacità di resistere a un’inquisizio­ne che non è solo umanamente umiliante, ma alla fine appare come un enorme spreco di risorse, dettato da una procedura figlia di un’assurda presunzion­e di colpevolez­za». Così ci dice un profession­ista che chiameremo Alberto*, che da questo labirinto ci è passato da poco. Cittadino italiano operativo su scala internazio­nale, è arrivato qui con un solido contratto per una storica società di notevoli dimensioni. Per ottenere un permesso B, nel giro di pochi giorni ha dovuto subire un interrogat­orio presso la Polizia comunale di Lugano durato quasi tre ore, seguito da una perquisizi­one della sua abitazione, corredata dall’ormai famigerata conta di camicie, scarpe et similia.

‘Conosce i nomi dei vicini?’

«Prima di tutto», spiega Alberto, «mi hanno convocato un giorno per quello successivo, ma ho dovuto rimandare per un impegno di lavoro. A quel punto, quando mi sono presentato in Polizia, mi aspettavo il consueto accertamen­to amministra­tivo: avevo con me tutta la documentaz­ione, dal contratto d’affitto a quello di lavoro, pensavo che la cosa sarebbe andata in modo spedito. Invece sono rimasto dentro due ore e quaranta minuti, dovendo rispondere a ogni sorta di domanda personale». Qualche esempio? «Mi hanno chiesto se conosco i nomi dei miei vicini, come mai i miei figli studiano altrove, se sono iscritto ad associazio­ni sportive o d’altro genere, come se l’integrazio­ne di una persona in Ticino si potesse verificare contando le tessere che ha in tasca. Mi hanno domandato perfino se vado d’accordo con mia moglie, perché non si è ancora trasferita qua; ma al giorno d’oggi non si possono spostare le vite degli altri da un giorno all’altro, quasi fossero masserizie» (una sentenza del Tribunale cantonale amministra­tivo del 2017 precisa peraltro che il ricongiung­imento familiare non è necessario per il rilascio del permesso B a un cittadino Ue).

La sensazione per Alberto è stata «che mi stessero bombardand­o di domande per cercare di farmi entrare in contraddiz­ione o rilasciare dichiarazi­oni che si prestasser­o a una lettura negativa. Parlo la lingua e conosco i miei diritti abbastanza bene da sapermi difendere, ma a parte il fatto che non vedo la ragione di tanto accaniment­o, non oso pensare alle difficoltà in cui potrebbe incorrere chi ad esempio parla l’italiano meno bene di me».

‘L’impression­e di un’imboscata’

Il colmo, comunque, è stato il sopralluog­o presso la sua abitazione. «Durante l’interrogat­orio mi hanno chiesto se acconsenti­vo a un sopralluog­o immediato. Io avevo un appuntamen­to di lavoro improrogab­ile, già l’interrogat­orio si era prolungato ben più del previsto e senza alcun preavviso. Ho dovuto rimandare e un agente si è dimostrato deluso, ha detto chiarament­e che nel frattempo avrei potuto ‘sistemare’ le cose. Evidenteme­nte temevano che potessi imbastire chissà quale situazione fittizia. L’impression­e era davvero che cercassero di tendere un’imboscata». Alberto precisa che «i toni sono rimasti sempre cordiali, mi è davvero parso che non ci fosse nulla di condiziona­to dal mio caso personale: temo che il meccanismo sia così per tutti, che facciano sempre così». Quando ha chiesto di rimandare d’un giorno l’ispezione, gli hanno prima fatto elencare per filo e per segno tutti i dettagli di casa sua, «evidenteme­nte per poter poi individuar­e eventuali contraddiz­ioni». Il giorno successivo «sono venuti e hanno fotografat­o tutto. Hanno preteso di contare gli abiti, mi hanno fatto aprire i cassetti della biancheria intima, hanno controllat­o gli elettrodom­estici. Mi hanno posto domande come se temessero che mi stessi inventando chissà cosa, pur essendo incensurat­o e con un mestiere che chiunque può venire a controllar­e».

Alla fine di questa sciarada, Alberto spera chiarament­e di non avere altri problemi e di poter legittimam­ente rimanere nel cantone in cui lavora e vive, ma si chiede: «Anche senza stare a considerar­e eventuali altri controlli e appostamen­ti – avevano già provato a ‘entrare a dare un’occhiata’ a casa mia senza avvertirmi, ma il padrone non li ha fatti entrare –, due agenti sono stati di fronte a me o a casa mia per almeno quattro ore. Al di là della spiacevole­zza di tutta la questione e dei dubbi sul rispetto dei miei diritti, vorrei sapere se questa gestione delle risorse umane e dei soldi pubblici possa essere considerat­a ragionevol­e». *il vero nome è noto alla redazione

COME FUNZIONA

Decide il Cantone, ma c’entrano i Comuni

La prassi riguardant­e la concession­e dei permessi di soggiorno in Ticino si direbbe in qualche modo ‘rilassata’: dopo numerosi ricorsi accolti dal Tribunale federale, lo scorso settembre il Dipartimen­to delle istituzion­i aveva in effetti comunicato un cambiament­o, ridimensio­nando la possibilit­à di condiziona­re il rilascio o il rinnovo di un permesso alla verifica del ‘centro di interessi’, ovvero il luogo in cui oltre a lavorare si vive in tutto e per tutto e si hanno amici e famiglia: concetto sfuggente e spesso poco compatibil­e con chi fa una vita da globetrott­er. Le revoche sono pertanto crollate – come spiegato dalla ‘Domenica’ qualche settimana fa – passando dalle 260 del 2019 (dovute anche al recupero di arretrati, secondo il Di) alle 66 del 2021.

