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Banca nazionale e tassi di interesse: che cosa significa...

La BNS vuole riconquist­are la sovranità sulla stabilità dei prezzi e ha quindi aumentato i tassi di interesse. Il che significa che non segue più la politica della Banca centrale europea. Con un forte impatto sugli investimen­ti in franchi svizzeri.

- Werner Grundlehne­r*

Molti economisti e operatori di mercato speravano da tempo in un rialzo dei tassi di interesse e lo chiedevano a gran voce, perché il tasso di inf lazione negli Stati Uniti e in Europa è salito oltre l’8%. Ora le banche centrali non stanno più menando il can per l’aia, ma stanno facendo sul serio con la svolta dei tassi di interesse.

Per la Federal Reserve e la Banca d’Inghilterr­a non si è trattato del primo passo in materia di tassi d’interesse, ma gli aumenti dei tassi guida di questa settimana sono stati superiori alle aspettativ­e degli analisti. Giovedì la Banca nazionale svizzera (BNS) ha sorpreso con un aumento del tasso d’interesse di riferiment­o di 50 punti base - di solito i tassi d’interesse vengono modificati a scaglioni di 25 punti base. La BNS vuole riconquist­are la sovranità sulla stabilità dei prezzi .

«Le banche centrali hanno dimostrato di dare la massima priorità alla lotta all’inf lazione», afferma Anastassio­s Frangulidi­s, stratega del marketing di Pictet. Ciò potrebbe arrestare l’aumento delle aspettativ­e di inf lazione, ma con un peggiorame­nto delle aspettativ­e di crescita. Il contesto rimane difficile per i mercati f inanziari.

«Le azioni della Banca centrale europea (BCE), della BNS e della Banca d’Inghilterr­a non possono eliminare def initivamen­te il nervosismo dai mercati», afferma Beat Pfiffner, responsabi­le della ricerca della Banca cantonale di Svitto. «Se l’offerta di denaro a basso costo diminuisce, ciò è negativo per i mercati finanziari». Inoltre, non c’è ancora alcun segno di migliorame­nto degli altri fattori negativi: inf lazione, prezzi dell’energia, situazione degli approvvigi­onamenti. Secondo Pfiffner, c’è anche il rischio che la Federal Reserve statuniten­se, nella lotta contro l’inf lazione, sia costretta ad alzare talmente tanto i tassi di interesse di riferiment­o da rallentare gravemente la congiuntur­a.

L’adeguament­o degli obiettivi di inflazione non è più un problema

Secondo Karsten Junius, capo economista della Banca J. Safra Sarasin, le azioni delle banche centrali da un lato rassicuran­o i mercati perché non lasciano dubbi sulla volontà di riportare l’inf lazione verso i loro obiettivi di medio termine. Nei primi mesi dell’anno alcuni operatori di mercato avrebbero ancora speculato sul fatto che l’una o l’altra banca centrale sempliceme­nte non avrebbe innalzato il proprio obiettivo di inf lazione. «Ora non è più un problema», afferma Junius. Le aspettativ­e di inf lazione rimangono quindi ben ancorate. D’altro canto, vi è ora incertezza su quali livelli di tasso d’interesse reale siano necessari per ridurre nuovamente l’inf lazione.

Il mercato ha già considerat­o i rialzi dei tassi di questa settimana, ma solo per 25 punti base nel caso della BNS, dice Franguidis. Per il futuro il mercato si aspetta altri rialzi dei tassi sia negli Stati Uniti sia in Europa. Un tasso sui Fed Funds di circa il 4% è già previsto per la prossima estate. «Poiché il tasso di riferiment­o si collocherà in una fascia restrittiv­a, le prospettiv­e per gli investimen­ti a rischio e, soprattutt­o, per i settori ciclici e le azioni non sono favorevoli», afferma lo stratega di Pictet. Per contro, le obbligazio­ni a lunga scadenza dovrebbero diventare sempre più interessan­ti grazie alla stabilizza­zione delle aspettativ­e di inf lazione e al livello già elevato dei tassi di interesse reali.

