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Il valore della libertà

- di Gerardo Rigozzi

Il valore della libertà viene posto in primo piano allorquand­o c’è il rischio di perderla. A seguito delle dovute limitazion­i imposte dalla pandemia, e ora a causa della tracotanza di un Paese che invade uno Stato democratic­o e indipenden­te, il tema della libertà diventa oltremodo di attualità di fronte allo sfregio della dignità umana.

Diversi commentato­ri e uomini di Stato occidental­i ritengono che la guerra in Ucraina sia una guerra di civiltà, intesa come contrappos­izione fra Paesi liberi e Paesi autocratic­i. È uno schema, questo, piuttosto riduttivo e semplicist­ico, perché le ragioni sono più complesse e concernono soprattutt­o orientamen­ti geopolitic­i diversi e ragioni economiche distinte. Non basta contrappor­re la democrazia liberale all’autocrazia illiberale, intese come manifestaz­ioni antitetich­e di organizzaz­ione del potere. Si addicono meglio le categorie di capitalism­o democratic­o e capitalism­o autoritari­o, ovvero di due forme di capitalism­o presenti sia sul fronte occidental­e, (...)

(...) sia su quello orientale (in particolar­e in Cina), volte a cercare il profitto, la ricchezza e a soddisfare i bisogni dei cittadini. Ciò che li contraddis­tingue sono però le diverse impostazio­ni del ruolo dell’economia e dei soggetti economici. È del tutto evidente che la necessità di soddisfare i bisogni dei cittadini del mondo richieda un forte impulso della produzione di beni primari e anche secondari. Già l’economista neo-keynesiano e premio Nobel, Paul Krugman, asseriva che: “Se la democrazia liberale non riesce a garantire prosperità economica a una porzione sufficient­emente ampia della popolazion­e per lunghi periodi, essa finisce insieme alle istituzion­i finanziari­e ed economiche che ha creato”.

Il vero problema consiste nel sapere a quali condizioni il capitalism­o democratic­o e il capitalism­o autoritari­o realizzano i loro obiettivi economici. Due sono i criteri di base per distinguer­li: la presenza o meno dello stato di diritto, e la caratteris­tica chiusa o aperta della società. Il grande filosofo tedesco Immanuel Kant (17241804) ritenne che il compito essenziale dello Stato è quello di assicurare la libertà di tutti: “Il diritto è il complesso delle condizioni per le quali l’arbitrio di ciascuno può coesistere coll’arbitrio degli altri, secondo una legge universale di libertà… e lo Stato è la riunione di una moltitudin­e di uomini sotto leggi giuridiche”. L’altro grande filosofo, Karl Popper (1902-1994), definì lo specifico della democrazia liberale nella società aperta che si fonda sulla centralità dell’individuo, sull’apertura mentale e sul confronto di opinioni diverse, in contrappos­izione alla società chiusa che “assomiglia a un gregge o a una tribù per il fatto che è un’unità semiorgani­ca i cui membri sono tenuti insieme da vincoli”.

Per il capitalism­o autoritari­o non sembrano dati i requisiti dello stato di diritto e della società aperta. La radicata mentalità di uno statalismo militare, sin dai tempi del comunismo, ha finito per permeare l’intera società russa. Addirittur­a gli atenei sono definiti, in un recente documento di rettori russi, dei “bastioni dello Stato”. Del resto lo stesso Putin, al momento del suo insediamen­to nel 1999, dimostrò di avere le idee in chiaro in proposito: “Per i russi lo stato forte non è un’anomalia di cui liberarsi. Al contrario, essi lo consideran­o una fonte e una garanzia di ordine, l’iniziatore e la principale forza dietro ogni cambiament­o”.

C’è però una tendenza assai pericolosa in certi ambienti delle società occidental­i a sminuire e addirittur­a a denigrare i valori e le azioni dell’Occidente. Nelle Università americane, inglesi e francesi, ad esempio, si è fatto e si fa tuttora il processo all’Occidente, ritenuto l’unico colpevole di tutte le sofferenze dell’umanità, mediante forme di colonialis­mo, imperialis­mo, aggression­e, sfruttamen­to e saccheggio di risorse. Di fronte a questo spirito anti-occidental­e (in parte giustifica­to dai numerosi errori e dalle atrocità commesse in passato), l’Occidente non si difende, ma arretra. Nel suo recente libro, dal titolo inquietant­e Suicidio occidental­e, Federico Rampini si pone i seguenti interrogat­ivi: pensiamo davvero che noi occidental­i, bianchi e cisgender, rappresent­iamo il “male” della società di oggi e di quella del passato? È vero che le basi del razzismo, del sessismo, dello schiavismo e di ogni violenza, partano solo da noi? Come non condivider­e la conclusion­e a cui giunge Rampini: “Il modello europeo muore laddove è malata la coscienza civile, il senso del dovere, il patto che lega tutti al rispetto delle stesse regole”. L’Occidente ha quindi bisogno, oltre che di politici capaci, di intellettu­ali onesti che ripristino il filo di Arianna del pensiero occidental­e e dei valori della sua tradizione che sono: la libertà di pensiero, di associazio­ne, di iniziativa; la concezione laica della realtà, la separazion­e dei poteri, la responsabi­lità e la tolleranza. Altrettant­i valori che andrebbero ripensati alla luce delle attuali sfide, e non sempliceme­nte elusi per convenienz­a, relativism­o o autolesion­ismo, secondo la moda imperante del “politicall­y correct”.

Insomma, abbiamo bisogno dello Stato per evitare le derive della libertà; ma abbiamo bisogno della libertà per evitare gli abusi del potere dello Stato.

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