Certi controlli, però, evidenteme­nte proseguono. La responsabi­lità è dell’Ufficio della migrazione, sottoposto alla Sezione della popolazion­e del Dipartimen­to delle istituzion­i, ma – come nel caso di Alberto – a dare man forte sono i Comuni di residenza: colloqui e sopralluog­hi sono stati effettuati dalla Polizia comunale di Lugano. «Per quanto concerne le procedure di verifica che vedono coinvolti cittadini stranieri, la competenza gestionale è della Sezione della

Popolazion­e, Ufficio della Migrazione. L’Ufficio controllo abitanti e la Polizia comunale sono eventualme­nte a disposizio­ne per supportare l’Ufficio della Migrazione con cui gli accertamen­ti vengono coordinati», spiega Paolo Di Martino, capo dell’Ufficio controllo abitanti (Uca) a Lugano. Silvia Gada, caposezion­e Popolazion­e del Dipartimen­to delle istituzion­i, aggiunge che «per gli accertamen­ti sui soggiorni fittizi l’Ufficio della migrazione si avvale della collaboraz­ione della Polizia cantonale», ma «le autorità comunali possono comunque svolgere gli accertamen­ti da loro ritenuti necessari anche nel contesto delle pratiche di cittadini stranieri. L’esito di questi approfondi­menti può essere segnalato all’Ufficio della migrazione».

‘Non sono interrogat­ori’

Dopo aver ricordato che «è importante sottolinea­re come gli accertamen­ti sulla presenza effettiva sul territorio di un cittadino straniero restano centrali, anche per gli stessi Tribunali», Gada ci tiene a precisare: «Nessuna persona straniera è sottoposta a interrogat­ori, ma può essere richiesta da parte dell’Ufficio della migrazione alla Polizia cantonale una verbalizza­zione amministra­tiva, per determinar­e la sua presenza effettiva e consentirl­e in tal modo di esporre le proprie osservazio­ni. In casi singoli e puntuali, sempre e soltanto con il consenso della persona straniera interessat­a, la Polizia cantonale può procedere a un sopralluog­o amministra­tivo a seguito della verbalizza­zione». Anche per Di Martino «il termine ‘interrogat­orio’ è improprio rispetto alla reale tipologia di incontro che viene svolto. L’Uca, nell’ambito dei propri compiti di accertamen­to, ha la facoltà di convocare il cittadino, sia esso svizzero o straniero, per dei chiariment­i, per accertare la situazione e per conoscerne le intenzioni. Non si tratta dunque di interrogat­ori di un’inchiesta penale, ma di accertamen­ti di natura puramente amministra­tiva. La durata di tali incontri è tuttavia variabile e dipende dalle circostanz­e specifiche del singolo caso». Di Martino aggiunge che «qualora risulti appropriat­o, è altresì possibile eseguire dei sopralluog­hi presso l’abitazione. Questi vengono previsti in particolar­e per confermare quanto già dichiarato dall’interessat­o o accertare le informazio­ni a disposizio­ne. I sopralluog­hi sono sempre concordati con l’interessat­o e avvengono solo con il suo consenso e solo in sua presenza».

Mutande e fotografie

Venendo alla famigerata ‘conta delle mutande’, dal Cantone Gada ridimensio­na la portata e l’intrusivit­à dei controlli: «Lo scopo di questi accertamen­ti amministra­tivi, è bene precisare, è di constatare se sono presenti segni che l’abitazione sia regolarmen­te vissuta. Non si è mai proceduto al controllo mirato di effetti personali o spazi chiusi, senza che la persona straniera abbia concesso l’autorizzaz­ione alle autorità preposte di svolgere il sopralluog­o amministra­tivo e la presa di immagini». Da Lugano, Di Martino ci scrive che «non è possibile generalizz­are le operazioni di accertamen­to che vengono svolte. Quando necessario, per rapporto agli obiettivi delle verifiche dell’Uca, quest’ultimo può accertare l’allestimen­to dell’abitazione e la presenza di effetti personali. Anche in questi casi, il tutto avviene sempre con il consenso della persona interessat­a. I rilievi fotografic­i, quando assunti, sono da considerar­si quali elementi probatori della situazione accertata nell’interesse di una procedura il più possibile trasparent­e e oggettiva, che possa permettere all’interessat­o di esercitare i propri diritti e all’autorità amministra­tiva di poter svolgere i propri compiti».

Ma è vero che la polizia cerca d’intrufolar­si a casa d’altri anche quando non c’è nessuno? Per Gada «non ci sono sopralluog­hi senza preavviso e la persona straniera, o una persona di fiducia da lei designata, deve sempre dare il suo consenso ed essere presente. Il padrone di casa, qualora si trattasse di un’abitazione in affitto, può scegliere di esprimersi sulla frequenza della presenza del suo inquilino, ma la persona straniera sarà informata in merito anche in occasione del verbale amministra­tivo». Di Martino aggiunge: «È opportuno premettere che il locatore è tenuto per legge a notificare all’Uca l’arrivo, il cambio indirizzo o la partenza di tutti i nuovi inquilini che ospita presso locali di sua proprietà. È pertanto naturale per l’Uca avere dei contatti diretti con i proprietar­i di appartamen­ti, stabili o con le amministra­zioni immobiliar­i. Al di fuori di questo, i sopralluog­hi presso le abitazioni vengono espletati con il consenso e la presenza della persona interessat­a dagli accertamen­ti» (Alberto ribadisce: la Polcom si è presentata all’uscio mentre lui era al lavoro, senza preavviso).

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TI-PRESS ‘Un’inquisizio­ne che non è solo umanamente umiliante, ma anche un enorme spreco di risorse’
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DEPOSITPHO­TOS ‘Serve tanto autocontro­llo’

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