Vai col campeggio!
Dall’invenzione di questa modalità turistica al successo delle strutture ticinesi: cosa c’è dietro al boom della “tenda”?
Uno dei modi alternativi di apprezzare il nostro cantone sono i campeggi, oltre alle escursioni (leggi anche
riquadro, ndr). Forse pochi sanno che la prima attività non nasce nei paesi mediterranei, bensì nella piovosa Gran Bretagna. La dobbiamo al pioniere Thomas Hiram Holding (1844–1930): nel 1897, ormai ultra 50enne, inventò una piccola e leggera tenda che poteva caricare sulla sua bicicletta con cui girò il sud-ovest dell’Irlanda. Scrisse alcuni libri di successo sul campeggiare e ciò divenne pian piano sempre più popolare e apprezzato.
Parole d’ordine
Ma torniamo al presente e al nostro Ticino. Tra chi il settore lo conosce a fondo di certo c’è Simone Patelli, direttore del Campofelice Camping Village di Tenero, nonché presidente di Ticino Turismo; ma cosa significa gestire un campeggio con la bella stagione? “Per chi lavora a contatto con l’ospite, a prescindere che sia albergo, campeggio, ristorante o ‘attrattore’ turistico, significa flessibilità, cordialità, accoglienza e passione nel proprio lavoro”, dice Patelli. “Poi a dipendenza del ‘target’ di cliente che ospitiamo, e questo varia anche dai diversi campeggi, si può avere un approccio più o meno ‘familiare’”.
Graditi ospiti
All’inizio di maggio l’Osservatorio del turismo ha pubblicato dei dati molto incoraggianti: nei primi tre mesi dell’anno sono stati registrati quasi 285mila pernottamenti, quasi il 15% in più del 2021! Ma da dove arrivano questi ospiti? “Principalmente dalla Svizzera (tedesca in primis e francese poi)” ricorda Patelli, “e ricoprono circa l’80% del mercato, pre pandemia il 70% circa e durante la pandemia circa il 90%. Il restante
soprattutto dalla Germania e dal Benelux (Paesi Bassi,
Belgio e Lussemburgo, ndr). Sono ospiti di ogni età, che cercano un ambiente ‘semplice’ a contatto con la natura e all’aria aperta”. Insomma, si conferma che l’origine dei campeggi è piuttosto nordica e che la fama delle strutture ticinesi la dobbiamo ai nostri compatrioti d’oltre Gottardo.
Ospitalità d’obbligo
Ma non bastano le strutture: serve anche prendersi cura degli ospiti. Quanto conta l’accoglienza? “L’importanza è altissima” ribadisce Patelli. “Cerchiamo di ascoltare l’ospite, capirne le esigenze, adattare l’offerta e rispondere ad ogni richiesta dove possibile, cerchiamo di avere collaboratori che hanno passione e capacità nel contatto con le persone e cerchiamo di far capire che l’ospite è sempre al centro”. E cosa dicono dei campeggi e della regione? “In generale c’è molta soddisfazione” afferma Patelli, “ma l’asticella si alza sempre, quindi dobbiamo ogni giorno lavorare per migliorarci. Parlano molto bene del Ticino e delle sue regioni turistiche, ne apprezzano la possibilità di avere in pochi chilometri molteplici offerte”, infine “grazie al ‘Ticino Ticket’ ancora più si muovono per tutto il Ticino generando indotto su tutto il territorio”.