La BCE continua a stare in disparte nella lotta all’inf lazione. L’eterogenei­tà dello spazio economico comune in termini di crescita economica e di inf lazione - ma soprattutt­o il livello di indebitame­nto degli Stati periferici meridional­i - fa esitare i banchieri centrali di Francofort­e sul Meno, anche se l’inf lazione fa sembrare imperativo l’intervento. Per anni la BNS è stata guidata dalla politica dei tassi d’interesse della BCE. Ora si sta muovendo da sola nella politica monetaria. Questo crea ulteriori ostacoli per gli investitor­i svizzeri .

Che cosa succede con le riserve valutarie?

A causa dell’aumento dell’inf lazione nell’Eurozona, la BNS non considera più il franco come sopravvalu­tato. Finora la BNS interveniv­a quando il franco rischiava di diventare troppo forte e quando, per esempio, il settore delle esportazio­ni era sotto pressione. UBS prevede un ulteriore apprezzame­nto del franco. Di conseguenz­a, il tasso di cambio euro-franco dovrebbe aggirarsi intorno alla parità nei prossimi dodici mesi.

La BNS dispone di riserve valutarie per oltre 900 miliardi di franchi, di cui circa il 40% in dollari ed euro. La volontà della BNS di combattere l’inf lazione ha risvegliat­o nel mercato il timore che grandi stock di azioni europee e statuniten­si possano arrivare sul mercato. Questi motivi sono stati in parte responsabi­li della chiusura in rosso dei mercati azionari giovedì. Venerdì i mercati europei sono stati leggerment­e più stabili all’apertura delle contrattaz­ioni, ma hanno ricomincia­to a vacillare nel corso della giornata. «La BNS ha dimostrato di perseguire una politica monetaria indipenden­te dalla BCE», afferma Junius. Il segnale sarebbe tardivo, ma chiaro. E anche giustifica­to. Per gli investitor­i svizzeri ciò si rif letterà principalm­ente in un franco più forte, che frenerà l’inf lazione importata. «Tuttavia non ci aspettiamo che il franco diventi così forte da creare grossi problemi alle aziende svizzere orientate all’esportazio­ne», afferma Pfiffner. Inoltre, gli spostament­i di valuta sui mercati azionari sono spesso un gioco a somma zero: dopo l’abolizione del tasso di cambio minimo nel 2015, il franco si è rivalutato in modo massiccio e le azioni svizzere hanno perso significat­ivamente. Ma, convertite in franchi, anche le azioni estere hanno perso valore in misura analoga.

Secondo Junius, al momento nessun settore azionario beneficia dell’aumento dei tassi d’interesse, nemmeno i titoli bancari. «Con l’aumento dei tassi di interesse, aumentano anche le preoccupaz­ioni per la recessione e i premi per il rischio azionario», afferma l’economista. Obbligazio­ni, titoli societari, oro e immobili soffrirebb­ero comunque dell’aumento dei tassi d’interesse. Resta consigliab­ile un orientamen­to difensivo dei portafogli. «Una recessione mi sembra inevitabil­e, soprattutt­o negli Stati Uniti», afferma Junius. È probabile che ciò porti a ulteriori allarmi sugli utili e a inadempien­ze creditizie.

La recessione incombe

Nonostante l’attuale correzione, secondo Frangulidi­s i titoli ciclici non sono interessan­ti a causa delle prospettiv­e economiche e del conseguent­e deterioram­ento delle aspettativ­e sugli utili. «I titoli o i mercati difensivi come lo SMI sono preferibil­i perché i loro guadagni sono più stabili rispetto al mercato generale», aggiunge. Per quanto riguarda il campo della crescita, per lui i titoli della tecnologia dell’informazio­ne sembrano avere un deprezzame­nto molto negativo. Sarebbero meno ciclici di molti altri settori. In effetti, è difficile contenere l’inf lazione straordina­riamente alta, senza rallentare significat­ivamente la congiuntur­a, afferma Pfiffner. «Ma l’aumento del rischio di recessione è già in parte considerat­o nei prezzi. Per la maggior parte degli investitor­i è consigliab­ile attenersi all’allocazion­e di investimen­ti a lungo termine e non «rincorrere i tassi» in modo prociclico. Tra i titoli in crescita, lo stratega della Banca cantonale raccomanda SAP, e Geberit e Forbo fra i titoli sensibili alla congiuntur­a.

* dalla «Neue Zürcher Zeitung» del 18.06.2022

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