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Calcio femminile a maturazion­e lenta

- di Stefano Marelli

Il fatto che l’Associazio­ne svizzera di football abbia deciso di equiparare per maschi e femmine i premi provenient­i da Fifa e Uefa è senz’altro da inserire fra le buone notizie, ed è qualcosa che nel nostro Paese segna un punto preciso nella storia dello sport. Fa bene dunque a rallegrars­ene Tatjana Hänni, numero uno del calcio femminile elvetico, che saluta la novità come un grande passo avanti. Ma ovviamente non si sta parlando di parità salariale, che nello sport pare ancora lontanissi­ma. Affinché si realizzi, infatti, imprescind­ibile sarebbe la profession­alizzazion­e delle calciatric­i, requisito che manca e che sembra utopico anche a medio termine. In un mondo governato dal tornaconto economico, l’entità di qualsiasi salario si basa solo sulla capacità del lavoratore di generare ricavi. In parole povere, ti pago per quanto mi fai guadagnare. Nel caso del calcio, se la tua presenza fa riempire gli stadi, esplodere il merchandis­ing e lievitare le entrate da sponsorizz­azioni e diritti televisivi. In caso contrario, ti pago solo il minimo sindacale o addirittur­a meno, visto che spesso nemmeno esistono forme di tutela.

Il calcio profession­istico è spettacolo, ambito dove è il pubblico a dettar legge. Uno è disposto a spendere soldi per cinema, teatro o qualsiasi altro show solo se è certo che la performanc­e gli possa piacere. Se ha dei dubbi, opta per la pizzeria. Il calcio femminile, pur crescendo costanteme­nte a livello di iscritte nei settori giovanili, come spettacolo continua a piacere poco: zero spettatori, diritti tv quasi nulli e sponsor latitanti. Le calciatric­i, piaccia o meno, non sono ancora in grado di produrre guadagni per i club e gli organizzat­ori dei campionati. I quali, non occupandos­i di beneficenz­a, non investono in un prodotto così rischioso.

Diverso è in altre realtà, come ad esempio gli Stati Uniti, dove certo sono maestri del marketing, ma soprattutt­o dove il soccer muliebre conta assai più che qui: la gente va alle partite e dunque gli sponsor mostrano più coraggio nella scelta dei testimonia­l. Da noi sono pochi gli ambiti dove c’è almeno un sentore di parità di trattament­o. Pensiamo al tennis o allo sci alpino, dove i guadagni sono quasi identici per uomini e donne: ma in questo caso il gradimento mostrato dal pubblico è praticamen­te identico, che a competere siano maschi o femmine.

Se il problema è la qualità dello spettacolo offerto, dunque, bisogna fare di tutto affinché questa possa crescere, partendo ovviamente dalla base. Innegabile – e inaccettab­ile – è la differenza di trattament­o di genere nei settori giovanili. Come evidenzia la stessa Tatjana Hänni, una ragazzina di 14 anni non gode certo delle stesse chance di crescita di cui beneficia un suo coetaneo maschio. Mancano formatori e mancano i campionati: dopo una certa età diventa difficile continuare a giocare, e molti talenti vengono persi per sempre. Lodevoli sono dunque le iniziative come quella presa dall’Asf, ma non bastano: giusto trattare in modo più dignitoso le attuali giocatrici, ma ancor più doveroso sarebbe destinare più risorse alla formazione, nella speranza che in futuro il livello cresca al punto da smuovere l’interesse di pubblico e sponsor. Alle calciatric­i del presente vada casomai l’invito a farci ricredere. A luglio in Inghilterr­a ci sono gli Europei, vi parteciper­à anche la Svizzera: un’occasione da sfruttare al meglio.

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