Pensando a Francesco mi connetto istantaneamente al profumo di olio di rosa. Lo incontro al Lido di Lugano, pioviggina, il cielo è grigio, la temperatura sarà intorno ai 12 gradi. Lui ha appena finito di allenarsi in piscina (quella olimpionica esterna). Io, nonostante un passato da nuotatrice ma “freddolosa inside”, mi chiedo come possa stare in acqua con questo clima tutt’altro che tropicale. Capelli bagnati freschi di shampoo e questo profumo di rosa inebriante. “In realtà è per coprire l’odore di cloro”, dice lui sorridendo. La passione per l’acqua di Francesco non ha confini e radici nella sua terra d’origine: la Sicilia. “Il mio paese si chiama Isola delle Femmine. Anche se dal nome si può pensare sia un’isola, in realtà si trova sulla terraferma. Poco distante dal paese c’è però quest’isola dalle leggende pittoresche: una è che lì venivano rinchiuse dagli arabi le femmine adultere e l’altra è che lì vivessero solo abitanti donne che concedevano solo a fortunati prescelti di attraccare dalle loro parti per concedersi in incontri sensuali e goderecci”. Francesco proviene da generazioni di pescatori. “Anche io ho fatto il pescatore professionale per un po’. Sono sempre rimasto estasiato da cotanta meraviglia. L’amore per l’acqua non è mai venuta meno, nemmeno da quando vivo qui tra i monti svizzeri”. Tanti chiedono a Francesco come faccia a vivere lontano dal mare, la sua risposta serafica? “Perché ce l’ho nel cuore”.
Lunga distanza
Francesco ha iniziato a nuotare lunghe distanze in mare dal 2013, anno in cui il suo babbo – abile pescatore specializzato in pesca di polpi è venuto a mancare. Un po’ come se attraverso il contatto con l’acqua lo potesse ricontattare in ogni momento. Da allora, tra gare e allenamenti, ha macinato 7’000 chilometri (più della distanza tra Lugano e New York per intenderci). “Ogni tanto mi chiedevo chi me lo facesse fare di nuotare fino a 4-5 ore poi, un giorno, mi sono dato la risposta: era per assorbire il più possibile l’energia del mare e sopravvivere alla sua essenza quando ero lontano da lui”.
Forze e risorse
Francesco è un osservatore. Si scorge l’attenzione – mai invadente – del suo sguardo profondo. “Mi piace cogliere le sfumature dell’essere umano ed esplorare vari punti di vista. Questa attitudine mi ha agevolato quando ho iniziato ad allenarmi in acqua”. Francesco ha sempre praticato sport per raggiungere i suoi limiti e superarli. “Non ho mai considerato l’allenamento fisico un sacrificio. Ogni volta che mi trovo in una situazione di difficoltà ascolto le mie forze e le risorse per superare questi momenti, se posso farlo. Bisogna avere anche l’umiltà di comprendere quando è il caso di mollare la presa”. I percorsi mentali, continua Francesco, a volte sono tortuosi ma spesso, optando per trame più semplici, si possono risolvere situazioni che sembrano complicate. “Quello che vivo in acqua è un po’ come fosse un allenamento per vivere la vita”.
Esseri vibranti
Dallo sciabordio delle onde del mare, suono tanto rilassante che ci riconnette a momenti di vita prenatale, al suono inteso come melodia che delizia le nostre orecchie, il passo è breve. “Quando ero ragazzo i miei amici giocavano a calcio ma io preferivo stare davanti al mare in silenzio, ascoltando la sua melodia”. A proposito di suono: Francesco propone alcuni lavori, tra cui il massaggio sonoro, una terapia che utilizza le vibrazioni che incontrano il corpo e altri piani più sottili del nostro essere... “Il nostro corpo recepisce le vibrazioni meglio di qualsiasi altra cosa. Siamo degli esseri vibranti e quindi ogni vibrazione ha un influsso sul nostro corpo”.
Mugena
Dalle rive del mar Tirreno alla natura bucolica dell’Alto Malcantone. Francesco vive e lavora a Mugena. Cosa, o forse è meglio dire chi, l’ha portato qui? “All’epoca facevo l’artista di strada, mi ero trasferito a Milano dopo un periodo a Dubai: lavoravo per una compagnia artistica che era di proprietà di un facoltoso sceicco. Accettai una proposta di lavoro per un’esibizione a Lugano: suonavo il didgeridoo sui trampoli. Un’amica mi accompagnò e ci ospitò una sua amica. Beh, quella sua amica, oggi è mia moglie Claudia. Oltre a essermi innamorato profondamente di lei ho amato istantaneamente l’Alto Malcantone: sopra gli 800 metri i pensieri assumono altre forme e si è in grado di percepire informazioni ‘più alte’”.